L’uccisione di Eric Garner ha suscitato a New York una riflessione sulla violenza della polizia, ma in Israele si preferisce incolpare le vittime.

Perfino quando arresta dei bambini, Israele insiste nel proclamare la propria superiorità morale: nell’incidente di Nabi Saleh, versione israeliana dell’episodio di Eric Garner, è il soldato, e non la bambina, ad essere dipinto come vittima innocente.

di Asher Schechter

Haaretz, 2 Settembre 2015

Bambino e soldatoUn soldato israeliano arresta un ragazzino palestinese durante una manifestazione di protesta contro gli insediamenti ebrei nel villaggio cisgiordano di Nabi Saleh, vicino a Ramallah. Reuters, 28 agosto 2015

 

Ricercata: pericolosa terrorista.

Possibile nome: Ahed Tamimi, alias “Shirley Temper”

Corporatura: esile

Accusata di: aggressione premeditata (con l’intenzione di mordere un soldato israeliano); manipolazione dei media mondiali. 

Età: 14 anni 

Complici noti: il fratello Mohammad Tamimi, di 12 anni, gira lì intorno con il braccio sinistro ingessato.

Attenzione: i sospetti possono sembrare dei bambini, ma in realtà sono scaltri ed esperti. Sono piccoli e disarmati, ma sono ritenuti estremamente pericolosi.

Visti l’ultima volta: addosso e sotto a un soldato armato dell’Esercito Israeliano (IDF). Uno di loro urlava di dolore.

Le drammatiche immagini di questa settimana dal villaggio palestinese di Nabi Saleh, dove un soldato dell’Esercito Israeliano (IDF) a viso coperto cerca di arrestare Mohammad Tamimi (che aveva il braccio sinistro fratturato in un altro incidente) stingendolo al collo per soffocarlo e viene fermato da un gruppo di donne e ragazze, ha messo in agitazione i media di tutto il mondo. Vox lo ha definito “l’episodio dell’Eric Garner (*) israeliano”.

Ma, per Israele, chi recitava la parte di Eric Garner, morto a Staten Island dopo che un poliziotto lo aveva stretto in una presa soffocante, era il soldato, non il ragazzino. Una difesa a rovescio?

A giudicare dalle dichiarazioni dei media israeliani, dei politici e dei social media, il vero colpevole a Nabi Saleh non era (come avrebbero voluto farvi credere i media di tutto il mondo, indottrinati a dovere) il soldato che ha usato una forza eccessiva contro un bambino di 12 anni con un braccio rotto. Era invece proprio il bambino (che può aver tirato o non tirato pietre contro i soldati: dipende a chi rivolgete la domanda) e la sorella di poco più grande che, come hanno prontamente sottolineato i bloggers di destra, erano conosciuti come “provocatori”. Tradotto: in precedenza avevano partecipato a delle manifestazioni, quindi non erano semplici preadolescenti ma nemici in armi.

L’emittente del primo ministro israeliano, Channel 2 News, passa la notizia come “Il documentato pestaggio palestinese di un soldato dell’IDF a Nabi Saleh”. Ynet, il sito di news più popolare in Israele, proclama nel titolo di testa: “Una bambina morde un soldato”

I politici di destra sono stati pronti a dichiarare che la vera vittima è il soldato -che appare nel video sconcertato e impaurito- definito come il triste prodotto di un esercito che è diventato troppo misurato nel difendersi. Il Ministro della Cultura Miri Regev ha proposto che in situazioni simili, in futuro, ai soldati sia permesso di rispondere aprendo il fuoco.

La ragazzina colpisce ancora!

Gli israeliani, naturalmente, non sono dei mostri. Un soldato che strangola un ragazzino di 12 anni urlante, è visto male in Israele come dappertutto. Fatta eccezione per pochi estremisti, gli israeliani non amano vedere bambini che vengono feriti, che siano lanciatori di pietre o meno.

Tuttavia gli israeliani hanno una perdurante e ben documentata ossessione nazionale nel voler convincere il mondo di avere sempre ragione. Quando sono messi davanti all’evidenza della colpevolezza morale del loro Paese, la dissociazione cognitiva che permette loro di proclamare la superiorità morale di Israele anche quando le sue azioni sono chiaramente immorali, li fa andare in un nevrotico fuorigiri.

A volte, un episodio colpisce così negativamente l’attenzione internazionale da provocare una mobilitazione dell’opinione pubblica. Gli israeliani analizzano video e foto, ossessionati dai dettagli, poi generalmente agiscono come un avvocato difensore auto-nominatosi, il cui compito è quello di sollevare Israele da ogni accusa e mettere il mondo (specialmente i media) sul banco degli imputati.

Uno di questi episodi è avvenuto nel 2010, quando nove attivisti della “Gaza flotilla” furono uccisi dai soldati israeliani. Nabi Saleh sta diventando un altro di questi casi.

