“I bambini mi perseguitano la notte”: la protesta che sta costringendo gli israeliani ad affrontare i bambini uccisi a Gaza

di Nir Hasson,

Haaretz, 26 Luglio, 2025.

I media israeliani non documentano le orribili morti di bambini a Gaza, così la psicoterapeuta traumatologica Adi Ronen Argov ha deciso di farlo da sola.

Ronen Argov durante una recente protesta. “Abbiamo raggiunto un livello di violenza e crudeltà in cui rendere le cose appetibili per coloro che si rifiutano di sapere è come sostenere la dipendenza di qualcuno. Non abbellirò la realtà”. Foto di Tomer Appelbaum

Rasha al-Ar’eer, una giovane ragazza di Gaza, era sopravvissuta al bombardamento di casa sua nel giugno dello scorso anno. L’esperienza l’aveva spinta a scrivere un testamento. Su un pezzo di carta che teneva in tasca, aveva scritto con inchiostro rosso: “Per favore, non piangete per me, mi fa male vedere le vostre lacrime. Date i miei vestiti ai bisognosi, dividete le mie cose – le scatole di perline, la paghetta, i libri, i giocattoli – tra i miei cugini. Per favore, non urlate a mio fratello Ahmed. Spero che rispetterete i miei desideri”.

Il 30 settembre, la casa della famiglia è stata bombardata di nuovo, Rasha è stata uccisa, e così anche Ahmed. Lei aveva 10 anni. Lui ne aveva 11. Sono stati sepolti una accanto all’altro.

Mohammed Hamada era nato dopo che sua madre si era sottoposta a 15 anni di trattamenti per la fertilità. Quando aveva 3 anni, è stato gravemente ferito in un attacco delle Forze di Difesa Israeliane. Un video caricato quel giorno mostra suo padre che corre per le strade devastate di Jabalya tenendo Mohammad tra le braccia, implorandolo di non morire. Pochi giorni dopo, Mohammed è morto per le ferite riportate. Un’altra clip mostra il padre che piange inconsolabilmente sul corpo di suo figlio prima di seppellirlo.

Taha Behroozi, 7 anni, è stata uccisa da una bomba israeliana nella città di Tabriz, in Iran, il mese scorso; due sorelle, Iman e Talia Nasser, del sud del Libano, sono state uccise in un attacco dell’aviazione. Nastya Buryk, una bambina di 7 anni originaria dell’Ucraina, è stata uccisa da un missile balistico iraniano a Bat Yam. Era venuta in Israele per essere curata per la leucemia ed è stata uccisa insieme a sua madre, sua nonna, suo fratello e sua zia. Aline Kapshetar, che aveva 8 anni, e suo fratello, Eitan, 5, sono stati uccisi a colpi di arma da fuoco mentre tornavano a casa a Dimona dai terroristi di Hamas la mattina del 7 ottobre 2023.

Solo un sito web in ebraico commemora questi bambini tutti insieme. Chiamato Forcibly Involved, è dedicato alla commemorazione dei bambini “non combattenti” di tutte le nazioni che sono stati uccisi dal 7 ottobre. Sfogliare il sito significa immergersi nell’incubo che tutti stiamo vivendo, ma che stiamo cercando di ignorare. Migliaia di ragazzi e ragazze morti, israeliani, libanesi, iraniani, ma soprattutto palestinesi della Striscia.

Secondo il ministero della Sanità di Gaza, Rasha, la bambina di 10 anni, è la numero 10.228 nella lista delle vittime stilata dal ministero. Ciò significa che fino ad oggi, 10.227 bambini più giovani di lei sono stati uccisi dalla guerra.

La fondatrice di Forcibly Involved è Adi Ronen Argov, 59 anni, una psicologa clinica del centro del paese specializzata in terapia del trauma. Negli ultimi due anni, è diventata un’agenzia di informazione individuale. È la più metodica documentatrice in lingua ebraica della morte e della sofferenza a Gaza da metà ottobre 2023.

