Articolo pubblicato sul giornale Il Manifesto del 30 novembre 20
Saranno più di 150 gli stati a votare per il riconoscimento, come Stato osservatore non membro della Palestina dei territori occupati nel 1967, compresa Gerusalemme Est?
Lo sapremo presto, ed anche se non sarà ancora il 194 stato dell’ Onu, si tratta di un passo avanti, non solo simbolico.
Certo i palestinesi si sveglieranno oggi ancora con i soldati israeliani sul loro territorio, i coloni aggrediranno i contadini e spianeranno terra e sradicheranno alberi per farsi «un posto al sole». Ma il sentiero è stato aperto
Anche il giorno dopo il 29 Novembre 1947, giorno della partizione della Palestina, gli ebrei si ritrovarono con la presenza dei britannici, ma un anno dopo venivano riconosciuti a pieno titolo all’Onu. Situazioni diverse.
Solo i metodi Usa sono rimasti gli stessi. Ricatti e pressioni, allora sui piccoli paesi membri dell’ Onu (Liberia, Filippine, Haiti, Guatemala), che contrari alla partizione ma convinti da ricatti economici a cambiare il loro voto. A quel tempo i paesi con diritto al voto erano 56, 33 votarono a favore, 13 contro e 10 astensioni. Due soli voti in più rispetto a quelli necessari
Le pressioni stavolta sono state esercitate con grande campagna dei diplomatici israeliani, che hanno accusato l’Olp di intraprendere così la strada della guerra e non della pace, minacciando di non trasferire all’Anp i proventi delle tasse (denaro palestinese), di imporre nuove restrizioni sui movimenti. Ma la vergogna più grande è quella degli Stati uniti (a ruota il Canada), che come hanno fatto con l’Unesco quando ha votato l’ammissione della Palestina come Stato, hanno cessato di pagare la loro quota, «lo faremo anche con l’Anp» lo avranno ripetuto mille volte ad Abu Mazen. L’Olp stavolta ha resistito ai ricatti, e non poteva fare altrimenti
L’Unione Europea non è arrivata al ricatto economico, molti paesi votano a favore, altri contro, altri si astengono. Ancora una volta l’Europa dei 27 è divisa e la Gran Bretagna continua a premere perché l’Anp dichiari pubblicamente che non faranno uso di uno strumento che gli verrebbe permesso come «Stato osservatore»: l’intervento del Tribunale penale internazionale per i crimini commessi da Israele. Ancora non basta: i palestinesi devono tornare al tavolo delle trattative senza pre-condizioni e cioè non chiedere il blocco delle colonie, in crescita frenetica negli ultimi mesi.
Il governo italiano, che si era espresso con il ministro Terzi durante l’aggressione a Gaza per il «diritto di difesa» d’Israele e proponendo che il voto del 29 non avesse luogo, ha nel frattempo cambiato idea. Spinto anche dal pronunciamento per il sì dei paesi Ue del Mediterraneo, a partire da Francia e Spagna; come anche dalla posizione del Pd che è stato netto nell’esprimere il suo sostegno al sì (a parte il pallone gonfiato di Renzi che ha non ha firmato l’appello di 43 sindaci , dell’Upi e del’ Anci della Toscana promossa dal presidente della Provincia di Firenze, Barducci, inviato al nostro governo perché votasse all’Onu per il sì).
Le pressioni sui palestinesi ad ogni modo continueranno, anche dall’Italia. Mai invece che si facciano pressioni su Israele per cessare le attività coloniali
Mi piacerebbe credere che a far cambiare idea al nostro governo sia stata anche l’opinione pubblica italiana, favorevole allo Stato della Palestina, ma siamo in tempi di mancanza di democrazia. Ma qualcosa è già cambiato. Ieri Gazi Hamadi leader di Hamas a Gaza si è augurato che il voto fosse positivo e sostenuto che favorirà anche la riconciliazione tra le forze palestinesi.
* già vicepresidente del Parlamento europeo