“Sono uno studioso di genocidio. Lo riconosco a prima vista”: il prof. Omer Bartov parla del crescente consenso ad applicare questa definizione a Gaza

di Omer Bartov

Democracy Now, 17 luglio 2025.  

Omer Bartov è uno studioso israeliano-americano, professore di studi sull’Olocausto e il genocidio alla Brown University.

Trascrizione dell’intervista fatta dal programma Democracy Now! a Omer Bartov.

NERMEEN SHAIKH (co-conduttrice di Democracy Now): L’esercito israeliano continua ad attaccare i civili in tutta la Striscia di Gaza, con almeno 93 palestinesi uccisi nelle ultime 24 ore, portando il numero totale dei morti a Gaza a 58.000, per lo più donne e bambini. Si ritiene che questo numero sia molto sottostimato. Si pensa che almeno 10.000 persone siano sepolte sotto le macerie. L’ONU stima che circa il 92% di tutti gli edifici residenziali di Gaza, circa 436.000 case, siano stati danneggiati o distrutti.

Mentre la situazione continua a deteriorarsi, si è tenuto a Bogotà, in Colombia, un incontro di emergenza del Gruppo dell’Aia per discutere del conflitto. L’incontro si è concluso con l’annuncio di una serie di misure volte a fermare gli attacchi di Israele contro la Palestina e a porre fine all’era dell’impunità. Il Gruppo dell’Aia si è costituito a gennaio come blocco di paesi del Sud del mondo impegnati a coordinare misure legali e diplomatiche in difesa del diritto internazionale e in solidarietà con il popolo palestinese. Attualmente conta 30 stati membri. Le misure annunciate al termine del vertice includono il divieto di vendita di armi a Israele e la revisione dei rapporti con le aziende che traggono profitto dall’occupazione della Palestina. Finora solo 12 stati hanno accettato di attuare tali misure. Il vertice è stato co-presieduto dal Sudafrica e dalla Colombia. Questo è il presidente colombiano Gustavo Petro.

GUSTAVO PETRO (Presidente della Colombia): [tradotto dallo spagnolo] Dobbiamo uscire dalla NATO. Dobbiamo formare un esercito della luce con tutti i popoli del mondo che lo desiderano. E dobbiamo dire all’Europa che se vuole stare con l’America Latina o l’Africa, deve smettere di aiutare i nazisti. E dobbiamo dire al popolo americano di tutti i colori, perché ora è di tutti i colori, di smettere di aiutare i nazisti.

NERMEEN SHAIKH: La dichiarazione congiunta del Gruppo dell’Aia afferma l’impegno a, cito testualmente, “rispettare i nostri obblighi di garantire la responsabilità per i crimini più gravi ai sensi del diritto internazionale attraverso indagini e procedimenti giudiziari rigorosi, imparziali e indipendenti a livello nazionale o internazionale, in conformità con il nostro obbligo di garantire giustizia a tutte le vittime e la prevenzione di crimini futuri”, fine citazione.

AMY GOODMAN (Conduttrice di Democracy Now): Beh, forse non c’è crimine più grave del genocidio. Il nostro prossimo ospite, Omer Bartov, è professore di studi sull’Olocausto e sul genocidio alla Brown University. È uno studioso israeliano-americano che è stato descritto [dal] Museo Memoriale dell’Olocausto degli Stati Uniti come uno dei massimi esperti mondiali in materia di genocidio. Ha appena scritto un editoriale per il New York Times intitolato “Sono uno studioso di genocidio. Lo riconosco a prima vista”. Il professor Bartov è con noi da Cambridge, Massachusetts.

Dunque, perché non ci espone la sua tesi, professor Bartov? E grazie per essere tornato da noi.

OMER BARTOV: Beh, grazie per avermi invitato di nuovo.

La tesi che ho sostenuto nell’articolo e che sostengo da tempo è che all’inizio, subito dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre, i leader politici e militari israeliani hanno fatto una serie di dichiarazioni che potevano essere interpretate come un invito al genocidio. Ma, a quel punto, non c’era ancora alcuna prova che ciò fosse stato messo in atto.