Ronen Argov dice di essere sempre stata consapevole di ciò che sta accadendo per quanto riguarda la politica del governo e le azioni militari in Palestina ma, come molti altri, si è accontentata di partecipare a manifestazioni occasionali per placare la sua coscienza. Il punto di svolta è stato la “Notte della Bastiglia” – riferendosi alla grande manifestazione a Gerusalemme del 14 luglio 2020, nell’ambito delle proteste di Balfour Street – la strada dove si trova la residenza del primo ministro – contro la corruzione di Benjamin Netanyahu.

Quella è stata anche la prima volta che i manifestanti anti-Netanyahu e la polizia si sono scontrati violentemente per le strade di Gerusalemme, e la polizia ha portato cannoni ad acqua e agenti a cavallo per affrontarli. Ronen Argov era lì, e da allora la sua vita non è più stata la stessa.

“È stato un grido trasformatosi in azione. Ero stufa di tutto”, spiega in una delle conversazioni che abbiamo avuto a Tel Aviv e al telefono. Nelle settimane che seguirono, poiché il movimento di protesta non riuscì ad avere alcun effetto percepibile sulla persona che risiedeva in Balfour Street, un nuovo fenomeno ha cominciato ad emergere tra i manifestanti. Alcune decine di persone sono diventate attiviste contro l’occupazione in Cisgiordania e contro la discriminazione subita dalla popolazione araba di Israele. Ronen Argov si è unita al gruppo e ha iniziato ad agire in Cisgiordania.

Nel febbraio 2021 ha preso parte a una manifestazione nella città di Umm al-Fahm, in Galilea, per protestare contro la mancanza di azione della polizia nell’affrontare i dilaganti omicidi nella comunità araba. Ha pubblicato su Facebook filmati in tempo reale della violenza della polizia. “Era la prima volta che usavo Facebook Live”, ricorda.

Il suo filmato di agenti di polizia che sparano gas lacrimogeni e cospargono i manifestanti con “acqua puzzolente” è diventato virale. “Mi sono resa conto che, in quanto persona privilegiata, ero obbligata a usare la mia voce. A Umm al-Fahm, mi hanno detto: ‘A te crederanno, ma a noi no’. Così mi è venuto in mente che dovevo essere io a raccontare la storia. Ho visto l’impatto della documentazione. Una settimana dopo, migliaia di ebrei israeliani si presentarono per sostenere Umm al-Fahm. È vero che una settimana dopo non sono tornati, ma penso ancora che abbia avuto un effetto”.

Nella fase successiva, Ronen Argov ha ampliato le sue attività di documentazione in Cisgiordania. “Ho accompagnato un po’ i pastori [palestinesi] e spesso ho partecipato alle proteste nella città di Beita, sulle cui terre è stato stabilito l’avamposto dei coloni di Evyatar. Soto stata al fianco dei palestinesi, ho inalato gas lacrimogeni e ho visto l’asimmetria tra una forza armata e dei bambini con le pietre.

“Non c’è modo che le pietre possano raggiungere i soldati sulla collina”, continua, “i quali invece sparano gas lacrimogeni, granate stordenti e talvolta proiettili veri. La crudeltà che dilagava in mezzo al paesaggio mozzafiato mi ha colpito. Da allora ho iniziato ad andare alle manifestazioni a Sheikh Jarrah. Durante una manifestazione, una granata stordente mi ha danneggiato l’udito”.

Il potere combinato della clip di Umm al-Fahm e delle esperienze in Cisgiordania e a Gerusalemme Est ha dato origine a un gruppo WhatsApp di aggiornamenti quotidiani sugli eventi in Cisgiordania: due anni e mezzo fa il gruppo di chat si è evoluto in un sito web che lei amministra chiamato The Daily File (in ebraico ed inglese) che documenta l’occupazione senza sosta: le vittime e i morti, le incursioni dell’IDF e le demolizioni di case, gli attacchi dei coloni.

Il 7 ottobre 2023, Ronen Argov era impegnata a documentare la morte di minori in Cisgiordania, ma dopo lo scoppio della guerra ha abbandonato il progetto e si è recata all’hotel del Mar Morto, dove erano ospitati i sopravvissuti del Kibbutz Be’eri. Lì, è tornata alla sua occupazione originaria: curare le famiglie colpite da traumi.

