Messaggi dalla Palestina sull’emergenza COVID-19

Apr 20, 2020 | Riflessioni

di Aaron Lakoff

da Socialist Project, 8 aprile 2020

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Independent Jewish Voices (IJV) sta diffondendo una serie di messaggi provenienti da Palestinesi e da attivisti per la solidarietà in Palestina che riflettono sulla vita a Gaza e in Cisgiordania sotto la pandemia di COVID-19. Mentre il mondo è alle prese con la malattia, e mentre organizziamo il mutuo soccorso e la solidarietà in molte nostre città, dobbiamo mantenere anche la Palestina nella mente e nel cuore.

Possiamo trarre ispirazione e importanti lezioni dall’esperienza di vita fatta dai Palestinesi sotto il coprifuoco militare, l’assedio e le restrizioni al movimento. Lungi dal tracciare un’equivalenza tra autoisolamento e occupazione, cerchiamo di imparare dalle strategie che i Palestinesi hanno usato per decenni e ascoltiamo i suggerimenti che offrono al mondo in questi tempi difficili.

Ora più che mai, la Palestina deve essere libera. Il brutale assedio di Gaza e la continua occupazione della Cisgiordania, sono ottimi fattori d’innesco per il coronavirus. La Striscia di Gaza ha appena confermato i suoi primi casi di infezione. L’assistenza medica deve entrare in azione, le persone devono avere accesso ai test e Israele deve porre fine alle sue restrizioni quotidiane alla vita palestinese.

Il primo messaggio che riportiamo viene da Asmaa Tayeh. Asmaa vive nel campo profughi di Jabalia nel nord della Striscia di Gaza e lavora come responsabile operativa per We Are Not Numbers (WANN, non siamo numeri), un progetto di giornalismo di base per i giovani palestinesi di Gaza.

Il secondo messaggio viene da Weeam Hammoudeh. Weeam è docente e ricercatrice presso l’Istituto di Comunità e Sanità Pubblica della Birzeit University, alle porte di Ramallah. Coordina l’unità di salute mentale all’interno dell’istituto e gran parte del suo lavoro riguarda problemi di benessere e qualità di vita all’interno delle comunità. I suoi interessi di ricerca si concentrano sul modo in cui i fattori strutturali e politici generali influenzano la salute e il benessere. Già da prima dell’inizio della pandemia di COVID-19, Weeam fa parte di un gruppo di ricerca che esamina il concetto di incertezza nel contesto palestinese e studia come l’incertezza influisce sulla vita e sulla salute mentale delle persone.

Trova altri messaggi dalla Palestina sul sito web IJV.

Aaron Lakoff, è Direttore Comunicazioni e Media dell’Independent Jewish Voices Canada.

Coprifuoco e aiuto reciproco: Asmaa Tayeh

Aaron Lakoff (AL): Come stai? Hai paura con il Coronavirus adesso a Gaza?

Asmaa Tayeh (AT): Da almeno due mesi sentiamo che il mondo intero soffre di COVID-19. Quando abbiamo iniziato a ricevere le notizie dalla Cina, ero sicura che non sarebbe stato un problema per noi, perché la Cina è così lontana e ci sarebbe voluto molto tempo prima che arrivasse fin qui. Forse nel frattempo ci sarebbe stata una cura.

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Asmaa e sua nonna. Fonte: We Are Not Numbers.

Poi il mondo intero ha cominciato a soffrire per il Coronavirus, e qualcuno ha cominciato a invidiarci, dicendo che la Striscia Gaza è uno dei pochi posti senza casi riportati. Hanno cominciato a dire che questo forse era un vantaggio dovuto all’embargo israeliano. Ho davvero odiato questa affermazione, perché il mondo stava pensando che eravamo salvi, mentre in realtà non lo siamo affatto. Solo perché si è in un posto confinato, non significa essere salvi. Perché se abbiamo dei casi all’interno della Striscia, il nostro confino aiuterà il virus a diffondersi ancora di più.

Viviamo in un’area molto affollata, soprattutto nel mio campo, Jabalia. In ogni edificio o appartamento ci vivono almeno dalle 5 alle 10 persone. Questo aiuta la diffusione del virus. Il mondo pensa che siamo al sicuro, ma io no. Perché se abbiamo un caso, possiamo morire tutti.

 (Lo dice con una risata, forse un meccanismo di reazione in questi tempi cupi.)