I bloggers e gli attivisti di destra ci hanno inondato di foto e video, hanno visionato in dettaglio i precedenti dei fratelli Tamini e hanno formulato teorie per spiegare come e perché un soldato che sta per soffocare un bambino sia la vittima innocente di una campagna globale di diffamazione.

Bambina pugno2 Novembre. Una bambina della famiglia Tamini e un soldato, nel villaggio di Nabi Saleh durante la settimanale dimostrazione contro l’espansione della colonia di Halamish. AP.

Ahed Tamimi, che viene ripresa mentre morde la mano del soldato, non è un’adolescente palestinese qualunque, scoprono i bloggers. No: è una “provocatrice professionista”. Ci sono video e immagini che la mostrano mentre schernisce e fronteggia i soldati israeliani. In qualche immagine ha solo 10 anni.

Si è anche scoperto che la Tamimi proviene da una famiglia di militanti, essendo i suoi genitori dei ben noti attivisti palestinesi. Questo è bastato per etichettarla come “Star di Palestiwood” (un termine coniato dallo storico Richard Landes per descrivere la propaganda anti-israeliana mascherata da informazione) e per accusarla di “tendere imboscate ai soldati per fare pubblicità”. Sui blog e nei media la ragazza è descritta come violenta e pericolosa e le è stato affibbiato il soprannome di “Shirley Temper (Shirley Testa Calda)”, come se lei e suo fratello fossero i Bonnie e Clyde di Palestiwood Hills.

Per quanto riguarda Mohammad Tamini, l’esercito dice che i soldati non sapevano che fosse minorenne, un argomento decisamente ridicolo per chiunque non sia completamente cieco.

Così bloggers, destrorsi e buona parte dei media israeliani hanno fatto passare le immagini di Nabi Saleh come un deliberato tentativo palestinese di manipolare l’informazione e presentare i soldati dell’IDF come dei criminali.

“La ragazza premiata da Erdogan colpisce ancora!” proclama Channel 20 riferendosi a un “premio coraggio” conferitole dal Presidente della Turchia.

Il fatto che, provocato o meno, il soldato sia ricorso alla violenza, è irrilevante per i difensori di Israele. Quello che conta è che un innocente soldato israeliano sia caduto vittima di un complotto astuto e manipolatorio. Israele conserva intatta la sua statura morale.

Ginnastica mentale

Invece di mandare in pezzi le convinzioni israeliane sulla propria rettitudine morale, episodi come quello di Nabi Sahel hanno uno strano effetto: le rafforzano.

Gli israeliani devono fare spesso esercizi di ginnastica mentale per allineare la percezione che hanno del loro Paese con quello che mostrano le immagini e le testimonianze. Ma con la demonizzazione di due minorenni, questa attitudine ha raggiunto vette quasi da commedia.

Famiglia TaminiBassam e Nariman Tamini con la figlia Ahed, fotografati a Nabi Saleh nel febbraio 2013. “Il futuro non cambierà se continuiamo ad usare le stesse idee del passato”, dice Bassam. Alex Levac.

Come ha potuto Israele arrivare al punto in cui il brutale arresto di un ragazzino di 12 anni lo fa sentire più giusto e non più ingiusto?

Prima e più importante risposta: negando la propria forza. Quasi tutto il mondo vede Israele come un Paese potente, con un esercito potente ed alleati ancora più potenti. Gli israeliani invece si considerano una nazione minuscola, debole, minacciata, e suoi soldati, anche se armati fino ai denti, sono sempre dei ragazzi vulnerabili. Questa negazione ha radici storiche e culturali. Ed è anche estremamente vantaggiosa.

La consapevolezza del proprio potere porta alla consapevolezza della propria responsabilità. Questo significa per Israele porsi domande difficili sul suo modo agire in Cisgiordania: è molto più facile immaginare cospirazioni mondiali guidate da ragazzini.

E soprattutto, accusando le vittime, Israele evita di accusare i soldati: i suoi figli e le sue figlie.

Ma non accusa nemmeno i veri responsabili, che non sono i soldati -paralizzati in una posizione impossibile, pietrificati in un ambiente ostile, con direttive che in realtà non hanno molto senso- ma i politici che li hanno mandati lì, quelli che tengono in funzione la macchina dell’occupazione, gli stessi che spediscono degli adolescenti a brutalizzare ragazzini non molto più giovani di loro.

Asher Schechter

Collaboratore di Haaretz

http://www.haaretz.com/israel-news/1.674030

(*) Il 17 luglio 2014 Eric Garner morì a Staten Island, New York, dopo che un poliziotto lo aveva stretto fino a soffocarlo per 15-19 secondi durante il suo arresto (ndt).

(traduzione di Giovanna Barile)

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