“Ho due amici di una famiglia di Be’eri, alcuni dei cui membri sono stati uccisi e una donna rapita. Il mio amore per loro mi ha spinto a salire in macchina e guidare fino all’hotel. Sono stata testimone dello shock, della portata dell’orrore, delle ripetute grida di aiuto nei gruppi WhatsApp. Sono tornata a casa, ho messo musica ad alto volume, urlando e piangendo”, racconta. “Ero in uno stato di paralisi, furiosa con lo stato e l’esercito, ma non sono ‘tornata in me’ e non mi sono confusa. Ciò che avevo visto non mi ha fatto infuriare con il popolo palestinese”.

Nelle settimane successive, The Daily File ha ripreso le sue attività, ma ha anche iniziato a concentrarsi sulla situazione a Gaza. Le informazioni vengono presentate in modo obbiettivo, ma non risparmiano i lettori. Il rapporto del 15 luglio, ad esempio, si apre con statistiche brutali: 93 morti e 278 feriti nelle ultime 24 ore. Si può vedere una clip di due bambini feriti che giacciono sul pavimento di un ospedale e un uomo anziano che cerca di convincerli a raccontare cosa è successo.

Il rapporto include filmati di bombardamenti in varie parti della Striscia e ulteriori informazioni: “I corpi di tre bambini salvati [tirati fuori] dalle macerie della casa della famiglia Nassar. Il numero delle persone uccise nell’attentato di alcuni giorni fa è salito a 12. Bombardamenti tra i residenti: 9 morti, tra cui cinque bambini, e oltre 25 feriti. Al Rimal: sfollati, tende bombardate, feriti; Tel El Hawa: Torre Al Awda [edificio residenziale] n. due bombardata. Un drone attacca l’area della scuola di Jarar al-Qudra: una persona uccisa e diversi feriti. Una casa è stata bombardata vicino alla moschea di Al Radwan: quattro persone sono state uccise. Un drone attacca la piazza [a Bani Suheila]: sette persone uccise”. E così via, e così via. Un giorno qualunque nella Striscia di Gaza.

Altre immagini accompagnano il servizio del 15 luglio su The Daily File: fotogrammi e video clip di piccoli cadaveri, un bambino il cui volto è coperto di sangue, edifici che esplodono e masse di persone che strisciano sulla sabbia, cercando di sfuggire alla sparatoria vicino a un centro di distribuzione di cibo.

“Ci sono video che non pubblico, come quelli di parti del corpo macellate, ma il sito non ha lo scopo di suscitare pietà”, dice Ronen Argov. “Penso che abbiamo raggiunto un livello di violenza e crudeltà in cui rendere le cose appetibili per coloro che si rifiutano di sapere è come sostenere la dipendenza di qualcuno. Non voglio continuare a fingere. Non sto cercando di convincere le persone. Entrare nel sito è una scelta, e non mi aspetto che la gente entri tutti i giorni, ma se lo faranno, non abbellirò la realtà”.

Il Daily File è come un negativo fotografico dei media israeliani. Un articolo sul sito di questa settimana citava Ron Yaron, direttore di Channel 12 News, il telegiornale più popolare di Israele, che spiegava perché non è necessario raccontare gli eventi di Gaza in televisione. “È difficile relazionarsi con essi”, ha affermato Yaron. Secondo Avishai Grinzaig, che scrive per i24NEWS, “La ragione per cui i canali televisivi non trasmettono queste immagini [cioè da Gaza] è che il pubblico non vuole vederle”.

“Penso che sia un’arroganza totale. È vergognoso che i media abbiano dimenticato il loro scopo”, afferma Ronen Argov. “Non stanno spingendo il pubblico a fare domande sulla situazione, ma lo stanno solo inondando di informazioni. La maggior parte dei media israeliani non sta adempiendo al proprio ruolo”.

