Articolo di Luisa Morgantini, apparso su Il Manifesto del 12 novembre 2013
Nel selciato fatto di conchiglie frantumate, ne ho trovate tre, bianchissime, erano rimaste intatte, solo consumate dal tempo e dal sole.
Le ho raccolte, io, che una volta ridevo di chi raccoglieva conchiglie.
Ero a Robben Island, Cape Town, Sudafrica, nella prigione dove Nelson Mandela e altri leader, hanno passato tanti anni della loro vita. Laloo Chiba un ex-prigioniero mestamente mi raccontava che quasi tutti loro hanno portato per molto tempo occhiali neri o come Mandela subito operazioni agli occhi.
Perché quelle conchiglie e le pietre, così bianche, che i prigionieri dovevano spaccare mentre i raggi del sole e la polvere li accecavano.
Avevo già visitato con enorme commozione, qualche anno dopo la liberazione di Mandela e le prime elezioni del Sudafrica libero, la prigione di Robben Island. L’ultimo prigioniero e carceriere se ne erano andati nel Dicembre del 1996. Il nuovo governo del Sudafrica aveva chiesto il riconoscimento dell’isola come Patrimonio dell’Umanità all’Unesco che gli venne dato nel 1999. Oggi è un museo ed un istituzione culturale, composta da ex prigionieri che cercano di mantenere una memoria fertile anche per quei giovani sudafricani che non hanno vissuto il periodo dell’apartheid . E per ognuno di noi che ha fatto parte dei movimenti Antiapartheid e per la liberazione di Nelson Mandela, Robben Island non è solo il simbolo dell’oppressione ma anche della libertà e della speranza.
Ed è proprio a Robben Island che il 27 Ottobre 2013 è avvenuto un fatto storico: dalla cella di Mandela è stata lanciata la campagna per la liberazione di Marwan Barghouti e di tutti i prigionieri palestinesi.
Con noi non c’era Mandela, ormai troppo malato, ma Ahmed Qathrada, suo compagno di prigione e di lotta, di origini indiane, che ha passato 26 anni della sua vita in carcere. Ma c’erano anche molti ex prigionieri e attivisti venuti dalle varie parti del Sudafrica. Fadwa Barghouti, moglie di Marwan è entrata con Qathrada nella cella ormai spoglia, tranne che per una stuoia, una coperta arrotolata ed un grande poster di Marwan ed hanno letto l’appello di Robben Island.
Noi, la delegazione che accompagnava Fadwa, dodici palestinesi rappresentativi di istituzioni e associazioni per la difesa dei diritti umani, tra i quali Addameer e Insan, ed io eravamo sopraffatti dall’emozione. Sembrava di vivere in un sogno, per tanto tempo con Fadwa, avevamo desiderato durante il processo a Marwan Barghouti che la voce di Mandela e del Sudafrica si facesse sentire. Ed ora eravamo qui e grazie all’impegno di Ahmed Qathrada e la sua Fondazione il volto di Madiba e Marwan sono sullo stesso manifesto.
Dopo l’evento simbolico nella cella, si è tenuto un incontro per comunicare la formazione di un Comitato Internazionale di alto profilo, ne fanno parte oltre a Qathrada, i premi Nobel, Vescovo, Desmond Tutu, Jody Williams, Adolfo Perez Esquivel Josè Ramos Horta, Maireread Maguire nonché Angela Davis, John Burton , Lena Hjelm- Wallen , Christiane Hessel (vedova di Stephen Hessel che prima della sua morte aveva aderito alla campagna per la libertà di Marwan).
Finalmente Marwan Barghouti e i prigionieri palestinesi diventano un evento internazionale. In Francia, 40 comuni hanno già dato la cittadinanza onoraria a Marwan, adesso bisogna estenderla in ogni paese a partire dall’Italia. Israele ha sempre usato i prigionieri come ostaggi e nell’accordo di Oslo, la leadership palestinese non è stata capace di far diventare la questione dei prigionieri prioritaria e prendere esempio da Mandela che sosteneva che «solo gli uomini liberi possono negoziare» e che da uomo libero ha negoziato.
Quando è stato detto a Marwan che si iniziava la campagna per la sua liberazione, lui ha preteso che la campagna non fosse fatta solo per lui ma per tutti i prigionieri politici.
I prigionieri palestinesi oggi ancora nelle carceri sono più di cinquemila, tra loro 136 di cui 11 parlamentari in detenzione amministrativa (anni e anni senza processo), 13 donne, 195 giovani di cui 36 al di sotto dei 16 anni. Dal 1967, anno dell’occupazione militare della Cisgiordania e Gaza sono più di 800.000 i palestinesi passati nelle carceri israeliane. Praticamente ogni famiglia palestinese ha avuto persone in carcere.
Ma non si tratta solo di numeri, ognuno di loro ha una storia, un volto, un vissuto di sofferenza, torture, umiliazioni, di figli che non sono stati visti crescere o che non si sono mai potuti avere. Come Marwan che ha trascorso complessivamente più di 18 anni di carcere, i primi sette durante la prima Intifadah e poi negli ultimi 11 anni. Non ha visto crescere i suoi tre figli, Qassam, Sharaf e Arab, e sua figlia Ruba che si è sposata ed ha avuto un bimbo che Marwan non ha mai visto e non potrà vedere perché le regole prevedono che solo i parenti stretti, moglie e figli possono fare visita, anche se la vendetta dei carcerieri nei confronti dei prigionieri è feroce, illegale ed inumana, i figli di Marwan non hanno il permesso di visitare il padre.
Marwan Barghouti venne sequestrato a Ramallah il 15 aprile del 2002 dall’esercito israeliano, subito dopo l’ operazione di aggressione militare «Scudo difensivo» lanciata in tutti i territori occupati che ha visto la distruzione delle città e di tutte le infrastrutture, ministeri, scuole, strade, l’istituzione di centinaia e centinaia di checkpoint, coprifuochi,assassini extraterritoriali, demolizioni di case.
E’ stato condannato per resistenza militare a cinque ergastoli e 40 anni di prigione. Marwan non ha riconosciuto la legittimità della Corte che lo giudicava, come aveva fatto Mandela per il suo popolo, ed ha rivendicato il diritto dei palestinesi alla libertà, alla pace e alla democrazia.
Marwan è amato dai palestinesi ed è un uomo per l’unità, la sua campagna in Palestina è stata lanciata da tutte le forze politiche e sociali. Nessuno dimentica che dal carcere è stato lui il promotore dei 21 punti del governo di unità nazionale dopo le elezioni del 2006 e il fallimento del governo di Hamas. Nel suo messaggio inviato a Robben Island, dalla cella n. 28 della prigione di Hadarim ci dice:
…quando vi verrà chiesto da che parte state, scegliete sempre la parte della libertà e della dignità contro l’oppressione, dei diritti umani contro la negazione dei diritti, della pace e della convivenza contro l’occupazione e l’apartheid. Solo così si può servire la causa della pace e agire per il progresso dell’umanità.