La Corte Penale Internazionale e l’accusa di antisemitismo da parte di Israele

Mar 14, 2021 | Riflessioni

di Neve Gordon,

Counter Punch, 12 marzo 2021. 

Foto Greger Ravik – CC BY 2.0

Siamo in un momento storico critico in cui diventa sempre più difficile disapprovare Israele senza essere bollati come antisemiti. Sei antisemita se sostieni la recente sentenza della Corte Penale Internazionale (CPI), secondo la quale la stessa Corte ha giurisdizione per aprire un’indagine contro Israele per crimini di guerra. Ma rischi di essere chiamato antisemita anche se rifiuti la logica che sta alla base della decisione del tribunale.

Elenco dei bersagli

La CPI è sull’elenco dei bersagli di Israele. Basta cercare insieme i termini “sentenza della CPI” e “Israele”; istantaneamente, in cima all’elenco dei 1.390.000 risultati di Google, viene visualizzato un annuncio: “CPI & Israele: Non sta in piedi. Nessuna competenza. Nessun processo.” Cliccando sull’annuncio, si verrà reindirizzati su un sito web blu e bianco (i colori della bandiera di Israele) chiamato “ICC Jurisdiction” con il grande slogan “No Standing…” al centro della pagina.

Sotto lo slogan si legge che “La Corte Penale Internazionale (CPI) è stata istituita come tribunale di ultima istanza per processare gli autori di alcuni dei peggiori crimini del mondo. È stato ampiamente riconosciuto che la CPI non ha giurisdizione su Israele. Ogni altra conclusione è il risultato di una politicizzazione che sostiene una errata interpretazione del diritto internazionale”.

Il punto di vista ufficiale di Israele, quindi, è che la CPI non ha alcuna competenza per indagare su presunti crimini di guerra nei Territori Palestinesi che Israele ha occupato nel 1967. Israele, si afferma, non ha firmato lo Statuto di Roma che ha istituito la CPI; inoltre, l’Autorità Palestinese non è sovrana e perciò non può delegare la giurisdizione e richiedere che la CPI intervenga per suo conto come richiesto dallo Statuto. Questo è il motivo per cui il primo ministro Benjamin Netanyahu ha respinto con rabbia la recente sentenza della CPI che apre la strada a un’indagine sui crimini di guerra, affermando che “La decisione del tribunale internazionale di aprire oggi un’indagine contro Israele per crimini di guerra è assurda. È antisemitismo puro e il massimo dell’ipocrisia”.

Diversi alleati di Israele, tra cui Stati Uniti, Germania e Ungheria, sembrano concordare con l’analisi di Israele. Sebbene il segretario di Stato americano Antony Blinken non abbia invocato l’accusa di antisemitismo, ha ripetuto a pappagallo quanto detto dal primo ministro israeliano quando ha dichiarato che “i Palestinesi non si qualificano come uno Stato sovrano e quindi non possono ottenere l’adesione alla CPI come Stato o partecipare come Stato o delegare la propria giurisdizione alla CPI”.

Evitare l’ipocrisia

Tuttavia, se si insiste sul fatto che i Palestinesi non hanno alcuna posizione davanti alla CPI poiché mancano di sovranità, allora l’unico modo per evitare l’accusa di ipocrisia da parte di Netanyahu sarebbe quello di concludere che l’intera area tra il Mar Mediterraneo e il fiume Giordano e le persone che vi vivono sono controllate da Israele.

Questo, tuttavia, significherebbe concordare con la principale organizzazione israeliana per i diritti umani B’tselem, che ha affermato che i territori palestinesi sono governati da un solo regime, vale a dire Israele. B’tselem prosegue spiegando che questo regime è “organizzato secondo un unico principio: avanzare e cementare la supremazia di un gruppo, gli Ebrei, su un altro, i Palestinesi”. L’organizzazione per i diritti umani conclude che “un regime che utilizza leggi, pratiche e violenza organizzata per cementare la supremazia di un gruppo su un altro è un regime di apartheid”.

Ma anche l’affermazione che un regime controlla l’intera area tra il Mar Mediterraneo e il fiume Giordano è considerata antisemita. Dopo la pubblicazione del rapporto di B’tselem, il professor Eugene Kontorovich, capo del Dipartimento di diritto internazionale del Kohelet Policy Forum, ha dichiarato che l’accusa di apartheid dell’organizzazione per i diritti era simile a una “diffamazione del sangue” antisemita [l’antica accusa che gli Ebrei berrebbero ritualmente sangue infantile, NdT]. Allo stesso modo, l’ONG Monitor ha affermato che il rapporto di B’Tselem è caratterizzato da cliché antisemiti, e nello specifico indica la frase dal “fiume al mare” come estremamente inquietante.

Ovviamente i Palestinesi che hanno osato parlare di “apartheid israeliana” gli o studenti che hanno organizzato una “settimana dell’apartheid israeliana” nei campus hanno spesso ricevuto accuse simili.

Universo parallelo

C’è, naturalmente, un modo per parlare di Israele senza essere considerati antisemiti. Ma per farlo bisognerebbe avere un’immaginazione molto fervida o vivere in una sorta di universo parallelo, dove Israele non ha un progetto coloniale, dove i diritti dei Palestinesi non sono continuamente violati e dove, anzi, i Palestinesi non esistono nemmeno.

Neve Gordon insegna Diritti umani e Diritto internazionale umanitario alla Queen Mary University di Londra ed è coautore di “Human Shields: A History of People in the Line of Fire”.

Traduzione a cura di AssoPacePalestina

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