Qualche settimana fa, lei e alcune altre attiviste hanno lanciato un’iniziativa volta a convincere le donne di alto rango dei media a parlare della situazione nella Striscia di Gaza. “Mi è stato dato il numero di telefono di una giornalista di spicco. Le ho mandato una sorta di messaggio personale. Ho scritto che ammiravo molto il modo in cui aveva rotto il soffitto di cristallo per le donne. Mi ha chiesto di inviare delle cifre sulla situazione. Le ho inviato [informazioni] per un po’, ma non ha risposto”.

Doppia vita

Più di un anno fa, Ronen Argov e il collega attivista Shaul Tcherikover hanno avviato il progetto Forcibly Involved per documentare i bambini uccisi in Israele, nei Territori e in pochi altri paesi. Si apriva con la storia di un ragazzo di 12 anni di nome Zayn Uruk. Nell’aprile 2024 era stata pubblicata una breve clip di Uruk dopo che era riuscito a prendere un pacco di cibo lanciato in aria. Zayn ha raccontato l’evento con emozione e con un sorriso a qualche intervistatore invisibile (la clip ha i sottotitoli in inglese). “Stavo cercando da mezzogiorno [di ottenere un pacco]… Stavo per morire [letteralmente, sono stato quasi ucciso] quando la gente si è precipitata a prendere gli aiuti”.

Pochi giorni dopo, Zayn è stato davvero ucciso mentre cercava altro cibo: è stato colpito da un pacco di aiuti. Non molto tempo dopo, il comico israeliano Avi Nussbaum ha deriso gli abitanti di Gaza che sono stati uccisi dopo essere stati colpiti da pacchi di cibo lanciati per via aerea. “Non è piacevole riderci sopra, ma immaginate che oggi qualcuno a Gaza è morto a causa di un missile guidato sparato da un elicottero, mentre qualcun altro è stato ucciso da un barattolo di mais che è caduto sulla sua testa”. Il pubblico lo ha applaudito.

“C’era qualcosa nel sorriso di Zayn, nei suoi occhi timidi, che mi ha catturato”, ricorda Ronen Argov. “Penso che il comico stesse parlando per ignoranza”.

Pochi giorni dopo la morte del ragazzo, l’anno scorso, lei e altri attivisti hanno iniziato a manifestare in piazza Habima a Tel Aviv con foto di bambini e adolescenti di età inferiore ai 18 anni che sono stati uccisi a Gaza, con la didascalia “Coinvolti con la forza”.

Più o meno in quel periodo, il giornalista palestinese Tamer Almisshal ha invitato i genitori di Gaza a pubblicare le immagini dei loro figli morti; Ha ricevuto centinaia di foto e nomi di giovani. La maggior parte sono stati fotografati in abiti festivi, mettendosi in posa per la macchina fotografica. Ispirati da lui, Ronen Argov e i suoi colleghi hanno iniziato a postare regolarmente foto e nomi dei bambini morti.

“La gente pensa che pubblico solo [immagini di] palestinesi, ma non è vero. Ci sono anche israeliani, libanesi e iraniani”, dice. “Ci sono state anche risposte strane: ‘Sono davvero dolci, non sembrano palestinesi’. Ma è proprio questo lo scopo: umanizzare”.

Si è così sviluppato “un progetto che commemora i nomi dei bambini uccisi dal 7 ottobre 2023 in poi, da entrambi i lati del confine, senza differenze di nazionalità e con la convinzione che ogni bambino ha un nome, una vita che è stata finita e sogni interrotti”, come spiega il sito web Forcibly Involved. Compaiono le immagini dei bambini con alcuni dettagli e la frase “era qui, ma ora non c’è più”; Misk al-Sharif, 1 anno, “uccisa in un campo di sfollati insieme alla madre incinta”; Muhammad Aziz Fadel, “ucciso mentre cercava di procurarsi del cibo”; “Jouri al-Masri, 3 mesi, era qui, ma ora non più. Morto di malnutrizione e disidratazione a causa della mancanza di un latte artificiale appropriato. Gaza, 27 giugno 2025”.

