Al Jazeera, 29 giugno 2025.
I siti di distribuzione degli aiuti a Gaza si sono trasformati in campi di sterminio distopici. Eppure il mondo continua a chiudere un occhio.

Quando i libri di Hunger Games [Giochi della Fame] sono usciti alla fine degli anni 2000 con grande successo, probabilmente pochi lettori si aspettavano che le scene di questi romanzi distopici si sarebbero svolte realmente nel mondo in cui viviamo. Ma ora lo fanno, qui a Gaza, ogni giorno.
Stiamo soffrendo sotto un blocco israeliano totale dall’inizio di marzo. La fame si è diffusa in tutta la Striscia. La maggior parte delle famiglie consuma un solo pasto al giorno. Alcuni non mangiano affatto per giorni.
Alla fine di maggio, la Gaza Humanitarian Foundation (GHF), sostenuta dagli Stati Uniti e da Israele, ha iniziato a consegnare aiuti limitati alla Striscia. Da allora, i palestinesi sono stati costretti a un gioco mortale per assicurarsi un po’ di cibo.
Nessuno dei miei familiari ha avuto il coraggio di recarsi in un punto di distribuzione di aiuti GHF, ma alcuni dei miei vicini e amici lo hanno fatto. Tutto quello che ho sentito da loro sono storie dell’orrore.
La prima volta che abbiamo sentito parlare della zona di aiuti che gli israeliani chiamano “Corridoio Netzarim”, immaginavamo che ci sarebbero state tende, code, ordine. Ma chi si è preso il rischio di andarci ha trovato solo caos e morte.
La distribuzione degli aiuti avviene in un’area recintata vicino a Salah al-Din Street, non lontano dal confine orientale di Gaza – in una zona così pericolosa che la gente del posto la chiama il corridoio della morte. È circondata da sabbia e sorvegliata da appaltatori militari stranieri. Ci sono carri armati e soldati israeliani di stanza nelle vicinanze.
Non c’è un calendario chiaro per le consegne degli aiuti. A volte, la GHF apre i cancelli alle 4 del mattino e a volte più tardi. I palestinesi aspettano fin dal tramonto della sera prima.
Quando finalmente i cancelli si aprono, la folla si riversa all’interno. Non ci sono code, non c’è personale, non ci sono insegne. Solo frastuono, polvere e paura.
Sopra la testa, i droni volteggiano come avvoltoi. Poi, una voce da un altoparlante grida: “Quattro minuti! Prendi quello che puoi!”
Le scatole di cibo sono impilate sulla sabbia, ma non ce ne sono abbastanza. Non sono mai abbastanza. Tutti si precipitano verso il mucchio, urtandosi e scavalcandosi l’un l’altro. Si spingono a vicenda. Escono i coltelli. Scoppiano scazzottate. I bambini urlano. Gli uomini cadono. Le donne si trascinano sulla sabbia. Poche persone fortunate sono in grado di afferrare una scatola e tenerla stretta. Poi iniziano gli spari. La piazza di sabbia diventa un campo di sterminio.
Le persone scappano per salvarsi. Molti vengono colpiti. Alcuni riescono a strisciare fuori con le loro ferite. Altri sono portati fuori da amici o parenti o anche da estranei. Altri sanguinano da soli nella sabbia.
Dalla fine di maggio, più di 500 palestinesi sono stati uccisi quando l’esercito israeliano ha aperto il fuoco indiscriminato sulle persone radunate per cercare di ottenere aiuti. Più di 4.000 sono stati feriti.
Subhi, il padre della mia amica Nour, era uno di loro. La famiglia non aveva più cibo, così si sentì in dovere di rischiare la vita per procurare un aiuto. La mattina del 14 giugno partì per il centro di aiuti di Netzarim. Non è mai tornato.
Nour mi ha raccontato di come i figli aspettavano vicino alla porta. Le ore passavano. Non una parola. Nessuna chiamata. Internet era stato tagliato. Il silenzio era insopportabile. Poi, all’improvviso, hanno sentito il suono di spari in lontananza. Hanno capito subito che qualcosa era successo a Subhi, ma non avevano modo di raggiungerlo.
Più tardi, i paramedici hanno trovato il suo corpo. È stato ucciso mentre cercava di portare a casa un sacchetto di cibo per i suoi figli.
