Quando Israele attacca non è mai per caso intervista a Luisa Morgantini

Nel quarto giorno di operazioni militari su Gaza la certezza sembra una sola: quando Israele attacca, non è mai per caso. Conversazione con Luisa Morgantini da Ramallah.

Articolo di Cecilia Dalla Negra  pubblicato sul sito di Osservatorio Iraq

 

“Imprevedibile”. La domanda era banale, la risposta attesa.

Quando chiediamo a Luisa Morgantini qual è la situazione in questo momento in Palestina, sembra chiaro che a dominare sia l’incertezza.

Portavoce dell’Associazione per la Pace, già vice presidente del Parlamento Europeo, Morgantini è un nome storico dell’attivismo: in questi giorni si trova a Ramallah, nella Cisgiordania occupata, e segue con apprensione gli sviluppi dell’operazione “Colonna di fumo”.

“L’unica certezza – dice – è che a pagare, come sempre, è la popolazione civile”. 

Nelle ultime ore l’escalation di violenza non si è arrestata: il numero delle vittime è salito a 39, l’esercito israeliano ha dato l’ordine di intensificare le operazioni aeree, mentre resta alto il timore che si stia preparando un’incursione di terra, con 75 mila riservisti richiamati.

“I palestinesi di Gaza sono ancora una volta vittime di un attacco indiscriminato, e il silenzio della comunità internazionale e dell’Europa è vergognoso”, sostiene.“Nelle zone di Kan Younis e Rafah, al sud, così come a nord, dove si stanno concentrando i bombardamenti, la gente è pronta a scappare ancora una volta. A tornare nelle tende, ancora una volta. Il valico di Rafah da ieri è aperto, ma per moltissimi palestinesi di Gaza l’unica possibilità è dislocarsi all’interno della Striscia, sperando di sfuggire alle operazioni militari. Gli Stati Uniti e la comunità internazionale dovrebbero chiedere l’immediato ripristino della legalità e la cessazione di questa occupazione, che è all’origine di tutte le tensioni”.

Una cosa è certa, a suo parere: quando Israele decide di attaccare, il momento non è mai casuale. 

“Bisogna considerare due fattori: la richiesta di riconoscimento alle Nazioni Unite da parte del presidente Abbas, e l’avvicinarsi delle elezioni interne israeliane.

Le offensive da parte di Israele a ridosso delle elezioni sono una costante storica: cinque su sette delle ultime tornate elettorali in Israele hanno visto campagne condotte a suon di guerre. È quello che sta facendo anche Netanyahu”. 

C’è poi la richiesta della Palestina di essere riconosciuta come stato osservatore alle Nazioni Unite: l’appuntamento con il voto, previsto per il 29 novembre, era stato accompagnato da un crescendo di mobilitazioni in tutta la Cisgiordania: “Una settimana di iniziative, completamente oscurate dai media, nonostante la presenza di migliaia di persone che sono scese in strada per occupare le strade dell’apartheid”.

E in questo quadro, diventa evidente che l’operazione “Colonna di fumo” è anche un modo per rafforzare la già massiccia campagna di Israele e Stati Uniti contro l’iniziativa alle Nazioni Unite; una via per oscurare la leadership di Abbas, che riporta Hamas a guadagnare spazio nel cuore della gente.

Ma c’è un altro fattore che non deve essere sottovalutato: le operazioni israeliane, secondo Morgantini, si stanno concentrando su due fronti.

Perché mentre la Striscia di Gaza è sottoposta ai bombardamenti, “in Cisgiordania c’è un aumento vertiginoso delle attività di colonizzazione. Non è certo una novità, ma quello che sta accadendo in questi giorni è davvero impressionante: ci sono zone dove nel giro di poche ore vengono abbattuti alberi, spianati terreni e installati gli avamposti per la creazione di nuovi insediamenti. A proteggere i coloni c’è l’esercito, segno evidente dell’avallo da parte del governo israeliano.

Da una parte si bombarda, dall’altra crescono a ritmo incessante le colonie: e come al solito la popolazione palestinese paga. A Gaza ci sono 1 milione e mezzo di persone attualmente ostaggio di una politica cinica di occupazione e colonizzazione”.

Non c’è niente di casuale, quando Israele decide di attaccare. Che sia con operazioni militari incondizionate, o con gli assassini mirati di personaggi scomodi.

Come Ahmed al Jabali, ucciso lo scorso 14 novembre in un attacco mirato. Comandante dell’ala militare di Hamas, ma anche l’uomo scelto come interlocutore con l’Egitto per mediare un accordo di tregua, stando a quanto riportato in un recente articolo di Haaretz.

“La sua uccisione non rappresenta una novità: quello di eliminare gli interlocutori necessari ai negoziati è un classico comportamento di Israele sin dalla seconda Intifada”, sostiene Morgantini.

“Uccidere Jabali indica la chiara volontà da parte di Tel Aviv di non portare avanti nessun negoziato. A questo punto, per capire come evolverà la situazione, non resta che attendere gli esiti della visita del ministro degli Esteri della Tunisia, e soprattutto la riunione della Lega Araba”.

Una riunione che è stata richiesta sia da Abbas (Fatah) che Haniyeh (Hamas), ma che mostra con evidenza “che le spaccature e le divisioni all’interno dei paesi arabi pesano su questa situazione. E’ una guerra che si sta giocando sulla pelle dei gazawi”.

Intanto, mentre si moltiplicano le manifestazioni di solidarietà in tutto il mondo – contraltare popolare all’immobilismo dei paesi arabi e dei governi internazionali – si rincorrono le notizie di disordini anche in Cisgiordania.

“La gente qui è stanca e disperata – ammette Morgantini. 

“Si sente impotente, abbandonata. Non crede più a nessuno, non si sente rappresentata da questa leadership, vuole solo vivere e non essere massacrata un’altra volta. Lo spettro della seconda Intifada pesa ancora molto sul morale delle persone, la distruzione che ha causato è un elemento sempre presente. Ci sono manifestazioni in questi giorni, ma la partecipazione non è alta”.

E allora si resta in attesa. Si segue quanto accade, si cercano fonti attendibili, si tenta di bucare il muro della disinformazione, una realtà sempre attuale quando si parla di Palestina.

A Gaza, il lavoro della stampa in queste ore lo fanno gli attivisti e gli operatori delle Ong che hanno scelto di restare. “Sono otto gli italiani attualmente a Gaza”, ricorda Morgantini. “Ho parlato con alcuni di loro questa mattina: non sono bloccati lì, semplicemente non vogliono andarsene.

Vogliono restare finché sarà possibile e continuare a informare su quello che sta succedendo”.

Per provare a sfidare questa ‘normalità’ palestinese, di cui il mondo dovrebbe avere vergogna.

17 novembre 2012

 

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