Biden ama Netanyahu

Mag 30, 2020 | Riflessioni

di Jonathan Ofir

Mondoweiss, 26 maggio 2020

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Biden ama Netanyahu, di Carlos Latuff

“Ho firmato una foto per Bibi molto tempo fa –ho una brutta abitudine: non c’è dubbio che io pensi quello che dico, però a volte dico tutto quello che penso– e molto tempo fa ho firmato una foto per Bibi… È un amico da oltre 30 anni. Gli ho detto: ‘Bibi, non sono d’accordo con nessuna delle fottute cose che dici, ma ti voglio bene’.”

Lo ha detto Joe Biden in qualità di vicepresidente durante il discorso alle Federazioni Ebraiche del Nord America nel 2014, usando il soprannome del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu.

Ha sottolineato che lui e Netanyahu sono “ancora amiconi” (lo disse un paio settimane dopo che un funzionario di Obama aveva fatto rumore per aver definito Netanyahu “cacasotto”), ha detto che sono “davvero buoni amici” e anche che Netanyahu è un “grande, grande amico”.

Biden certamente sa come esagerare un po’, ma noi non dovremmo “mai dubitare che pensa ciò che dice”.

Biden ha detto con enfasi di essere un sionista. “Io sono sionista. Non c’è bisogno di essere Ebreo per essere sionista”, disse nel 2007 dall’ebraica Shalom TV.

E spesso racconta una storia di quando era in Israele nel 1973, alcuni mesi prima della Guerra del Kippur, e incontrò la prima ministra israeliana Golda Meir. Meir stava esaminando delle mappe e Biden era molto preoccupato per le tensioni militari esistenti. “Mi disse: ‘Senatore, lei sembra così preoccupato’; io dissi: “Beh, mio Dio, Signora Prima Ministra’, e mi voltai a guardarla. Dissi, ‘È per la situazione che dipinge’. Ella dichiarò. ‘Oh, non si preoccupi. Noi abbiamo’ –io pensai che stesse per svelarmi qualcosa– ‘Noi abbiamo un’arma segreta nel nostro conflitto con gli Arabi. Vede, noi non abbiamo nessun altro posto dove andare’.”

Quanto sopra è una cosa che Biden disse nel 2015 in una celebrazione del Giorno dell’Indipendenza di Israele presso l’ambasciata israeliana. L’ha ripetuta molte volte nel corso degli anni.

L’intrinseco razzismo sionista di Golda Meir ovviamente si perde in Biden. Gli Ebrei israeliani non avrebbero altro luogo dove andare (anche se la maggior parte degli Ebrei non vive in Israele), ma gli “Arabi”, loro sì che possono andare in uno dei loro tanti paesi –secondo Golda Meir i Palestinesi semplicemente non esistono, sono solo Arabi.

Questa è la posizione di Biden rispetto a Israele, piuttosto romantica, cameratesca nel caso di Netanyahu, e interamente sionista. Vale la pena confrontare questa posizione con quella di Bernie Sanders; anche Sanders racconta spesso di essere stato in un kibbutz per alcuni mesi negli anni 60, e ha detto di essere “100% pro-Israele”, eppure ha definito “razzista” il Governo israeliano, ed è stato anche chiaro sul fatto che Netanyahu è un “razzista reazionario“. Sanders avrebbe riportato l’ambasciata degli Stati Uniti a Tel Aviv annullando il trasferimento a Gerusalemme voluto da Trump in violazione del diritto internazionale. Biden, d’altro canto, è stato chiaro sul fatto che non avrebbe riportato indietro l’ambasciata, e sappiamo dalle assicurazioni del suo assistente che non lascerà che “venga alla luce” alcun dissenso tra gli Stati Uniti e Israele.

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Biden e Netanyahu

La congiunzione astrale sembra miracolosamente a favore di Israele, ancora una volta. Joe Biden potrebbe essere lo strumento perfetto per tentare di placare l’agitazione dei circoli progressisti statunitensi, non ultimi quelli ebraici, che stanno lentamente montando una certa faziosità nei confronti di Israele. Almeno in potenza, Israele potrebbe riacquistare un amico “progressista” che è allo stesso tempo anche un “amicone” di Netanyahu. Potrebbe anche essere un vantaggio nello sforzo di delegittimare l’unico movimento che sembra avere una qualche possibilità di cambiare il paradigma dell’impunità israeliana: il BDS (Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni).

Il BDS e il “lasciare i Palestinesi fuori dai guai”

La campagna di Biden “rigetta fermamente” il BDS. In una recente raccolta di fondi online ospitata da Dan Shapiro, ex ambasciatore in Israele, e Deborah Lipstadt, professoressa di Storia Ebraica e Studi sull’Olocausto alla Emory University, Biden ha detto che il BDS “prende di mira Israele, la casa di milioni di Ebrei, e troppo spesso vira verso l’antisemitismo, mentre lascia i Palestinesi fuori dai guai per le loro scelte”. Il movimento BDS ha risposto:

“Rigettando il BDS, Joe Biden approva la complicità degli Stati Uniti nel decennale regime di occupazione, colonialismo e apartheid di Israele e sostiene chi priva i Palestinesi dei nostri diritti umani fondamentali”.