AT: Non abbiamo la capacità o l’attrezzatura per proteggerci da questo virus. Si diffonderà molto facilmente ed inizieremo a vedere qui i numeri che stiamo vedendo in Italia e in Spagna. E dopo che il mondo ha pensato che eravamo le persone più fortunate sulla terra, penserà a noi come ai più sfortunati. Perché tutti questi altri paesi hanno almeno dei piani di emergenza, la tecnologia e i medicinali per combatte il virus.

Così ho avuto paura, ad essere onesti. Ma ho continuato ad andare al lavoro e ho provato a convincermi che ci salveremo. La maggior parte di noi è religiosa. Abbiamo pensato: ”Dio è misericordioso. Non vorrà farci convivere con due disgrazie contemporaneamente: l’embargo israeliano e il Coronavirus.” Un problema alla volta!

Veramente vorrei stare a casa ma, ad essere onesti, è così difficile. Non ci siamo abituati. La Striscia di Gaza è l’unica zona dove possiamo andare. Ma ora on possiamo uscire. Quindi come possiamo abituarci al fatto di non poterci muovere all’interno della Striscia? Non possiamo semplicemente chiuderci nelle nostre stanze e abituarci a ciò. So che è difficile per le altre persone nel mondo adesso, ma per noi è ancora più complicato.

AL: È difficile per molti di noi immaginare la vita a Gaza – essere confinati in un territorio di 365 chilometri quadrati. È più piccola di Toronto o dell’isola di Montreal. Molti hanno definito Gaza la prigione a cielo aperto più grande del mondo.

(Ad un certo punto dell’intervista, lei menziona casualmente che oggi è il suo compleanno.)

AT: Ho compiuto 24 anni oggi e in questi 24 anni non sono mai stata fuori da Gaza. Non ho mai visto il mondo fuori. Quindi sarà molto più difficile per me stare a casa rispetto agli occidentali che sono abituati a muoversi e ora devono fermarsi in un posto. È un’altra cosa.

 (Asmaa dice che oggi festeggia il suo compleanno con un’amica che è venuta a trovarla, sebbene la sua amica abbia detto che presto sarebbero stati messi in quarantena. Sua sorella è uscita a prendere una torta di compleanno e riescono a fare una piccola festa questa sera.)

AL: Sono state prese misure di protezione a Gaza? Ad esempio, viene chiesto alle persone di non lasciare le loro abitazioni?

AT: Per essere onesta, prima che venissero riportati i primi due casi, molta gente a Gaza la pensava esattamente come me: il virus è lontano da noi, noi siamo al sicuro e non abbiamo bisogno di diventare matti con le misure di sicurezza. Ma dopo che sono stati riportati questi primi casi, ci accorgiamo che alcune persone stanno facendo sul serio. Vediamo persone indossare mascherine chirurgiche, usare i detergenti per le mani o non andare al lavoro. Ma c’è ancora una quantità enorme di gente che sta uscendo perché pensa che il virus sia una montatura. Io sto cercando di capire la loro psicologia. Forse è perché sono stati abituati ad essere in pericolo per così tanto tempo. Forse sono insensibili. Non hanno il senso della paura perché ci sono abituati.

AL: Gaza è stata sotto embargo per oltre un decennio ed è stata una lotta per le persone soddisfare i bisogni quotidiani. Come hanno affrontato negli anni gli abitanti di Gaza il soddisfacimento dei loro bisogni giorno per giorno?

AT: Abbiamo questo proverbio in arabo che, approssimativamente tradotto, dice: “morire con gli altri rende la morte più facile”. Così, quando vivi in queste difficili condizioni, e tutto attorno a te sta peggiorando, devi pensare che stai vivendo con altri due milioni di persone [a Gaza] che stanno facendo le stessa esperienza e devi affrontarla così come fanno loro.

Non mi piace pensare che le persone nel mondo stiano soffrendo. È orribile e non lo auguro a nessuno. Ma, per essere onesti, una parte di me è contenta del fatto che forse, dopo il Coronavirus, le persone ci capiranno di più.

Anche se quello che mi rattrista è che, una volta finito tutto, ogni paese cercherà di soccorrere i propri cittadini. Probabilmente attraverso un aiuto economico potranno di nuovo muoversi, fare acquisti e tornare alla loro vita di tutti i giorni. Ma noi qui a Gaza continueremo a soffrire perché non cambierà nulla. L’embargo resterà, l’alto tasso di disoccupazione resterà, ci saranno meno merci e i prezzi saliranno.

