I prigionieri palestinesi in Israele – la questione della detenzione amministrativa.

ESCLUSIVA testimonianza di Sulaiman Hijazi imprigionato nelle carceri israeliane.

– di: B. Gagliardi, Associazione di Amicizia Italo-Palestinese Onlus –

La prima cosa che ti fanno nell’interrogatorio, oltre a picchiarti e farti stare nudo per lungo tempo in stanze molto fredde, durante l’interrogatorio fanno entrare soldatesse a vederti nudo ed è successo con me che una di queste stava fumando e ha spento la sigaretta sul mio corpo ridendo, il momento più difficile è quando devi dormire o andare in bagno, hai solo tre minuti in tutto il giorno per andare in bagno altrimenti la fai addosso, invece per dormire sei in una stanza piccolissima ,freddissima e che puzza molto, sei sempre legato anche dentro questa stanza ,arriva ogni tanto un soldato per buttarti acqua fredda, soprattutto se ti vede dormire e poi ti mettono musica altissima per ore ed è un tipo di tortura che usano, la cosa più dolorosa di questi interrogatori è quando ti portano tua mamma davanti o tua moglie per farti confessare cose che non hai mai fatto… quando finisci questi maledetti giorni, ti portano in una stanza con palestinesi che ti ospitano come un eroe, e ti raccontano tutti la loro esperienza, cosa hanno fatto, senza neanche chiederglielo, quindi molti si fidano e parlano e dopo scoprono che questa stanza è la stanza delle spie, ed è una delle stanze che hanno fatto più male alla resistenza palestinese ( la stanza dei traditori).

Da S. Franceschini.

Sono oltre 5.000 i detenuti palestinesi nelle prigioni israeliane e in centinaia sono in detenzione amministrativa. In prigione finiscono anche i minorenni, spesso per il lancio di pietre, reato per cui adesso si rischiano fino a venti anni di carcere. Secondo l’Olp, dal Duemila sono stati arrestati oltre 10.000 minorenni palestinesi in Cisgiordania e a Gerusalemme est e il 20 per cento di tutte le persone finite in prigione dallo scorso giugno ha meno di 18 anni.

La detenzione amministrativa è una procedura che consente ai militari israeliani di tenere reclusi prigionieri basandosi su prove segrete, senza incriminarli o processarli e i palestinesi sono soggetti a detenzione amministrativa fin dal mandato britannico. La frequenza dell’uso di questa misura ha subito variazioni durante l’occupazione israeliana, ed è aumentata in modo costante dall’inizio della seconda Intifada nel settembre 2000, quando Israele deteneva solo 12 palestinesi, al tardo 2002-primo 2003, quando ce n’erano più di mille, al 2005- 2007, quando il numero medio mensile di detenuti amministrativi palestinesi si aggirava sui 765. Da allora, tale numero è generalmente diminuito ogni anno.

Israele usa regolarmente la detenzione amministrativa in violazione della legge internazionale e dichiara di essere in un permanente stato di emergenza tale da giustificare l’uso quotidiano di questa pratica. La detenzione amministrativa israeliana viola molti standard internazionali; ad esempio, detenuti provenienti dalla Cisgiordania vengono deportati in Israele, violando direttamente la proibizione della Quarta Convenzione di Ginevra (Artt. 49 e 76)e ai prigionieri vengono spesso negate le visite dei familiari previste dagli standard internazionali e non vengono tenuti separati dagli altri detenuti, come prevedono le leggi internazionali.

Nella Cisgiordania palestinese occupata, l’esercito israeliano è autorizzato a emanare ordini di detenzione amministrativa contro civili palestinesi sulla base dell’art. 285 del codice militare 1651. Questo articolo permette ai comandanti militari di detenere una persona fino a sei mesi, rinnovabili se vi sono “ ragioni sufficienti per presumere che la sicurezza della zona o pubblica“ lo richiedano. La sicurezza “pubblica” o “della zona” non sono specificate. Alla data di scadenza o appena prima, l’ordine viene spesso rinnovato, e non vi è alcun riferimento esplicito alla durata massima possibile, legalizzando così una detenzione senza scadenza.

Gli ordini di detenzione vengono emanati al momento dell’arresto o in seguito, spesso basandosi su “informazioni segrete” raccolte dai servizi israeliani. Quasi mai né il detenuto né il suo avvocato vengono informati delle ragioni dell’internamento o messi al corrente delle “informazioni segrete” quindi i palestinesi possono essere incarcerati per mesi, se non anni, in via amministrativa, senza mai essere informati sulle ragioni o sulla durata del loro internamento e vengono di solito informati dell’estensione della loro prigionia nel giorno in cui il precedente ordine scade così non hanno alcun modo di appellarsi contro la loro detenzione.

Nella Striscia di Gaza, invece, Israele usa la Legge sui Combattenti Illegali per incarcerare palestinesi per periodi illimitati, senza alcun processo reale. La legge fu approvata dalla Knesset israeliana nel 2002 per permettere allo stato di trattenere “ostaggi” libanesi dopo che la Corte Suprema di Israele aveva dichiarato illegale tale pratica. Sebbene tutti i libanesi siano stati rilasciati nel 2004, la legge non è stata revocata. A partire dal 2005, dopo l’allontanamento dei coloni israeliani dalla Striscia di Gaza e il conseguente termine della legge militare israeliana nella zona, si cominciò ad usare quella legge per imprigionare gli abitanti della Striscia. La legge definisce “combattente illegale” chi “direttamente o indirettamente partecipi ad atti ostili allo Stato di Israele, o sia membro di una forza che compia atti ostili allo Stato di Israele”, senza aver titolo allo status di prigioniero di guerra secondo la legge umanitaria internazionale. Tale legge consente l’arresto in massa e la detenzione immediata e senza processo di palestinesi abitanti della Striscia e cittadini stranieri. Con questa legge, i detenuti possono essere trattenuti per 96 ore prima di emanare un ordine di detenzione permanente, o fino a sette giorni se il governo ha dichiarato le “ostilità su larga scala”. L’esame giudiziario di tale ordine deve essere tenuto, a porte chiuse, dopo 14 giorni; se l’ordine è approvato, il detenuto deve comparire davanti a un giudice ogni sei mesi. Il giudice può revocare l’ordine se la corte consideri che questo non comporta rischi per la sicurezza dello stato.

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