Con il passare del tempo, direi entro maggio 2024, è diventato evidente che quelle dichiarazioni non erano state fatte solo nella foga del momento dopo il massacro di Hamas, ma che venivano effettivamente messe in atto in modo tale da rendere impossibile la vita a Gaza, da rendere l’intera Striscia di Gaza inabitabile e da distruggere tutte le istituzioni che avrebbero permesso a quel gruppo di ricostituirsi come gruppo sociale, culturale e politico una volta terminata la violenza. Naturalmente, non è ancora finita. Ho iniziato a pensarlo a maggio. Nell’agosto dello stesso anno ho scritto un articolo in cui spiegavo tutto questo.

Ma la violenza è continuata e, come lei ha appena riferito, il tentativo di distruggere completamente Gaza è continuato da allora in poi. Ed è ormai chiaro che Israele sta cercando di concentrare la popolazione di Gaza nella parte più meridionale della Striscia, di circondarla e di costringerla, alla fine, a morire lì o ad essere espulsa dalla Striscia di Gaza.

NERMEEN SHAIKH: Ovviamente, le argomentazioni che lei ha esposto, professor Omer Bartov, rendono del tutto indiscutibile la tesi che lei sostiene nel suo articolo, ovvero che è in corso un genocidio e che questo è il piano a lungo termine di Israele. Nel suo articolo, però, lei sottolinea che gli studiosi di genocidio sono spesso riluttanti ad applicare il termine “genocidio” agli eventi contemporanei, in parte perché, come lei scrive, quel termine “spesso serve più a esprimere indignazione che a identificare un crimine particolare”. Naturalmente, ci sono persone che credono che questo sia il caso anche oggi per quanto riguarda Gaza. Potrebbe rispondere a questa osservazione?

OMER BARTOV: Esatto. Questo è uno dei motivi per cui non mi sono espresso subito dopo il 7 ottobre dicendo: “Beh, Israele sta per commettere un genocidio”, perché, nonostante quelle dichiarazioni, bisognava osservare e vedere cosa stava realmente accadendo sul campo. Sì, è vero che il termine “genocidio” è stato usato più come espressione di indignazione di fronte a massacri, uccisioni di massa, ma ciò non significa necessariamente che ciò a cui si assisteva fosse un genocidio. Il termine “genocidio” è ben definito in una convenzione delle Nazioni Unite del 1948. E secondo il diritto internazionale, solo gli eventi che possono essere considerati conformi alla definizione possono essere considerati genocidio. Ciò significa che è necessario dimostrare sia che esiste l’intenzione di distruggere un determinato gruppo, in tutto o in parte, in quanto tale, sia che tale intenzione sia stata messa in atto. E questo, ovviamente e purtroppo, richiede tempo per essere valutato.

Penso che il termine, sebbene problematico, sia molto importante, perché identifica un crimine molto particolare. Si riferisce al tentativo di distruggere non semplicemente un gran numero di persone, ma di distruggerle in quanto membri di un gruppo. L’intenzione è quella di distruggere il gruppo stesso. E questo non significa che si debba uccidere tutti. Significa che il gruppo sarà distrutto e non potrà ricostituirsi come gruppo. E a mio avviso, questo è esattamente ciò che Israele sta cercando di fare. E molti dei suoi portavoce, ancora oggi, continuano a ribadirlo, al punto che è piuttosto bizzarro che gran parte del resto del mondo non li prenda sul serio.

NERMEEN SHAIKH: Professor Bartov, lei è uno studioso israeliano-americano ed è in contatto con persone in Israele. Come vede cambiare all’interno di Israele la percezione dell’attuale assalto di Israele a Gaza? E da dove prendono le informazioni le persone di lì? Si è parlato fondamentalmente di autocensura dei media mainstream, ma, naturalmente, molte di queste immagini e informazioni non circolano sulla stampa mainstream, ma sui social media.

OMER BARTOV: Allora, devo dire innanzitutto che sono nato e cresciuto in Israele. Ho trascorso la prima metà della mia vita in Israele. Ho prestato servizio nell’esercito israeliano. E per me, vedere ciò che sta accadendo è straziante, non solo come semplice essere umano, ma anche come israeliano.