AL: Hai dei consigli per le persone nelle altre parti del mondo che stanno affrontando l’isolamento e la quarantena?

AT: Le persone devono cogliere questa occasione per diventare migliori. La quarantena ci sta offrendo maggiori possibilità di stare con noi stessi, di capire noi stessi e provare a scoprire quello che abbiamo bisogno di sviluppare o cambiare così da essere persone migliori. È davvero una grande opportunità per entrare in contatto con le persone con le quali abbiamo discusso o con cui abbiamo dei problemi e riconciliarci con loro. È anche la possibilità per sviluppare migliori rapporti con i propri familiari, perché alla fine della giornata, ci si rede conto di quanto sia importante la famiglia. Quindi state con i vostri familiari, capiteli e migliorate il vostro rapporto con loro.

Infine, è una buona occasione per studiare di più e apprendere di più sul mondo. Se ora siete in quarantena e avete accesso a internet, potete cogliere l’opportunità di imparare e leggere di più sulle altre persone che stanno soffrendo, ma dobbiamo pensare a loro come a esseri umani, perché una volta che sarà finita, il mondo intero avrà bisogno di lavorare insieme per risolvere questi problemi.

Per quanto mi riguarda, ho intenzione di leggere di più. Ho intenzione di imparare e studiare! È un’opportunità datami da Dio per fare le cose che avevo rimandato.

Mi piace anche molto scrivere. Secondo me, allevia lo stress. Così vorrei consigliare a tutti di scrivere qualcosa. Qualcuno potrebbe pensare che non sa come farlo, ma se solo si prova a scrivere quello che c’è nella propria mente, può essere un fantastico modo per alleviare lo stress, per sentirsi meglio e scoprire qualcosa di nuovo su di sé.

Infatti, Asmaa è una scrittrice sorprendente. Potete trovare molti dei suoi meravigliosi testi su WANN site, o seguirla su Twitter. Nel dicembre 2019 ha anche partecipato ad un webinar per Independent Jewish Voices Canada con il suo collega Issam Adwan di WANN che potete vedere qui.

Coprifuoco e aiuto reciproco: Weeam Hammoudeh

Weeam Hammoudeh (WH): Avevamo appena iniziato ad analizzare [i dati raccolti], poi è esplosa tutta la situazione COVID-19, per cui dovremo forse tornare indietro e fare una maggiore raccolta di dati.

Aaron Lakoff (AL): Ora l’incertezza è sicuramente un fenomeno avvertito da molti nel mondo, dalla chiusura delle frontiere a quella delle scuole, alla perdita del lavoro per migliaia e migliaia di persone. Qual è il clima a Ramallah e più in generale in Cisgiordania?

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Weeam Hammoudeh presenta la sua ricerca su famiglia e benessere sociale in Cisgiordania dopo gli Accordi di Oslo, 2018. Fonte: Twitter.

WH: Credo ci sia molta incertezza e le persone iniziano a preoccuparsi. Ieri una donna è morta di COVID-19. Le era stato diagnosticato il giorno stesso, ed è morta più tardi nella serata. Questo ha acuito la preoccupazione e la paura.

All’inizio le persone non capivano appieno l’entità del problema. Ma da quando sono stati confermati i primi casi a Betlemme, il 5 marzo, si è capito che la gente iniziava a preoccuparsi. Ma al tempo stesso l’Autorità Palestinese (AP) ha iniziato a prendere misure più severe per tentare di contrastare la diffusione. Si voleva contenere il problema prima che sfuggisse di mano, perché di fatto non abbiamo le infrastrutture per far fronte a una diffusione su larga scala.

L’AP ha preso sin dall’inizio serie misure preventive, cosa che ritengo sia stato un atto responsabile. Dimostra anche che si è consapevoli di come le cose potrebbero andare se il virus venisse lasciato a se stesso, come suggerito da altri leader mondiali.

AL: Possiamo pensare a leader quali Donald Trump o Jair Bolsonaro che all’inizio hanno esitato a preoccuparsi per l’epidemia di COVID-19.

Conosciamo i problemi di Gaza con il blocco… ma qual è la situazione in Cisgiordania con tutte le difficoltà imposte dall’occupazione israeliana?

