Non voglio stare dalla parte di coloro che rimangono in silenzio e non si muovono

Fida Shehada

Haaretz, 11 maggio 2025.  

L’oscurità non è solo stare dalla parte di coloro che premono il grilletto, ma anche stare dalla parte di coloro che rifiutano di vedere la sofferenza degli altri.

Un giovane avvolto in una coperta osserva le persone che cercano sopravvissuti tra le macerie di un edificio colpito da un attacco israeliano nel campo profughi di Al-Bureij, nella Striscia di Gaza centrale, all’inizio di maggio. Eyad Baba/AFP

Sono nata e cresciuta nella città centrale di Lod. I miei genitori sono arrivati lì da Majdal [l’odierna città israeliana di Ashkelon] e da Gaza. A causa della Nakba – quando oltre 700.000 arabi hanno lasciato o sono stati cacciati dalle loro case durante la guerra per l’indipendenza di Israele – ora viviamo a Lod. A causa dell’assedio di Gaza, mia madre non può visitare da anni i suoi familiari.

Negli ultimi due anni, non si è trattato solo di una separazione fisica, ma della paura costante di poterli perdere da un momento all’altro, sapendo che non c’è nulla che si possa fare per aiutarli. Non c’è modo di proteggerli. È una realtà dolorosa, frustrante e che fa sentire impotenti.

Eppure, sono convinta che non ci sia modo di raggiungere una soluzione – la pace o la liberazione – per israeliani e palestinesi senza il coinvolgimento di entrambe le parti.

Un’altra cosa: sono profondamente convinta che nessuna madre mette al mondo un figlio per perderlo. Una realtà in cui le madri di entrambe le parti perdono i propri figli non è una vita normale.

Le madri mettono al mondo i figli per crescerli, condividere le loro gioie, vederli crescere e un giorno vedere che hanno figli a loro volta. Per costruire una vita e mettere su famiglia. Questo è il lato umano, che viene prima della nazionalità, dello stato e della guerra.

Il mio sogno per questo luogo è vivere non all’ombra della distruzione, dei posti di blocco e della paura, ma in una realtà in cui io possa prosperare e vivere veramente. Tra dieci anni, voglio guardare negli occhi i miei figli e i miei nipoti e dire: ci siamo fatti avanti e abbiamo detto la verità. Non ci siamo nascosti e non abbiamo avuto paura.

Non sono un’eccezione. La mia storia personale non è diversa da quella della maggior parte dei palestinesi in Israele. La maggior parte di noi ha parenti a Gaza, in Cisgiordania e nei campi profughi. Non si tratta solo di un legame con la mia identità, ma di un legame profondo con la mia famiglia.

Viviamo tutti in questa realtà inimmaginabile: temiamo per la vita dei nostri cari mentre abbiamo la sensazione di continuare a vivere come se tutto fosse normale.

Vogliamo che tutti trovino il modo di agire, che ciò avvenga partecipando alle proteste, esprimendo la propria opinione, scrivendo, dissentendo o condividendo la verità sulla guerra e la distruzione e il proprio desiderio di pace. Questo significa anche parlare con i propri vicini senza paura e raccontare loro cosa sta realmente accadendo.

Sono cresciuta in una città multietnica. Quando si vive in una comunità del genere, si capisce che è necessario convivere, poiché si è entrambi qui; ma d’altra parte, si vuole comunque salvaguardare la propria identità.

Credo che sia così che dovrebbe essere: vivere insieme. Preferisco stare dalla parte della luce, dove tutti cercano la pace, piuttosto che dalla parte dell’oscurità. L’oscurità non è solo stare dalla parte di chi preme il grilletto, ma anche stare dalla parte di chi sceglie di rimanere in silenzio, di chi rifiuta di vedere la sofferenza degli altri.

A Lod c’è criminalità, c’è l’esercito, ci sono i coloni e la polizia. Non voglio essere circondata da così tante armi. Alla fine, questo riguarda anche noi. Non importa quanto io sia buona o gentile. Non sono diversa dagli altri; potrebbe succedere anche a me.

Ma la cosa più difficile che ho provato da bambina non era la paura della distruzione fisica, ma la paura della distruzione della mia identità nello spazio pubblico. Ho visto come insistevano nel marginalizzarci, rifiutando di accettarci. Un bambino vede tutto.

Non voglio stare dalla parte di chi tace e non fa nulla. Ai miei occhi, il silenzio è consenso. Non ho il privilegio di arrendermi. Non posso rinunciare a questo posto, non solo geograficamente, ma in termini di identità e di esistenza. Se rinuncio alla lotta, rinuncio al mio diritto di essere protetta, di vivere in pace e sicurezza. Rinuncio alla vita stessa.

Chiedo un futuro diverso per tutti noi, un futuro in cui non dovremo scusarci per ciò che sapevamo e abbiamo taciuto. Un futuro in cui vivremo in un luogo che riconosce il dolore, corregge le ingiustizie e permette a ogni bambino, indipendentemente da chi sia sua madre, di crescere, prosperare e sognare.

Fida Shehada coordina una coalizione chiamata Women Against Weapons (Donne contro le armi).

https://www.haaretz.com/opinion/2025-05-11/ty-article-opinion/.premium/i-dont-want-to-be-on-the-side-that-remains-silent-and-does-nothing/00000196-bb5d-df59-abde-fb7df1250000?utm_source=App_Share&utm_medium=iOS_Native

Traduzione a cura di AssopacePalestina

Non sempre AssopacePalestina condivide gli articoli che pubblichiamo, ma pensiamo che opinioni anche diverse possano essere utili per capire.

Lascia un commento