La scorsa settimana, il New Israel Fund ha annunciato che Ronen Argov è stata la destinataria di quest’anno del premio Truth to Power, assegnato a un individuo “che agisce senza paura e pubblicamente contro le strutture di potere”. Il premio in denaro di 100.000 shekel (circa 30.000 dollari) la aiuterà a migliorare il suo sito e a renderlo più facile da usare.

A partire dal 23 marzo, circa una settimana dopo che Israele ha violato il cessate il fuoco con Hamas e ucciso centinaia di bambini e donne di Gaza in una sola notte, le foto si sono spostate dal mondo virtuale a quello reale – letteralmente, alla strada. Gli attivisti hanno esposto manifesti dei giovani morti e si sono fermati in via Kaplan a Tel Aviv mentre i partecipanti alla manifestazione settimanale che chiedeva la restituzione degli ostaggi passavano lungo il tragitto da piazza Habima al Kirya, il quartier generale dell’establishment della difesa.

“Eravamo tra le 10 e le 20 donne attiviste, ed eravamo preparate a maledizioni e opposizione, ma sorprendentemente, ci sono state solo poche imprecazioni – la gente si è per lo più interessata “, dice Alma Beck, una delle organizzatrici della protesta dei bambini in corso. “La gente per lo più non capiva e ci chiedeva cose come: ‘Così tanti bambini?’ Abbiamo dovuto spiegare che questo non era nulla in confronto alla realtà. Alcune persone sono rimaste scioccate, altre hanno voluto unirsi a noi.

“La settimana successiva, abbiamo stampato 100 foto, e tutte sono state prese dai manifestanti che si sono uniti a noi. Dopo di che ne abbiamo stampate 300, e di nuovo tutte le foto sono state prese e la fila [dei dimostranti] si è allungata. Sentivamo che stavamo riuscendo ad abbattere un muro”.

Ronen Argov concorda sul fatto che si sta gradualmente verificando un cambiamento nell’atteggiamento dell’opinione pubblica israeliana nei confronti degli eventi di Gaza. “È diventato più facile reclutare persone per tenere un cartello in manifestazioni silenziose a nome dei bambini; sempre più persone si interessano a ciò che sta accadendo. Penso che ci sia qualcosa nel raccontare la fame, che scuote maggiormente le persone”.

Yali Merom e il suo compagno, Maayan Dak, di Rehovot, hanno portato questa protesta nelle basi dell’aeronautica. “Viviamo a Rehovot, sentiamo gli aerei decollare e ci chiediamo chi uccideranno questa volta”, dice Merom. “Abbiamo deciso di smettere di urlare contro di loro dal basso e di portare le fotografie alle basi. Ci fermiamo all’ingresso della base con le immagini dei bambini. Non gridiamo ‘Assassini’ e non li insultiamo, vogliamo solo che vedano i risultati delle loro azioni”.

Queste proteste di solito si svolgono in sordina, anche se occasionalmente ufficiali di alto rango delle basi hanno cercato di cacciare via i manifestanti e hanno chiamato la polizia. “Ma a volte ci parlano”, aggiunge Meron. “Un comandante di squadrone ha chiesto cosa sarebbe successo se uno dei piloti avesse deciso di non bombardare Gaza. Gli abbiamo detto che avrebbe solo migliorato la situazione”.

Nonostante le crepe nell’opinione pubblica riguardo ai massacri in corso a Gaza, Ronen Argov è pessimista riguardo il produrre in tempi brevi un vero cambiamento nell’atteggiamento della società israeliana nei confronti dei crimini nella Striscia.

“Siamo nel bel mezzo di un trauma prolungato”, dice, “e durante un trauma prolungato, la risposta è quella di tornare ad atteggiamenti molto semplicistici di bianco e nero. Non c’è possibilità di contenere la complessità, e la compassione è generalmente piuttosto complicata”.

