di Jonathan Ofir,
Mondoweiss, 20 agosto 2025.
In alcuni commenti trapelati, l’ex capo dei servizi segreti militari israeliani ha affermato che è necessario che Israele compia un genocidio a Gaza: “Il fatto che ci siano già 50.000 morti a Gaza è necessario e indispensabile per le generazioni future”.
In alcuni commenti trapelati e trasmessi su Channel 12, il canale di informazione mainstream più seguito in Israele, l’ex capo dei servizi segreti militari israeliani, il maggiore generale (in pensione) Aharon Haliva, è diventato l’ultimo membro dell’establishment israeliano a sostenere la necessità che Israele compia un genocidio a Gaza.
“Il fatto che ci siano già 50.000 morti a Gaza è necessario e indispensabile per le generazioni future. Ok, avete umiliato, massacrato, ucciso – tutto questo è vero. Il prezzo, come ho già detto prima della guerra, per tutto ciò che è successo il 7 ottobre [è che] per ogni [israeliano ucciso] il 7 ottobre, devono morire 50 palestinesi”, afferma Haliva nella fuga di notizie. “Non importa ora [se si tratta di] bambini, non sto parlando per vendetta, ne parlo come messaggio per le generazioni future, non c’è scelta: hanno bisogno di una Nakba ogni tanto per sentire il prezzo. Non c’è scelta, in questo quartiere pazzo”.
Sebbene non sia datata, la fuga di notizie risale presumibilmente alla fine di marzo di quest’anno, poiché Haliva fa riferimento al “fatto che ci sono già 50.000 morti a Gaza”. Haliva ricopriva il secondo grado più alto nell’esercito israeliano in un’unità che lavora a fianco dello Shin Bet ed è responsabile della valutazione dei rischi futuri. Haliva si è dimesso dal suo incarico un anno fa, in risposta al monumentale fallimento dell’intelligence del 7 ottobre 2023. È stato il primo alto dirigente a dimettersi, e altri lo hanno seguito.
C’è molto da analizzare in questo breve paragrafo del suo discorso. In esso, Haliva non solo ammette la politica che dimostra l’intenzione di Israele di continuare il genocidio a Gaza, ma riflette anche la mentalità profondamente razzista diffusa nella società israeliana che lo giustifica.
Dottrina genocida
Nella fuga di notizie, Haliva sostiene che il rapporto di 50:1 tra vittime e morti, che egli ritiene “necessario”, è qualcosa in cui credeva già prima della guerra, in altre parole è la sua idea generale di deterrenza. Questo concetto ha già un nome: la dottrina Dahiya, e io ho già scritto in precedenza su come questa politica abbia posto le basi per l’attuale genocidio. La dottrina, sviluppata nel 2008 dai generali israeliani e dall’Istituto per gli Studi di Sicurezza Nazionale (INSS, un organo militare-di sicurezza collegato all’Università di Tel Aviv), prende il nome dalla distruzione del quartiere Dahiya di Beirut nel 2006 (la “seconda guerra del Libano”), dove vivevano molte famiglie di membri di Hezbollah.
Haliva fa infatti riferimento alla “lezione” di Dahiya nel suo discorso, affermando che Hassan Nasrallah, il defunto leader di Hezbollah assassinato, aveva capito il messaggio, ma Yahiya Sinwar di Hamas no.
Haliva:
«[Nasrallah] ha capito il prezzo della guerra. Ha capito che non è pronto per essa e ha capito che [il leader militare di Hamas Yahya] Sinwar ha commesso un grave errore. Nasrallah ha perso un figlio ed era a Dahiya nel 2006. Ricorda il prezzo pagato. Sinwar non ha visto il prezzo».
È davvero strano sentire Haliva dire «Non parlo per vendetta» mentre sostiene l’uccisione di massa di bambini e una Nakba. Ovviamente si tratta di vendetta, ed è completamente genocida. Ma il tono di Haliva e la sua compostezza sulla questione dimostrano che non si tratta di uno sfogo momentaneo, bensì dell’espressione di una dottrina genocida.
