di Nir Hasson,
Haaretz, 23 luglio 2025.
La Gaza Humanitarian Foundation, sostenuta dagli Stati Uniti, questa settimana si è vantata delle sue consegne di pasti, ma un’analisi più approfondita dei dati mostra che la fame nella Striscia è solo peggiorata.

A un occhio poco critico, la Gaza Humanitarian Foundation (GHF), sostenuta da Israele e dagli Stati Uniti, sembra una storia di vertiginoso successo. Dopo aver vantato lunedì 21 luglio di aver già distribuito più di 85 milioni di pasti e che la distribuzione della giornata era avvenuta senza incidenti, si sarebbe potuto pensare che tutti i problemi precedenti e le notizie negative fossero solo i dolori del parto del neonato progetto.
Ma in questa equazione del successo occorre tenere conto di alcune altre variabili. Innanzitutto, l’equazione manca di contesto e ignora il quadro più ampio. Se oggi nella Striscia di Gaza vivono circa 2,1 milioni di persone, che dovrebbero mangiare tre pasti al giorno, e considerando che lunedì la GHF era operativa da 56 giorni, quanti pasti avrebbe dovuto distribuire? Un semplice calcolo fornisce la risposta: 353 milioni.
Quindi, anche se per miracolo i gazawi fossero riusciti a dividere equamente tra loro il cibo distribuito dall’organizzazione, a cucinarlo e a estrarne ogni caloria e nutriente, si tratterebbe comunque solo di una piccola parte del cibo di cui hanno bisogno per sopravvivere. E questo divario rivela solo la punta dell’iceberg della matematica della fame.
Non mancano altri segnali. Da questo fine settimana, la fame a Gaza è ulteriormente aumentata. Ospedali, organizzazioni umanitarie, giornalisti e residenti di Gaza segnalano gravi carenze di cibo anche rispetto ai mesi precedenti.
Martedì, il Ministero della Salute di Gaza, gestito da Hamas, ha riferito che nelle ultime 24 ore sono morte di fame o malnutrizione 15 persone, tra cui quattro bambini. Dall’inizio della guerra, ha affermato, 101 persone sono morte per queste cause, tra cui 80 bambini. E decine di questi decessi si sono verificati negli ultimi giorni.

La fame a Gaza non è evidente solo dai numeri. È evidente anche nelle foto, nei video e nelle testimonianze. Internet ne è pieno: bambini affamati con la pancia gonfia e le braccia e le gambe magre come stecchini, un anziano che mangia foglie di fico per riempirsi lo stomaco, la storia di un uomo che ha divorziato dalla moglie perché lei aveva mangiato parte della sua razione di pane.
Gli ospedali segnalano casi di anziani che sono collassati per la debolezza, il caldo e la fame. I genitori descrivono i loro sforzi per dare ai figli un po’ di conforto al posto del pane.
“Non mangio nulla da due giorni”, ha detto all’agenzia di stampa Quds una donna di nome Salwa, madre di un neonato. “Il mio corpo non produce latte e mio figlio piange finché non riesce ad addormentarsi. Gli diamo da mangiare acqua di riso… Ma lui sa la verità, perché non ha sapore”.
Mentre arrivano notizie di un intensificarsi della fame, la GHF continua a diffondere comunicati stampa festosi sulla distribuzione di grandi quantità di cibo, come se esistessero due universi paralleli che non si intersecano mai. Per comprendere la relazione reciproca tra questi due universi, è necessario approfondire le statistiche e i fatti.

Secondo la GHF, ogni pacco di aiuti contiene circa 58 pasti (il numero è calcolato ipotizzando tre pasti al giorno per una famiglia di 5,5 persone per 3,5 giorni). Ma anche questa cifra solleva interrogativi.

Ad esempio, date le condizioni di vita reali a Gaza, è davvero possibile ricavare quasi 60 pasti da 16-18 chilogrammi di cibo? La composizione dei pacchi varia, ma in generale contengono quattro chilogrammi di farina, tre di pasta, un barattolo di tahini, quattro chili di ceci e lenticchie, una bottiglia di olio, un chilo di sale e due chili di riso.
Molti di questi ingredienti devono essere cucinati. Ma oggi a Gaza è una missione impossibile, dove quasi nessuno ha una cucina funzionante o il gas per cucinare. Inoltre, c’è una grave carenza di acqua potabile, necessaria anche per cucinare questi alimenti. E questo senza contare l’ovvio: le difficoltà di conservare e immagazzinare il cibo per alcuni giorni tra ripetute fughe e spostamenti.
Un’altra questione è se il cibo della GHF arrivi effettivamente alle persone che ne hanno bisogno. Da quando l’organizzazione ha iniziato a operare due mesi fa, ha rilasciato i suoi pacchi attraverso quattro centri di distribuzione. Questi sono aperti tutti i giorni, ma solo per un breve periodo, di solito circa 15 minuti, dopodiché il cibo finisce. E gli orari di apertura non sono noti in anticipo.


