di Omar Barghouti,
The Guardian, 11 luglio 2025.
Il movimento BDS è oggi un pilastro nella lotta per la libertà, la giustizia e l’uguaglianza dei palestinesi.

Non nuocere, un principio che molti associano alla pratica medica, è diventato un principio etico fondamentale della solidarietà globale che il movimento per il Boicottaggio, il Disinvestimento e le Sanzioni (BDS) ha diffuso sin dal suo inizio 20 anni fa.
Dal momento che ci troviamo nella fase più perversa del genocidio in diretta streaming contro 2,3 milioni di palestinesi nella Striscia di Gaza occupata illegalmente, il nostro dolore insopportabile rende impossibile esultare per il 20° anniversario del movimento BDS. Lo stato israeliano, abilitato e incoraggiato dalla spudorata e apparentemente illimitata complicità militare, finanziaria, politica e dialettica degli Stati Uniti, dell’Unione Europea e del Regno Unito, sta cercando di normalizzare ciò che è fondamentalmente anormale e di intorpidire le nostre coscienze con la sua implacabile ferocia.
Vede l’ascesa al potere dei suoi alleati naturali, forze di estrema destra, fasciste e autoritarie in Occidente e altrove, come qualcosa che gli fornisce la tanto agognata occasione di sterminare finalmente i sopravvissuti della sua Nakba in corso, non gradualmente come ha fatto per decenni, ma in un colpo solo. Eliminare i nativi, dopo tutto, è una caratteristica, non un piccolo neo, nella storia del colonialismo d’insediamento.
Eppure, la nostra rabbia, altrettanto incontenibile, ci costringe a celebrare questa occasione con la riflessione, la critica, una certa dose di orgoglio e tanta determinazione ad andare avanti, qualunque cosa accada, fino a quando il genocidio finirà e il regime di oppressione che lo ha generato sarà definitivamente smantellato.
Fare il punto su ciò che abbiamo raggiunto collettivamente contro quelli che sembravano ostacoli insormontabili di denigrazione, intimidazione e orribile repressione, significa alimentare una speranza realistica per sollevare il nostro morale collettivo. Si tratta di decolonizzare le nostre menti dagli incessanti tentativi di Israele e dei suoi partner coloniali egemonici in Occidente di instillarvi impotenza e sconforto. Si tratta anche di imparare da questa lunga lotta le lezioni che aiuteranno a illuminare la nostra marcia verso la libertà.
Già nel 1923, il leader sionista Ze’ev Jabotinsky scriveva con lucida onestà: “Ogni popolazione indigena del mondo resiste ai colonizzatori finché ha la minima speranza di potersi liberare dal pericolo di essere colonizzata. […] La colonizzazione sionista deve fermarsi, oppure andare avanti indipendentemente dalla popolazione autoctona. Il che significa che può procedere e svilupparsi solo sotto la protezione di un potere indipendente dalla popolazione autoctona, dietro un muro di ferro, che la popolazione autoctona non può violare”.
A parte i suoi muri di cemento e hi-tech che circondano i ghetti palestinesi, in particolare Gaza, Israele ha incessantemente tentato di costruire un “muro di ferro” nelle nostre menti, cercando di ridurci a “animali umani”, di isolarci dal nostro ambiente arabo naturale e dal resto del mondo, e di insinuare nelle nostre coscienze, con una violenza indicibile e prolungata, l’imperativo della sottomissione al suo potere indomabile. Nato nel 2005 come un appello che poteva apparire “troppo ambizioso”, ispirato dalle lotte che hanno posto fine all’apartheid in Sud Africa e al Jim Crow negli Stati Uniti, il BDS si è evoluto fino a diventare un formidabile antidoto a questa disperazione indotta e un faro di resistenza, resilienza e rigenerazione.
Due decenni fa, la più ampia coalizione palestinese mai esistita, con una rappresentanza di palestinesi in esilio, sotto occupazione, e di cittadini di seconda classe dell’attuale Israele, ha fatto la storia lanciando l’appello al Boicottaggio, al Disinvestimento e alle Sanzioni (BDS), formando un appello mondiale antirazzista, un movimento di solidarietà nonviolento che Israele considera una “minaccia esistenziale” al suo regime di insediamento coloniale, apartheid, occupazione militare e ora genocidio. Come scrive Naomi Klein: “la ragione per cui Israele attacca il BDS con tanta ferocia è la stessa ragione per cui così tanti attivisti hanno continuato a crederci, nonostante questi attacchi su più fronti. Perché può funzionare”.