Haliva non menziona esplicitamente il decreto biblico di Amalek, che chiede lo sterminio di una tribù nemica fino ai bambini e al bestiame, ma il suo messaggio suggerisce questa idea. L’analogia con Amalek è stata ripetuta innumerevoli volte dai leader israeliani, compreso il primo ministro Netanyahu, e un recente sondaggio mostra che due israeliani su tre vedono i palestinesi come la sua incarnazione attuale, e quasi tutti coloro che sostengono questa opinione insistono anche sull’espressione “sradicare la sua memoria” applicata ai palestinesi di oggi.
Haliva, tuttavia, menziona la Bibbia almeno una volta nella discussione, in riferimento al 7 ottobre: “In un evento così tragico, biblico, e in un disastro nazionale così catastrofico, c’è abbastanza responsabilità da attribuire a tutti”.
Il suggerimento di Haliva di una Nakba ripetuta come dottrina non solo fa eco alla dottrina Dahiya, ma anche alla massima israeliana di “falciare il prato” a Gaza. L’idea di “falciare il prato” a Gaza è un gergo israeliano che indica ripetuti attacchi, una descrizione cruda del dominio militare mortale in corso. Ma il genocidio di Gaza ha anche introdotto un altro termine: ungrounding [sradicamento]. Se in passato l’idea era quella di “falciare il prato”, la pratica del genocidio è stata quella di decimare completamente il prato e renderlo invivibile.
“Quartiere pazzo”
L’affermazione di Haliva secondo cui “non c’è scelta, in questo quartiere pazzo” ripete una convinzione israeliana molto diffusa, espressa da decenni dall’ex primo ministro israeliano Ehud Barak, che ha definito Israele una “villa nella giungla”. Barak, spesso considerato un rappresentante della sinistra israeliana, ha utilizzato questa convinzione profondamente colonialista, e quindi razzista, come giustificazione per mantenere un controllo violento.
Di tanto in tanto, secondo questo modo di pensare, Israele ha bisogno di “impazzire” per mostrare chi comanda, ma non perché è pazzo, bensì perché lo sono gli indigeni. Il ministro della Difesa israeliano Moshe Dayan una volta disse che “Israele deve essere come un cane rabbioso, troppo pericoloso per essere disturbato”. Varianti di questa idea sono state ripetute più volte dai funzionari israeliani. L’ex ministro della Difesa Pinhas Lavon, promotore dell’attacco terroristico sotto falsa bandiera al Cairo nel 1954, sosteneva che se mai Israele fosse stato provocato, bisognava “impazzire”. Durante la guerra del 2006 con il Libano, il primo ministro Ehud Olmert disse che i palestinesi dovevano capire che “il padrone di casa è impazzito”, promettendo “operazioni alla James Bond, bim bam!”.
Ancora una volta, non si trattava di “esponenti di destra”, ma di leader sionisti centristi, persino di sinistra.
La Nakba in corso
In risposta alla fuga di notizie, Haliva ha fornito a Channel 12 una dichiarazione in cui afferma tra l’altro:
“Le registrazioni trapelate sono state rese pubbliche riguardo a questioni discusse in un forum chiuso, e non posso che rammaricarmi di questo. Ovviamente, i frammenti di questioni parziali, portati alla luce in questa vicenda, non possono trasmettere il quadro completo, soprattutto quando si parla di questioni complesse che contengono molteplici dettagli e sono per lo più altamente riservate”.
Per quanto parziali e complesse, le dichiarazioni schiette di Haliva sulla punizione collettiva di Gaza si aggiungono a una serie crescente di dichiarazioni simili che dimostrano l’intenzione genocida.
La convinzione di Haliva che una Nakba debba essere ripetuta “di tanto in tanto” dimostra infatti come la Nakba del 1948 sia una catastrofe continua e pianificata, che i leader israeliani sembrano intenzionati a perpetuare all’infinito. Il genocidio di Gaza fa parte di questo continuum.
Haliva può aver rassegnato le dimissioni per i suoi fallimenti nell’intelligence e può aver riconosciuto le sue carenze tecniche, ma sembra che la vena genocida nella società israeliana sia troppo radicata perché la maggior parte delle persone possa rendersene conto. Così, i responsabili della Nakba cambiano solo nomi, titoli e ruoli, mentre la Nakba stessa continua.
Traduzione a cura di AssoPacePalestina
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