Quello che vedo nell’opinione pubblica israeliana è una straordinaria indifferenza di gran parte della popolazione nei confronti di ciò che Israele sta facendo e di ciò che ha fatto a Gaza in nome dei cittadini israeliani. In parte, ciò è dovuto al fatto che i media israeliani hanno deciso di non riportare gli orrori che l’IDF sta perpetrando a Gaza. Semplicemente non si vedono alla televisione israeliana. Se per caso arrivano alcune immagini, vengono presentate solo come materiale che potrebbe essere utilizzato dalla propaganda straniera contro Israele. Ora, i cittadini israeliani possono, naturalmente, utilizzare altre risorse mediatiche. Tutti possiamo farlo. Ma la maggior parte di loro preferisce non farlo. E direi che mentre circa il 30% della popolazione israeliana è completamente favorevole a ciò che sta accadendo e, di fatto, incita il governo e l’esercito, penso che la stragrande maggioranza della popolazione semplicemente non voglia saperne nulla. E questo è dovuto sia al fatto che non si vede tutto sulla propria televisione, sia alla reazione al 7 ottobre, alla sensazione diffusa in Israele che dopo quell’evento non ci sia più alcuna possibilità di trovare una soluzione con i palestinesi e che l’unico modo per affrontare la questione sia sradicarla.

AMY GOODMAN: Professor Bartov, può parlarci degli studiosi di genocidio di tutto il mondo che sono giunti alla stessa conclusione?

OMER BARTOV: Sì. Come ho scritto nell’editoriale, nel corso del tempo molti studiosi di genocidio, esperti legali ed esperti di diritto internazionale che, come me, sono stati molto cauti nell’applicare questo termine, sono giunti gradualmente alla conclusione che ciò a cui stiamo assistendo è un genocidio. E questo è importante, nel senso che ora, credo, c’è un crescente consenso su questa visione.

Come ho scritto nell’articolo, purtroppo, gli studiosi e le istituzioni che si dedicano alla ricerca e alla commemorazione dell’Olocausto hanno generalmente, con poche eccezioni molto coraggiose, rifiutato di dire qualsiasi cosa, di esprimersi in alcun modo, su ciò che sta accadendo a Gaza. A mio avviso, così facendo, hanno innanzitutto tradito l’idea stessa del “mai più”, perché “mai più” non ha mai significato “mai più l’Olocausto”, ma “mai più genocidi e altri crimini contro l’umanità”. Quindi ora c’è una frattura tra gli studiosi di genocidio, che in generale hanno convenuto che Gaza è un’operazione genocida israeliana, e gli studiosi e le istituzioni dell’Olocausto che sono rimasti in silenzio.

AMY GOODMAN: Può parlarci di come è entrato in uso il termine “genocidio”? Può parlarci dell’avvocato polacco Raphael Lemkin?

OMER BARTOV: Raphael Lemkin era un avvocato ebreo polacco che già negli anni ’30 cercava di trovare una terminologia che descrivesse e definisse giuridicamente quel particolare crimine che consiste nel tentare di distruggere un dato gruppo. L’esempio che a quell’epoca aveva di fronte era il genocidio degli armeni da parte dell’Impero ottomano durante la prima guerra mondiale. Durante la seconda guerra mondiale, dovette fuggire dalla Polonia perché era ebreo. La maggior parte della sua famiglia fu uccisa. Finì negli Stati Uniti. Nel 1944 pubblicò un libro in cui definiva ciò che intendeva per crimine di genocidio, un termine da lui coniato, che è una combinazione di greco e latino e significa uccisione di un gruppo o di un gruppo etnico. Lottò per alcuni anni affinché l’ONU, l’Organizzazione delle Nazioni Unite appena fondata nel 1945, riconoscesse quel crimine, e ci riuscì nel 1948.

NERMEEN SHAIKH: Professor Bartov, vorrei porle una domanda che lei stesso pone nel suo articolo, ovvero: “In che modo il futuro di Israele sarà influenzato dall’inevitabile demolizione della sua incontestabile moralità, derivata dalla sua nascita dalle ceneri dell’Olocausto?” Qual è la risposta a questa domanda?

