Kafr Qaddum, come resistere all’occupazione

TOPSHOTS-PALESTINIAN-ISRAEL-CONFLICTMurad Shtaiwi: “La protesta nonviolenta preoccupa molto Israele poiché innesca una resistenza ragionata e soprattutto speranza”.

di Eleonora Pochi

Kafr Qaddum (Cisgiordania) – Dopo gli accordi di Oslo agli abitanti di Qaddum non è neanche più consentito l’accesso alle loro terre; i coloni espropriano terreni ai palestinesi rivendicandone la proprietà. Alcuni episodi del villaggio di Qaddum sono diventati casi giudiziari e nonostante la giustizia abbia accertato il “furto di proprietà”, l’occupazione continua. “E’ vietato l’accesso agli arabi”, spiegano rapidamente dalle torrette che costeggiano l’area intorno alla vasta colonia di Qeddumin. Nel 2008 alcuni giornalisti di Ha’aretz fecero notare ad un comandante dell’esercito che i palestinesi possedevano certificati di proprietà sui terreni ai quali gli si stava impedendo di accedere. “I documenti non mi interessano”, rispose adirato. Inoltre, i coloni attaccano di frequente gli abitanti di Qaddum, incendiando le loro case, terreni, animali e olivi, alberi che rappresentano una preziosa risorsa per l’economia locale, ma anche per il sostentamento delle famiglie.

Dal 2002, la strada che porta a Nablus è stata chiusa dall’esercito israeliano, isolando maggiormente gli abitanti del paese. Grazie alla creazione di Comitato popolare basato sulla resistenza nonviolenta, ogni venerdì ci sono delle manifestazioni per ottenere la riapertura della strada ed il riconoscimento delle terre. Nelle ultime settimane l’esercito ha potenziato gli attacchi al villaggio, per reprimere la protesta pacifica degli abitanti. Secondo l’International Solidarity Movement l’esercito israeliano ha intensificato anche gli arresti attraverso rastrellamenti improvvisi, soprattutto nelle prime ore del mattino e nella notte. Vengono arrestati anche minori di età, senza alcun riguardo di trattamento rispetto agli adulti. I bambini vengono prelevati da casa o dalla strada, arrestati, interrogati, maltrattati e senza dubbio traumatizzati. “Le manifestazioni nel villaggio di Qaddum subiscono una repressione altamente violenta – racconta A. C., attivista ISM stata a Qaddum -. Molti minori vengono rapiti di notte. All’improvviso decine di militari accerchiano abitazioni, irrompono violentemente, bendano e legano ragazzini e li portano via. Inoltre l’azione repressiva dell’esercito avviene sia prima che durante una manifestazione, per intimorire i manifestanti, disarmati, e spaventarli”. Il maltrattamento di minori palestinesi ad opera dell’esercito israeliano è una delle piaghe più profonde dell’occupazione in tutta la Cisgiordania. Nell’ultimo rapporto Unicef, l’agenzia ha denunciato ripetutamente l’inosservanza della Convenzione sui diritti dell’Infanzia, ratificata da Israele nel 1990.

Nell’ambito di un incontro organizzato da Assopace Palestina in collaborazione con la Rete Romana di Solidarietà per la Palestina e la Comunità Palestinese di Roma e del Lazio è stato possibile conoscere e comprendere più da vicino le difficili dinamiche che affettano la quotidianità dei palestinesi di Qaddum. “Anche se la nostra situazione è di estrema sofferenza, il nostro intento quello di lanciare un messaggio di speranza attraverso la resistenza nonviolenta – spiega Murad Shtaiwi, coordinatore del Comitato Popolare -. Ci siamo organizzati da circa tre anni per protestare contro la chiusura della strada principale che collega il nostro villaggio a Nablus, blocco che impedisce ad oltre 4mila persone di avere contatti con l’esterno. Ovviamente non protestiamo solo per la riapertura della strada. Lo sblocco è simbolico perché rappresenterebbe la liberazione dall’occupazione. La resistenza nonviolenta è un diritto di ogni popolo che vive sotto occupazione e questo genere di protesta preoccupa molto Israele poiché innesca una resistenza ragionata e soprattutto speranza. Inoltre capita che nelle manifestazioni, al nostro fianco ci siano internazionali, ma anche alcuni israeliani. E la repressione che attuano dall’esercito colpisce indistintamente tutti, perché appunto hanno paura che si possa creare un’unione tra palestinesi, internazionali e israeliani”.

I lacrimogeni che usa l’esercito sono molto nocivi, inoltre spesso sono lanciati appositamente per uccidere o ferire gravemente i palestinesi. Episodi come l’uso di cani addestrati ad attaccare palestinesi inermi o l’attacchinaggio sulla moschea di foto segnaletiche di minori per terrorizzare la popolazione rendono vagamente l’idea dell’enorme stress psicologico a cui gli abitanti di Qaddum sono sottoposti. “Ci sono specifici comitati di psicologi e sociologi – spiega Murad Shtaiwi – che lavorano in coordinamento con il comitato di resistenza popolare. Offrono supporto ai minori in particolare, ma anche a genitori e insegnanti”.

Il sindaco di Kafr Qaddum, Samir Shtaiwi, spiega come molto spesso i coloni siano più pericolosi dell’esercito: “Al di là dell’occupazione militare, c’è un problema umano. Uno degli slogan preferiti dai coloni è ‘Il palestinese migliore è quello morto’. Ed è sconcertante. L’occupazione ovviamente non mira a danneggiare ‘solo’ noi palestinesi. L’obiettivo è di sradicare totalmente qualsiasi cosa costruita dai palestinesi, dalle case alla cultura. E l’esercito israeliano sta tentando di soffocare le nuove generazioni, per questo vengono perseguitati, arrestati e/o maltratti anche bambini. La resistenza nonviolenta è quella che in realtà fa più male a Israele”.

Fonte: Nena News

 

Lascia un commento