La combinazione della fame diffusa e dell’incertezza sugli orari di apertura dei centri ha creato una situazione in cui decine di migliaia di persone rischiano la vita ogni giorno. Circondano i centri di distribuzione per tutto il giorno nella speranza di riuscire a procurarsi un po’ di cibo per la propria famiglia. Alcuni dormono persino sulla sabbia nelle zone di fuoco intorno ai centri nel tentativo di arrivare per primi.
Questa pressione ha trasformato le strade che conducono ai centri di distribuzione e i centri stessi in trappole mortali. Ogni giorno decine di persone vengono uccise, di solito dai soldati israeliani, che cercano di controllare la folla con il fuoco. Ad oggi, più di 1.000 palestinesi sono stati uccisi nei centri di distribuzione, mentre si recavano lì o vicino ai camion che trasportavano cibo.
I fortunati che sopravvivono e riescono a entrare nei centri di distribuzione si dirigono poi verso le pile di pacchi e prendono tutto ciò che riescono a trasportare. A differenza dell’ONU e di altre organizzazioni umanitarie, che utilizzano centinaia di punti di distribuzione e liste ordinate dei destinatari, nelle strutture della GHF non esiste né legge né ordine. Tutti prendono ciò che possono e poi fuggono per salvarsi la vita. Di conseguenza, le persone che hanno più bisogno di cibo – bambini piccoli, donne, anziani e malati – rimangono a mani vuote.
Anche tra coloro che riescono a ricevere gli aiuti, ci sono differenze, secondo una persona che ha vissuto a Gaza fino a poco tempo fa. Ha detto che ci sono gruppi organizzati di giovani uomini i cui membri si recano nei centri di distribuzione per trarne profitto.
“Aprono le casse, raccolgono le cose più costose – formaggio, olio, forse tonno – poi corrono verso un’auto parcheggiata non lontano e le caricano”, ha detto. “Sulla strada del ritorno ai campi profughi, vendono i prodotti direttamente dall’auto. Più si allontanano dai luoghi di distribuzione, più i prezzi aumentano”.

E anche nei casi in cui il cibo arriva alle persone più bisognose, spesso non è di aiuto. Questo perché il cibo distribuito dal GHF non è sufficientemente vario. Tra le altre cose, non ci sono alimenti specifici per persone affette da celiachia, malattie cardiache o renali.

Soprattutto, c’è una grave carenza di latte in polvere, che sembra essere la carenza più letale di tutte. Il latte artificiale è diventato essenziale per salvare la vita dei bambini di Gaza quando le loro madri malnutrite non sono più in grado di allattare.
Su questo tema, le dichiarazioni rilasciate dal Coordinatore delle Attività Governative nei Territori (COGAT) contraddicono la realtà sul campo. Secondo il COGAT, negli ultimi due mesi sono state portate a Gaza 2.500 tonnellate di latte artificiale e alimenti arricchiti per bambini. Ma il termine “portati” ha diverse interpretazioni.
Le organizzazioni umanitarie attive a Gaza sostengono che gran parte del cibo che entra a Gaza rimane bloccato sul lato palestinese del valico di frontiera perché l’IDF non permette ai camion di proseguire. In altri casi, i camion riescono ad arrivare più lontano all’interno di Gaza, ma vengono saccheggiati lungo il tragitto verso i magazzini di distribuzione.

In entrambi i casi, il caos creato dai combattimenti, i ripetuti sfollamenti della popolazione e il collasso del sistema sanitario stanno privando i bambini più bisognosi di cibo e quindi della possibilità di sopravvivere.
Questo disastro era stato previsto. Nutrizionisti ed esperti nella distribuzione di aiuti umanitari avevano avvertito il governo proprio di questo scenario. Ma nonostante i bambini che muoiono, gli adulti affamati e il completo collasso del piano di distribuzione alimentare ideato da Israele, nessuno nelle istituzioni israeliane sembra sentire alcuna urgenza.
Compresa la Corte Suprema Israeliana. Il 18 maggio, quattro organizzazioni per i diritti umani hanno chiesto alla Corte (dopo che la loro precedente petizione sulla questione era stata respinta) di ordinare al governo di consentire l’ingresso di cibo a Gaza senza limitazioni. Da allora, la Corte ha presentato 10 richieste di rinvio della sua risposta.
L’ultima richiesta, presentata dagli avvocati Yonatan Berman e Jonathan Sitton del dipartimento della Corte Suprema, è stata approvata martedì 22 luglio dal giudice Yosef Elron, proprio come le nove che l’hanno preceduta.
Traduzione a cura di AssopacePalestina
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