OMER BARTOV: Guardi, questo va al di là dell’orrendo massacro di esseri umani a Gaza. E vorrei solo aggiungere, dato che lei ha menzionato i punti di distribuzione del cibo, che tra la fine di maggio, quando questo cosiddetto gruppo umanitario ha iniziato a distribuire cibo, e oggi, sono stati uccisi più civili palestinesi in questi punti di distribuzione che civili israeliani nell’attacco di Hamas del 7 ottobre.

Ora, cosa significa tutto questo per Israele? Come ho suggerito nell’articolo, prima di tutto, penso che Israele non potrà più attingere al credito, se così si può dire, di essere lo stato creato dopo l’Olocausto come risposta all’Olocausto. Non potrà più dire: “Possiamo fare quello che vogliamo, perché siamo stati un popolo vittima di un genocidio”. Non si può continuare a usare questo argomento dopo aver massacrato un altro gruppo.

Spero – e lo scrivo anche nel mio articolo – che gli israeliani delle future generazioni, che non saranno immuni da quella macchia – quella macchia rimarrà – ma almeno saranno liberati dall’ombra dell’Olocausto e inizieranno a guardare la realtà per quello che è, e a pensare a come ricostituire la propria nazione, non come risposta al genocidio contro gli ebrei, come risposta all’Olocausto, ma piuttosto come una nazione che sa condividere questa terra, dove 7 milioni di ebrei e 7 milioni di palestinesi vivono fianco a fianco tra il Giordano e il mare, per condividerla con loro in modo equo e dignitoso, e non con l’uso di bombe e violenza.

AMY GOODMAN: Può parlarci di quel progetto di costruire una cosiddetta città umanitaria – l’idea è stata proposta dal ministro della Difesa Israel Katz – sulle macerie di Rafah, e dell’opposizione di due ex primi ministri, Ehud Olmert e Yair Lapid? Dicono che se non c’è via d’uscita, si tratta di un campo di concentramento. Qual è il significato delle parole di questi uomini?

OMER BARTOV: Beh, penso che sia molto importante che Lapid, che è stato in qualche modo coinvolto in tutto questo dibattito, abbia detto qualcosa e che Olmert abbia parlato, anche se Olmert non ha più alcun potere politico in Israele.

Il piano stesso, ancora una volta, utilizza i tipici eufemismi usati dalle organizzazioni e dagli stati che commettono tali crimini, definendo quella che sarebbe una vasta città-campo di concentramento, una sorta di combinazione tra ghetto e campo di concentramento, che verrebbe costruita sulle rovine di Rafah – Rafah è stata completamente distrutta, non c’è più nulla – costruire una tendopoli sopra di essa, portarci inizialmente 600.000 persone, che verrebbero trasferite dalla zona di Mawasi, dalla zona della spiaggia, dove erano state sfollate quando l’IDF è entrata per distruggere Rafah, e rinchiuderle lì. Il piano non dice che Israele fornirà loro assistenza umanitaria nel campo, ma che lo farà qualche altra organizzazione internazionale ancora da determinare. Ma i palestinesi non potranno più uscirne, a meno che non lascino completamente la Striscia di Gaza. E in seguito anche il resto della popolazione dovrebbe unirsi a questo campo, con l’obiettivo di lasciar libero il territorio. Tutto questo è straordinario. Lo stato di Israele sta parlando pubblicamente della creazione di un vasto campo di concentramento il cui obiettivo è allontanare la popolazione e spingerla verso paesi che hanno dichiarato all’unanimità di non volerli accogliere.