WH: Se guardiamo allo sviluppo del sistema sanitario in senso lato, esso ha affrontato un sacco di ostacoli legati al contesto politico. Non abbiamo il controllo delle nostre frontiere, così Israele detta ciò che può entrare e ciò non può. Ci sono alcuni servizi e alcune attrezzature mediche che non ci sono concessi. Israele etichetta alcuni articoli come di ‘duplice uso’, perciò se c’è qualcosa che potrebbe essere usato per infrangere la sicurezza, allora non è permesso. Per esempio, se parliamo di servizi oncologici in Cisgiordania o a Gaza, ai Palestinesi è consentito essere attrezzati solo per la chemioterapia. Nulla che sia relativo alla radioterapia o alle radiazioni è permesso, quella attrezzatura è proibita. Pertanto i pazienti devono essere trasferiti a Gerusalemme Est, in Giordania, negli ospedali israeliani o in Egitto. Questo è solo un esempio delle restrizioni al sistema sanitario, a parte tutti i problemi più generali in tema di salute. E a causa di queste restrizioni e dei problemi strutturali, abbiamo un sistema sanitario frammentato e dipendente dagli aiuti, incapace di realizzare appieno il suo potenziale.

Si potrebbe dire che per quanto riguarda le condizioni sanitarie, la Palestina è in condizioni migliori rispetto ad altri paesi del Medio Oriente. Ma in quanto potenza occupante, secondo il diritto internazionale, è Israele ad avere la responsabilità della salute e del benessere della popolazione occupata. Così il confronto non dovrebbe essere con altri Paesi della regione, ma piuttosto con il sistema sanitario israeliano, che ha invece la possibilità di svilupparsi.

È visibile la differenza tra la popolazione israeliana e quella palestinese in termini di aspettativa di vita, mortalità infantile e tassi di mortalità materna. C’è una discrepanza nella qualità dei servizi. Anche tra i cittadini israeliani spesso si vedono molte disparità tra la popolazione palestinese-israeliana e quella ebraico-israeliana. Queste disparità sono radicate nel sistema.

AL: Come state affrontando i cambiamenti prodotti dal Coronavirus?

WH: In Cisgiordania hanno chiuso le scuole e le università appena sono stati scoperti i primi casi a Betlemme. Io ho dovuto spostare online tutte le mie lezioni. È stato difficile, ma credo che sia stato molto importante farlo. Hanno chiuso anche luoghi dove poteva esserci una grande affluenza, come le moschee. È complicato concentrarsi sul lavoro, perché c’è molta incertezza e ansia su come le cose possono andare avanti.

Tutti sono preoccupati. Io costantemente seguo le notizie sul sito web del ministero. Occupa molto la mia mente. Ma allo stesso tempo, vedi le persone che cercano di sostenersi a vicenda, anche se a distanza. I miei colleghi e la mia famiglia mi sono di grande supporto e tutti ci sentiamo l’un con l’altro. E ci sono poi iniziative come la preparazione di cesti di cibo per le famiglie in difficoltà.

Una situazione come questa mette a nudo molte delle iniquità che esistono su scala globale. Evidenzia chi è più vulnerabile. Credo sia importante non solo dire chi è più vulnerabile, ma anche riconoscere perché esistono queste vulnerabilità. Esse esistono a causa di questioni strutturali, il modo in cui le economie funzionano e il modo in cui la società è organizzata.

Qui in Palestina tutto è molto intrecciato con il contesto politico della perdurante occupazione, del colonialismo di insediamento e dell’apartheid. È importante ricordarsene. Ma non possiamo neanche perdere di vista la causa di tutto questo. Quel che accade in queste situazioni è che ci si fa prendere dall’urgenza della situazione, cercando di contenere il problema e di fornire soluzioni rapide ai problemi immediati. E credo sia importante. È importante prendere tutte le misure possibili per salvare la vita delle persone o fermare la diffusione di questa malattia.

Ci sono molte esigenze più urgenti, come la fornitura di test diagnostici o la costruzione della nostra infrastruttura di emergenza per affrontare questa situazione. Ma alla fine sarebbe un vero peccato se ci concentrassimo solo sulla risposta emergenziale senza chiedere a noi stessi perché queste vulnerabilità e iniquità strutturali continuano a esistere. Ecco perché dobbiamo concentrare il nostro discorso sulla giustizia e sulla libertà. Ci sono molte lezioni che devono essere apprese su scala globale e la soluzione deve esistere al di là dei confini nazionali. La solidarietà globale deve spingere i programmi che hanno come priorità il benessere delle popolazioni anziché la discriminazione e il profitto.

https://socialistproject.ca/2020/04/dispatches-from-palestine-covid19/#more

Traduzione di Gigliola Albertano ed Elisabetta Valento – Assopace Palestina

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