Articolo pubblicato su VITA del 2 luglio 2014
di Daniele Biella
Intervista allo storico israeliano, autore del saggio ‘La pulizia etnica della Palestina’, che ha suscitato risonanza mondiale e aspri dibattiti in patria. “Quale pace? Quella in cui lo Stato ebraico accetti le responsabilità per le proprie azioni sbagliate, oltre a incolpare Hamas per l’uccisione dei giovani coloni”. Intanto la violenza nei Territori degenera, ucciso un 16enne palestinese
L’ultima notizia è agghiacciante, se confermato il movente. Un 16enne palestinese è stato rapito ieri sera nei pressi del campo profughi di Shufat, alle porte di Gerusalemme, e il suo corpo senza vita è stato ritrovato, brutalizzato e bruciato, questa mattina: i primi sospetti sono su una macchina (ripresa dalle telecamere) che testimoni attribuiscono a coloni israeliani, ma che altri ricondurrebbero a una faida tra famiglie: in queste ore nei pressi del campo ma non solo è in atto una guerriglia urbana. A 66 lunghissimi anni dall’inizio del conflitto israelo-palestinese, la barbarie sta prendendo il sopravvento. Quella stessa barbarie che ha portato ignoti (nonostante il premier israeliano Netanhyahu accusi Hamas, per ora non c’è alcuna prova schiacciante in merito) a rapire e a uccidere vicino a una colonia tre giovani israeliani, ora potrebbe fondare sull’occhio per occhio la propria vendetta, in un Israele sgomento, con decine di migliaia di persone che hanno partecipato ai funerali dei ragazzi, ma preda di un’ira (ieri sera nelle vie di Gerusalemme c’è mancato poco per una vera e propria ‘caccia al palestinese’) che può far precipitare ancora di più una situazione già disperata e fonte di enormi sofferenze in entrambi i lati del conflitto. Dopo le interviste a Janiki Cingoli e al volontario dell’Operazione Colomba, Vita.it ha raggiunto Ilan Pappe, uno degli storici israeliani più noti e discussi per via del suo impegno politico nella sinistra d’Israele e per avere scritto uno dei libri più letti e venduti al mondo sul tema, ‘La pulizia etnica della Palestina’. Lo scenario che delinea Pappe, oggi professore presso l’università di Exeter, in Inghilterra, è quello di due paesi, due popolazione, appese come non mai a un filo della Storia sempre più sottile, quasi invisibile.
La situazione, dopo la scoperta dei corpi dei ragazzi israeliani, sta sfuggendo di mano a tutti e si teme l’azione vendicativa, incontrollata, dei coloni. Siamo a un punto di non ritorno?
Il ritrovamento dei corpi senza vita può essere letta come un motivo in più per il governo di Israele per accelerare una strategia che sta portando avanti da molto tempo, nel tentativo principale di indebolire Hamas e annettere l’Area C (il territorio palestinese sotto controllo militare e civile israeliano) al proprio Stato. Questo sarebbe stato fatto altrimenti in modo più lento, ma la direzione è stata chiara fin dall’inizio.
Cosa può essere fatto per non lasciare che la violenza dilaghi?
Il nocciolo della questione è sempre lo stesso, ovvero quale pace vogliamo come soluzione al conflitto israelo-palestinese. Bisogna liberarsi dal paradigma di una pace basata sulla two states solution (la soluzione di due Stati divisi, quella indicata anche da Barack Obama, ndr) e concentrarsi sul vero problema: l’infrastruttura ideologica dello Stato ebraico. Se continuiamo a parlare di soluzione dei due Stati, incolpiamo Hamas per la violenza e non accettiamo che anche Israele abbia responsabilità per le proprie politiche criminali, la violenza è destinata ad andare al di là di ogni controllo.
Come vive la popolazione di Israele quanto successo? Segue il governo che persegue una “forte risposta” o non si sente del tutto coinvolta?
Molti israeliani leggono il tragico evento fuori dal contesto: non interessa loro, o non sanno, che almeno cinque giovani palestinesi sono morti nell’ultimo mese, da quando i giovani erano stati rapiti, o che la violenza verso di loro è il risultato della politica del proprio governo, non interessato alla pace e aderente all’ideologia sionista. La popolazione vuole una risposta armata sempre più forte e l’esercito è pronto a dargliela, con il risultato che una parte della politica può reagire in modo molto duro verso i palestinesi avendo il completo supporto della gente.
Qual è il ruolo del movimento di Hamas in tutto questo?
Hamas non era direttamente coinvolto nel rapimento, ma appoggia i rapimenti di soldati o coloni come parte della propria battaglia armata contro il sionismo.
Questi fatti accadono a meno di un mese di distanza dal primo accordo politico della propria storia tra Hamas e il principale partito, Al Fatah, al potere in Cisgiordania. Mera coincidenza?
Probabilmente no. Forse il rapimento è stata un’iniziativa di un gruppo locale di simpatizzanti di Hamas insoddisfatti dall’unità con Fatah, ma può darsi che sia stato programmato anche prima dell’accordo. Quello che è chiaro ora è che Israele userà l’evento per contrastare il nuovo governo di unità nazionale palestinese.
Quali azioni ci si può aspettare dalla comunità internazionale per migliorare la situazione?
Se la comunità internazionale continua a garantire a Israele l’immunità sotto l’ombrello del cosiddetto ‘processo di pace’, questo ciclo di violenza non smetterà.
Pensa che siamo alle porte della Terza Intifada?
Ritengo che i fattori che potrebbero portare a un’eventuale terza sollevazione popolare si sono già attivati da tempo, con o senza l’uccisione dei ragazzi israeliani. Ovvero, potrebbe concorrere al suo scoppio nel futuro, ma ne sarà la causa scatenante.
Quale sarà il risultato degli ulteriori bombardamenti di queste ore su Gaza?
Una maggior determinazione da parte di Hamas a continuare la sua battaglia. Inoltre, maggiori sofferenze per i palestinesi, e l’allontanamento di una soluzione per noi israeliani. L’oppressione, la povertà, la disoccupazione e la sensazione di vivere in una prigione a cielo aperto è il retroterra per ogni resistenza palestinese, violenta o nonviolenta. E continuerà finché il mondo con costringerà Israele a cambiare la propria strategia politica.