NERMEEN SHAIKH: Professor Bartov, vorrei chiederle quale sia la posizione degli Stati Uniti al riguardo, visto ovviamente il loro continuo sostegno a Israele, che ha permesso il proseguimento dell’assalto. Vorrei tornare all’ex presidente Biden, alla sua amministrazione, al portavoce del Dipartimento di Stato dell’epoca, Matt Miller, che all’inizio di quest’anno, a maggio, ha ammesso di ritenere che Israele abbia commesso crimini di guerra a Gaza. Questo cambiamento di posizione è avvenuto dopo più di un anno, dopo che il volto della politica estera dell’amministrazione Biden aveva ripetutamente difeso Israele dalle accuse di crimini di guerra e genocidio. Questa è una registrazione delle parole di Miller all’inizio dello scorso anno:

MATTHEW MILLER (già portavoce Dipartimento di Stato USA): Abbiamo detto molto chiaramente che vogliamo che Israele faccia tutto il possibile per ridurre al minimo le vittime civili. Abbiamo chiarito che devono fare tutto il necessario, che devono operare in ogni momento nel pieno rispetto del diritto internazionale umanitario. Allo stesso tempo, siamo impegnati a difendere il diritto di Israele all’autodifesa.

NERMEEN SHAIKH: Ma durante un’intervista con Sky News il mese scorso, a giugno, Matt Miller ha affermato di ritenere che Israele abbia commesso crimini di guerra a Gaza e che i soldati israeliani non siano stati chiamati a rispondere delle loro azioni.

MATTHEW MILLER: Non credo che si tratti di genocidio, ma penso che sia senza dubbio vero che Israele ha commesso crimini di guerra.

MARK STONE (Giornalista): Non avrebbe detto questo parlando dal podio.

MATTHEW MILLER: Ma, guardi, perché … quando sei sul podio, non esprimi la tua opinione personale. Esprimi le conclusioni del governo degli Stati Uniti.

NERMEEN SHAIKH: Allora, professor Bartov, qual è la sua risposta a questo, e anche la sua percezione di come l’amministrazione Trump da una parte ha rotto con le politiche di Biden su Gaza e dall’altra ha continuato ad applicarle?

OMER BARTOV: Nel novembre 2023 ho pubblicato un editoriale sul New York Times in cui dicevo che a Gaza si stavano chiaramente commettendo crimini di guerra e crimini contro l’umanità e che, se la situazione fosse continuata, sarebbe diventata un’operazione di genocidio. All’epoca speravo che qualcuno nell’amministrazione prestasse davvero attenzione, perché gli Stati Uniti, nel novembre o dicembre 2023, avrebbero potuto fermare tutto questo. Non era molto difficile da fare. Israele non avrebbe potuto agire come ha fatto senza il costante rifornimento di armi da parte degli Stati Uniti e della Germania – questi sono i due principali fornitori; gli Stati Uniti forniscono a Israele tra il 70 e l’80% di tutte le munizioni. Israele gode di una cupola diplomatica creata dal veto degli Stati Uniti in seno al Consiglio di Sicurezza. Ma gli USA non hanno bloccato Israele. E, naturalmente, le prove c’erano. Quindi, prima di tutto, bisogna dire che l’amministrazione Biden è complice di ciò che è successo a Gaza.

In secondo luogo, quando Trump è entrato in carica, curiosamente, la prima cosa che è successa, il giorno prima del suo insediamento, è stato il fatto che ha imposto un cessate il fuoco a Israele. E quel cessate il fuoco, nel gennaio di quest’anno, ha permesso di scambiare prigionieri palestinesi con un gran numero di ostaggi, ma non tutti. Il piano era quello di completare lo scambio e fermare i combattimenti. Ma a marzo Israele ha violato unilateralmente il cessate il fuoco senza alcuna interferenza da parte degli Stati Uniti e da allora ha continuato. E ciò che è particolarmente irritante è il fatto che Trump ha presentato quel suo piano, se ricordate, che la popolazione di Gaza sarebbe stata trasferita e poi Gaza sarebbe stata trasformata in una bellissima località turistica, ma in seguito non ha più ripetuto questa affermazione. Ma in Israele questo è stato visto come un permesso per fare esattamente ciò che si sta facendo ora, ovvero usare centinaia di bulldozer, ingegneri ed esplosivi per distruggere sistematicamente ogni edificio di Gaza in modo che nessuno possa più vivere in quella zona e poi, beh, magari trasformarla in una località turistica, o più probabilmente in un’area per i coloni ebrei.