Il BDS sta funzionando. Negli stati in ascesa autoritaria e persino fascista, dagli Stati Uniti alla Germania, dal Regno Unito all’Austria, il movimento BDS si trova ad affrontare sfide senza precedenti, dalla propaganda ben oliata e dalla repressione quasi senza rivali fino al giustizialismo, proprio per la sua comprovata efficacia e il suo impatto ormai inconfutabile. Dalle università che finalmente tagliano i legami accademici e/o finanziari con Israele e le sue università conniventi, fino al Fondo Sovrano Norvegese – il più grande del mondo – che ha disinvestito da obbligazioni israeliane; dai più di 7.000 scrittori ed editori che sostengono il boicottaggio culturale di Israele, fino ai governi del sud del mondo, come la Colombia, che emanano effettive sanzioni commerciali ed embarghi militari o negano il porto alle navi che trasportano merci militari in Israele; fino al ruolo chiave svolto dal BDS nella decisione di Intel di eliminare un investimento di 25 miliardi di dollari in Israele per “cambiare ‘il panorama del commercio globale di Israele’”, come ammesso dal presidente dell’Israel Export Institute, il movimento BDS è oggi un pilastro nella lotta per la libertà, la giustizia e l’uguaglianza dei palestinesi.
Con la sua vasta rete globale supportata da sindacati, coalizioni di agricoltori, nonché da movimenti di giustizia razziale, sociale, di genere e climatica, il movimento BDS ha trasformato radicalmente sia la comprensione globale della questione palestinese come una lotta di liberazione da parte di un popolo indigeno contro il colonialismo di insediamento, sia l’etica della solidarietà, ponendo come prerequisito più profondo l’obbligo di porre fine alla complicità, di non fare del male. Se “la Palestina è davvero il centro del mondo” oggi, come Angela Davis ha recentemente dichiarato, il BDS è diventato non solo l’epicentro del movimento globale di solidarietà con la Palestina e anti-apartheid, ma anche uno tra i più influenti – e contagiosi– movimenti per la giustizia in tutto il mondo.
Quando gli attivisti di tutto il mondo cantano a milioni “La Palestina ci libera tutti”, stanno riflettendo su questo senso di forte sfida, di dire la verità al potere politico e corporativo, di ciò che chiamiamo “radicalismo strategico” che il movimento di solidarietà con la Palestina, e il BDS al suo interno, ha ispirato in diversi movimenti per la giustizia in tutto il mondo. Un’intera giovane generazione che percepisce con precisione Gaza non solo come una scena di distruzione di decine di migliaia di vite palestinesi e di una civiltà di 4.000 anni con una brutalità e un’impunità senza precedenti per mano dell’asse genocida USA-Israele, ma anche, allo stesso tempo, come emblema di un’era distopica in cui “la forza fa il diritto” rappresenta una minaccia per l’umanità in generale che è disastrosa quanto la calamità climatica.
John Dugard, un eminente giurista sudafricano ed ex giudice ad hoc della Corte Internazionale di Giustizia, anni fa scrisse che “la Palestina è diventata la cartina di tornasole dei diritti umani”. Oggi, la Palestina è la causa essenziale che anima in modo intersezionale l’indignazione globale per un ordine truccato, oppressivo, coloniale e profondamente razzista in cui gli oligarchi e le grandi multinazionali hanno più potere della maggior parte degli stati, e dove il pianeta e la maggioranza globale sono sacrificati sull’altare dell’avidità insaziabile e della brama di ancora più potere. In questo quadro cupo, il movimento BDS sta mostrando come l’essere allo stesso tempo etico ed efficace, radicale e strategico, possa costruire abbastanza potere popolare da affrontare attraverso una pressione sostenuta, tra cui l’interruzione pacifica del business-as-usual, le società complici più odiose, le amministrazioni universitarie fossilizzate e le ipocrite macchinazioni occidentali – e vincere.
In effetti, il BDS viene sempre più riconosciuto come “non solo un imperativo morale e un diritto costituzionale e umano, ma anche un obbligo legale internazionale”, secondo le parole di Craig Mokhiber, un ex alto funzionario delle Nazioni Unite per i diritti umani. Affermando ciò, il Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite ha pubblicato pochi giorni fa un rapporto storico della Relatrice Speciale ONU sui diritti umani nei territori palestinesi occupati, Francesca Albanese, che denuncia come le corporazioni complici “sostengano la duplice logica coloniale israeliana di spostamento e sostituzione volta a espropriare e cancellare i palestinesi dalle loro terre”. Il rapporto esorta “i sindacati, gli avvocati, la società civile e i cittadini comuni a premere per il boicottaggio, il disinvestimento, le sanzioni, la giustizia per la Palestina e la responsabilità a livello internazionale e nazionale”.
Nel suo iconico libro Pelle nera, maschere bianche, Frantz Fanon scrive: “Se la questione della solidarietà pratica con un certo passato si è mai posta per me, lo ha fatto solo nella misura in cui mi sono impegnato con me stesso e con il mio prossimo a combattere per tutta la vita e con tutte le mie forze affinché mai più un popolo sulla terra venga soggiogato”. Per combattere l’assoggettamento, specialmente quando il proprio stato o la propria istituzione vi sono implicati, l’obbligo etico più profondo è quello di porre fine a questa complicità, di non fare del male. Niente è più importante.
Omar Barghouti è co-fondatore del movimento per il Boicottaggio, il Disinvestimento e le Sanzioni (BDS) per i diritti dei palestinesi e co-destinatario del Premio Gandhi per la Pace 2017.
https://www.theguardian.com/commentisfree/2025/jul/11/bds-movement-palestine-freedom
Traduzione a cura di AssopacePalestina
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