Un’altra amica, Hala, mi ha raccontato la storia di un’altra vittima della trappola mortale della GHF: si chiamava Khamis, era il cognato di sua sorella. Era sposato da appena due anni e non aveva ancora figli, ma portava sulle spalle il peso di un’intera famiglia. Aveva iniziato a prendersi cura dei figli di suo fratello dopo che questi era stato ucciso all’inizio della guerra.
Quando il cibo finì, gli amici di Khamis riuscirono a convincerlo ad andare con loro per cercare di raccogliere un po’ di aiuti. La mattina del 24 giugno, stavano aspettando vicino al centro di soccorso quando qualcuno ha gridato: “Hanno aperto i cancelli!”
Khamis è uscito dal suo nascondiglio – solo in parte – per vedere di persona. Un proiettile di un quadricottero israeliano gli ha perforato la spalla, poi si è conficcato nel suo cuore, uccidendolo. Ha lasciato una vedova in lutto e nipoti affamati.
Ci sono innumerevoli altre storie – altrettanto dolorose, altrettanto strazianti – che nessuno conoscerà mai.
Il Ministero della Salute di Gaza ha definito questi incidenti “massacri degli aiuti”. Gli esperti legali li hanno definiti crimini di guerra. Ma sono davvero “giochi della fame”.
La fame cambia le persone. Non solo indebolisce il corpo, ma mette alla prova l’anima. Mina la fiducia e la solidarietà tra le persone e libera gli istinti più elementari.
L’occupante lo sa, e sta trasformando la fame in un’arma.
Non è un caso che abbia attaccato brutalmente e messo al bando l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati Palestinesi, l’UNRWA.
Il sistema di distribuzione degli aiuti dell’UNRWA era un modello di organizzazione e di equità. Ogni famiglia iscritta all’Agenzia aveva un tesserino di riconoscimento con il quale poteva ricevere gli aiuti distribuiti attraverso un processo attento e trasparente. La priorità veniva data ai più vulnerabili – vedove, orfani, anziani e disabili – facendo in modo che coloro che avevano più bisogno di aiuto lo ricevessero per primi.
Il sistema dell’UNRWA riduceva il rischio di fughe precipitose mortali e scontri violenti perché c’era ordine, dignità e rispetto per la vita umana.
L’occupante non vuole nulla di tutto ciò.
Per questo motivo ha progettato la distribuzione degli aiuti sotto forma di “giochi della fame”.
Si tratta di trappole orchestrate per causare caos e disordine, in modo che i palestinesi combattano l’uno contro l’altro e l’ordine sociale e la solidarietà che tengono insieme la società palestinese possano crollare.
Per un mese, Israele e la GHF hanno negato che ci fossero state uccisioni di massa nei centri di aiuto – un’altra bugia israeliana che è stata ampiamente creduta. Ora, gli stessi media israeliani hanno riferito che ai soldati israeliani è stato ordinato di sparare sulla folla di palestinesi che cercavano di ottenere aiuti nei centri della GHF.
Il mondo ci crederà ora? Prenderà provvedimenti?
Quello che sta accadendo a Gaza non è fantasia. Non è un film dell’orrore. Gli “Hunger Games” a Gaza sono reali e lo è anche il genocidio di cui fanno parte. Il fatto che il mondo stia permettendo l’esistenza di tale distopia è una prova schiacciante della sua perdita di umanità.
Taqwa Ahmed Al-Wawiè una scrittrice e poeta di Gaza. Sta conseguendo una laurea in Letteratura Inglese presso l’Università Islamica di Gaza. Ha collaborato con We Are Not Numbers (WANN), Electronic Intifada, Mondoweiss, The Washington Report on Middle East Affairs, The Palestine Chronicle, The Markaz Review e Middle East Monitor. Le sue poesie sono state pubblicate anche dalla Gaza Poets Society.
https://www.aljazeera.com/opinions/2025/6/29/in-gaza-the-israelis-are-staging-hunger-games
Traduzione a cura di AssopacePalestina
Non sempre AssopacePalestina condivide gli articoli che pubblichiamo, ma pensiamo che opinioni anche diverse possano essere utili per capire.
Racconto straziante ma necessario