AMY GOODMAN: Vorrei citare alcuni nomi che lei menziona nel suo articolo. “A novembre, a poco più di un anno dall’inizio della guerra, lo studioso israeliano di genocidio Shmuel Lederman si è unito al coro crescente di opinioni secondo cui Israele era impegnato in azioni genocidarie. L’avvocato internazionale canadese William Schabas è giunto alla stessa conclusione … e ha recentemente descritto la campagna militare di Israele a Gaza come “assolutamente” un genocidio.

“Altri esperti di genocidio, [come] Melanie O’Brien, presidente dell’Associazione Internazionale degli Studiosi del Genocidio, e lo specialista britannico Martin Shaw (che ha anche affermato … che l’attacco di Hamas era genocida), sono giunti alla stessa [conclusione], mentre lo studioso australiano A. Dirk Moses [della] City University di New York ha descritto questi eventi nella pubblicazione olandese NRC come un ‘misto di logica genocida e militare’. Nello stesso articolo, Uğur Ümit Üngör, professore presso l’Istituto NIOD per gli studi sulla guerra, l’Olocausto e il genocidio con sede ad Amsterdam, ha affermato che probabilmente ci sono studiosi che ancora non ritengono che si tratti di genocidio, ma “non li conosco”.

Professor Bartov, mentre ci avviciniamo alla conclusione, può dirci qualcosa su questo consenso degli studiosi e se i musei dell’Olocausto, che spesso affrontano differenti genocidi, affronteranno ciò che Israele ha fatto a Gaza?

OMER BARTOV: Beh, come ho detto prima, penso che ci sia un crescente consenso tra gli studiosi di genocidio e gli esperti legali. William Schabas è un ottimo esempio, perché è un esperto molto rispettato. È molto conservatore. Gli ci è voluto molto tempo per arrivare a questa conclusione. E ci è arrivato. Ho parlato con lui di recente in Europa e lui è fermamente convinto che ciò che Israele sta facendo ora sia genocidio.

Ma l’altro lato della medaglia, come lei ha accennato, è la tragedia che la maggior parte degli studiosi dell’Olocausto e tutte le istituzioni che conosco che si dedicano alla commemorazione e alla ricerca sull’Olocausto si siano rifiutati di dire qualsiasi cosa. E alcuni, ancora una volta una minoranza di studiosi dell’Olocausto, sono usciti allo scoperto sostenendo che gli studiosi di genocidio che parlano di genocidio a Gaza sono antisemiti, che si tratta di un argomento antisemita. E l’uso del termine “antisemitismo”, come sapete, e di cui abbiamo parlato, è stato anche uno strumento per mettere a tacere qualsiasi protesta la scorsa primavera nei campus americani. Questo abuso del termine sta ora creando una frattura tra gli studiosi dell’Olocausto e gli studiosi di genocidio.

Ciò che temo – come scrivo alla fine del mio articolo – è che questo significherà che l’Olocausto, che, nel corso di decenni, era stato riconosciuto come un evento di importanza universale, come un evento da cui dobbiamo imparare, a causa del silenzio, a causa del tradimento del concetto di “mai più” da parte di queste istituzioni e di questi studiosi, tornerà ad essere una sorta di enclave etnica, solo qualcosa di cui gli ebrei parlano tra loro.

AMY GOODMAN: Ringraziamo Omer Bartov professore di studi sull’Olocausto e sul genocidio alla Brown University e studioso israeliano-americano, descritto dall’U.S. Holocaust Memorial Museum come uno dei massimi esperti mondiali in materia di genocidio. Il suo prossimo libro è Israel: What Went Wrong? I suoi libri precedenti, Genocide, the Holocaust and Israel-Palestine. Vi rimandiamo al suo articolo sul New York Times, “Sono uno studioso di genocidio. Lo riconosco a prima vista”.

https://www.democracynow.org/2025/7/17/omer_bartov

Traduzione a cura di AssopacePalestina

Non sempre AssopacePalestina condivide gli articoli che pubblichiamo, ma pensiamo che opinioni anche diverse possano essere utili per capire.

Lascia un commento