È anche molto pessimista sulla capacità della società di far fronte alle atrocità perpetrate in suo nome. “Penso che lo capiremo davvero solo con il senno del poi, solo tra generazioni, quando i nipoti dei soldati di oggi chiederanno: ‘Cosa facevi allora?’ Per il momento l’IDF è ancora considerata l'”esercito del popolo” e tutti hanno una qualche connessione con un soldato. Quindi il soldato che amo e che è importante per me, può essere mai un criminale di guerra? È tutto ancora troppo vicino; C’è un’enorme dissonanza, un’enorme rottura. Così, nel frattempo, sto creando un archivio sulla base del quale sarà possibile in futuro analizzare le cose. Il cambiamento non avverrà nel corso della mia vita”.

In qualità di esperta in materia, Ronen Argov si è auto-diagnosticata di aver subito un trauma secondario a causa della sua esposizione ai video e alle testimonianze. “Ho difficoltà a dormire, mi arrabbio facilmente, ho sentimenti di disperazione, sensibilità ai rumori. Sogno i bambini, mi perseguitano la notte”, dice, elencando i suoi sintomi.

Descrive anche un’ondata di odio diretta contro di lei da parte di navigatori del web e commentatori: “Ho smesso di leggere e non rispondo, ho sviluppato una sorta di immunità. Ma da persona che credeva davvero negli altri, sono diventata a mia volta un’odiatrice delle persone. Evito le feste; quando ci sono eventi o una riunione di famiglia trovo scuse per non andare. Vivo una doppia vita che non posso condividere con le persone che mi sono care. C’è una parte in me che non riesce a perdonare chi sta normalizzando le cose”.

Nel primo anno e mezzo di guerra, ammette di aver esitato a chiamare “genocidio” ciò che veniva fatto a Gaza. Quei dubbi sono scomparsi, tuttavia, sulla scia del bombardamento mortale che ha ucciso centinaia di donne e bambini la notte del 18 marzo, quando Israele ha violato il cessate il fuoco con Hamas e ha ripreso la guerra.

Ronen Argov: “Da allora, ho fatto i conti con il concetto. Non si tratta solo del numero di coloro che sono stati uccisi; è il modo metodico in cui viene fatto. Si può dire che c’è veramente un elemento di intenzione [di perpetrare un genocidio] non solo sentendo le dichiarazioni dei politici e dei comandanti sul terreno, ma vedendo le azioni che si stanno verificando”.

Qualche mese fa, si è imbattuta in una fotografia di un ragazzo morto il cui nome era scritto sulla sua mano. “Si scopre che i genitori scrivono i nomi sugli arti dei loro figli, in modo che sia possibile identificarli quando muoiono. Più o meno nello stesso periodo, ho scoperto una poesia di Zeina Azzam intitolata “Gaza” in arabo [titolo inglese: “Scrivi il mio nome”], che conclude:

“Scrivi il mio nome sulla mia gamba, mamma
non aggiungere numeri
come quando sono nato o l’indirizzo della nostra casa.
Non voglio che il mondo mi elenchi come un numero.
Ho un nome e non sono un numero.
Scrivi il mio nome sulla mia gamba, mamma,
quando la bomba colpirà la nostra casa,
quando i muri schiacceranno i nostri crani e le nostre ossa,
 le nostre gambe racconteranno la nostra storia,
che non c’era nessun posto dove scappare.

“Ho in mente l’immagine di un gruppo di bambini morti sotto una coperta, e si vedono i loro nomi scritti sulla gambe”, dice Ronen Argov. “Questa è un’immagine che non dimenticherò – come potrei mai dimenticarla?”

https://www.haaretz.com/israel-news/2025-07-26/ty-article-magazine/.premium/the-children-haunt-me-at-night-a-protest-forces-israelis-to-face-kids-killed-in-gaza/00000198-4493-d626-abfa-66b36cf80000?fbclid=IwQ0xDSwLyvN5leHRuA2FlbQIxMQABHn7wLeAlZQ0c86b-TIrxLI04aknOnISm2QVCs180Tb-ttQlsxS43fv212PRM_aem_tzX6o0-q4oJV9VgHFVINwA

Traduzione a cura di AssopacePalestina

Non sempre AssopacePalestina condivide gli articoli che pubblichiamo, ma pensiamo che opinioni anche diverse possano essere utili per capire.

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