La frase di Biden “lasciare i Palestinesi fuori dai guai” non è solo agghiacciante di per sé, ma è un’eco della famosa battuta del defunto ministro degli Esteri israeliano Abba Eban, secondo cui “gli Arabi non perdono mai un’occasione per perdere un’occasione”. Questa è la tipica arroganza dispregiativa sionista: le “scelte” dei Palestinesi sono ridotte da Israele all’impossibile, e quando i Palestinesi non accettano l’imposizione, diventano quelli che rifiutano sempre. L’ironia è che quando accettano le “offerte di pace”, come negli Accordi di Oslo, queste diventano la loro prigione. Anche il defunto primo ministro israeliano Yitzhak Rabin lo sapeva e assicurò il Parlamento israeliano che Oslo avrebbe significato “meno di uno Stato [palestinese]”.

Netanyahu si è adoperato affinché l’accordo ad interim non significasse un “andare al galoppo verso i confini del ’67”: “Interpreterò gli accordi in modo tale da porre fine a questo galoppare verso i confini del ’67”, disse in una registrazione del 2001 che è venuta a galla nel 2010. “Come lo faremo? Nessuno ha detto cosa siano le zone militari definite. Le zone militari definite sono zone di sicurezza; a mio avviso, l’intera Valle del Giordano è una zona militare definita”.

Netanyahu (che all’epoca non era al governo) stava parlando con una famiglia di coloni ebrei israeliani che a causa di attacchi palestinesi avevano perso dei congiunti, ed espresse anche i suoi schietti sentimenti su come gestire l’America:

“So cos’è l’America. È una cosa che si può manipolare molto facilmente, spostandola nella giusta direzione. Non si metteranno in mezzo”.

Joe Biden non è certamente in grado di mettersi in mezzo in alcun modo significativo. La sua versione di “sanzioni” è meramente simbolica. Nel 2010, in un famoso affronto durante il mandato di Biden come vicepresidente, Israele colse l’occasione di una sua visita per annunciare l’espansione con 1.600 unità abitative della colonia Ramat Shlomo nella Gerusalemme Est occupata. La risposta di Biden fu quella di ritardare il suo arrivo alla cena con Netanyahu di un’ora e mezza. Che colpo –vedete: questa è una “sanzione” secondo Joe Biden. Non si può essere troppo duri con Israele, poiché tanti Ebrei ci vivono, sarebbe virare nell’antisemitismo.

Oh, certo, Biden criticherà, si “opporrà” ad alcune annessioni israeliane. Non al punto di spostare indietro l’ambasciata, ma metterà in guardia Israele dal fare “passi unilaterali” che “eroderebbero le prospettive di pace” (come ha fatto in quel recente appello per la raccolta fondi). Ma condizionare i quasi 4 miliardi di dollari di aiuti militari a Israele a causa dei piani di annessione della Cisgiordania, no, quello no, sarebbe “irresponsabile”.

Biden ha avuto la sua esperienza nel battere i pugni al tavolo israeliano. Nel 1982, durante un viaggio di senatori in Israele, incontrò il primo ministro Menachem Begin. Secondo un confidente di Begin, come riportato da The Times of Israel, l’incontro divenne teso quando Biden sfidò Begin sulla costruzione di colonie. Secondo quanto riferito, Biden batté i pugni sul tavolo, dicendo che tali atti potevano comportare un taglio agli aiuti statunitensi. E Begin:

“Questo tavolo è fatto per scrivere, non per batterci i pugni. Non minacciateci con i tagli agli aiuti. Pensate che poiché gli Stati Uniti ci prestano denaro abbiano il diritto di imporci quello che dobbiamo fare? Siamo grati per l’assistenza che riceviamo, ma non dobbiamo essere minacciati. Sono orgoglioso di essere Ebreo. Tremila anni di cultura sono alle mie spalle e non mi spaventerete con le minacce”.

Due anni dopo, Biden apparve alla conferenza annuale di Herut Zionists of America (Herut era il partito di Begin e il precursore del Likud), dette la colpa agli Arabi per l’impasse nella pace e disse: “Il primo compito che mi proporrò nel nuovo Senato sarà quello di educare i miei colleghi sui sacrifici finanziari che Israele ha fatto a causa di Camp David”.

Biden ha imparato a essere una buona tigre di carta. Sa che bisogna dare un’adesione di facciata alla “soluzione dei due Stati”, perché piace ai progressisti, ma non c’è alcun reale pericolo che si materializzi. È per compiacere questa tendenza quando dice che “la critica alla politica di Israele non è antisemitismo”, in linea con la famigerata definizione dell’IHRA [NdT: International Holocaust Remembrance Alliance è un’organizzazione che unisce governi ed esperti per promuovere l’educazione sull’Olocausto; nel 2016 adottò una definizione operativa non giuridicamente vincolante di antisemitismo], ma avverte:

“Troppo spesso le critiche della sinistra si trasformano in antisemitismo”.

Quanto volte succede questa trasformazione? Oh, non siamo troppo pedanti, è una questione di feeling, di sensibilità sionista. Ogni volta che si ha la sensazione che il progetto sionista sia in qualche modo messo in discussione, questa è un’evidente trasformazione in antisionismo. Non cominciate a parlare di razzismo, e certamente non di Apartheid.

Batti i pugni sul tavolo se proprio devi, fai tardi a cena, ma continua ad amare Israele, anche se tutto quel che fa è sbagliato. Qualsiasi cosa tu faccia, nascondi i tuoi forti dissensi, non lasciare che escano alla luce del sole. Questo è Biden. 

Tradotto da Elisabetta Valento – Assopace Palestina

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