Israele fa la guerra alla riproduzione a Gaza

di Hala Shoman,   

MERIP, 11 giugno 2025.  

Donne palestinesi cuciono pannolini in un laboratorio di Rafah, nel sud della Striscia di Gaza, il 18 febbraio 2024, in un contesto di grave carenza di beni di prima necessità dall’inizio della guerra tra Israele e il gruppo militante palestinese Hamas a Gaza. (Mohammed Abed/AFP via Getty Images)

Nel dicembre 2023, un missile israeliano ha colpito la più grande clinica per la fertilità di Gaza, il centro Al Basma IVF [In Vitro Fertilization].

Una singola esplosione ha distrutto più di 4.000 embrioni e oltre 1.000 fiale di sperma e ovuli non fecondati. Il dottor Bahaeldeen Ghalayini, l’ostetrico che ha fondato la clinica, ha riassunto le conseguenze dell’attacco in un’intervista alla Reuters: “erano 5.000 vite in un guscio”.

L’attacco è stato un atto di reprocidio [letteralmente: uccidere la riproduzione]: prendere sistematicamente a bersaglio la salute riproduttiva di una comunità con l’intenzione di eliminare il suo futuro. Nel contesto della guerra genocida in corso a Gaza, il reprocidio serve come tattica. Infatti, il genocidio include nella sua definizione, “imporre misure volte a prevenire le nascite” all’interno di un particolare gruppo nazionale, etnico o religioso.

Il bombardamento della clinica per la fecondazione assistita (IVF) è stato un esempio spettacolare, ma come attivista palestinese per i diritti delle donne di Gaza, ho vissuto e testimoniato come Israele utilizzi il reprocidio all’interno di un quadro di colonialismo d’insediamento che mira non solo al dominio territoriale, ma anche alla cancellazione demografica, un processo iniziato molto prima del 7 ottobre 2023.

Quando avevo 15 anni, dopo l’assalto israeliano a Gaza del 2008-2009, i soldati israeliani iniziarono a indossare e distribuire magliette che raffiguravano una donna incinta nel mirino sopra lo slogan “1 colpo 2 uccisioni”. Ricordo la paura provata dalle donne incinte che conoscevo. Le magliette spinsero le persone intorno a me a raccontare storie di donne incinte uccise o ferite durante altri momenti di estrema violenza nella storia palestinese, dall’inizio della Nakba nel 1948 ai massacri di Sabra e Shatila nel 1982. A sottolineare la natura eliminazionista di questa violenza, Israele rimane tra i leader mondiali nelle tecnologie di riproduzione assistita, incoraggiando attivamente le nascite tra i cittadini ebrei.

Nel tentativo di tracciare gli effetti della procreazione nel contesto della guerra genocida in corso in Israele, tra l’ottobre 2023 e l’ottobre 2024, ho raccolto testimonianze etnografiche – note vocali, messaggi di testo, e-mail e telefonate – di coloro che hanno subito o assistito alla violenza riproduttiva. L’analisi dei loro resoconti insieme ai rapporti ufficiali da Gaza rivela i molti modi in cui Israele ha usato come arma la lotta alla riproduzione, alcuni più evidenti di altri: dagli assalti diretti alla salute e alle infrastrutture riproduttive alle condizioni in cui costringe donne e uomini a riprodursi, fino alla violenza sessuale e al suo ruolo nella cancellazione riproduttiva.

Puntare sul futuro

Nel marzo 2025, il bilancio ufficiale delle vittime a Gaza dal 7 ottobre 2023 aveva superato i 50.000 morti. Più di 17.000 dei morti erano bambini, tra cui almeno 2.100 neonati e bambini piccoli. Almeno 970 famiglie allargate sono state spazzate via del tutto. Sebbene non si conosca il numero esatto di vedove a Gaza, già nel gennaio 2024 le Nazioni Unite hanno riferito che c’erano almeno 3.000 vedove e un numero imprecisato di vedovi. A dimostrazione di ciò, nella mia cerchia di amici, nove donne sono diventate vedove e 13 uomini vedovi.

Oltre allo sconcertante numero di morti, che ha impedito innumerevoli vite potenziali e generazioni future, il genocidio ha esplicitamente preso di mira la capacità dei gazawi di riprodursi. Anche prima del genocidio, Gaza era un luogo difficile per una donna incinta: uno studio sulla mortalità materna condotto nel 2018, ad esempio, suggerisce che, tra gli altri fattori, il blocco israeliano illegale iniziato nel 2006 ha avuto un impatto sui tassi di mortalità materna. L’assedio ha ridotto la disponibilità di farmaci, prodotti monouso e attrezzature mediche. Ha inoltre influito sulla capacità delle donne di ottenere referti e di uscire da Gaza per trattamenti di emergenza, poiché la loro uscita era soggetta all’approvazione israeliana.

Dall’ottobre 2023, la situazione è diventata catastrofica. Tra ottobre e novembre di quell’anno, circa 180 donne hanno partorito a Gaza ogni giorno, e almeno il 15% di loro ha avuto complicazioni. Nel 2024, più di 177.000 donne hanno sperimentato rischi sanitari pericolosi per la loro vita, come malattie non trasmissibili, fame e malnutrizione durante la gravidanza, e il tasso di aborti spontanei è aumentato fino al 300%.

Le Unità di Terapia Intensiva sono state ripetutamente bombardate e mancano dell’elettricità salvavita necessaria per alimentare le incubatrici dei bambini prematuri. Nel novembre 2023, un esempio straziante delle conseguenze di questi attacchi è stato dato dall’esercito israeliano che ha costretto ad abbandonare cinque neonati prematuri all’ospedale pediatrico di Al Naser. I soldati hanno ordinato al personale dell’ospedale di evacuare e lasciare i neonati prematuri, che sono morti senza sostegno.

Oltre a distruggere sistematicamente ospedali, cliniche per la fertilità e reparti di maternità, Israele ha mantenuto un blocco continuo di Gaza, che include l’ostruzione degli aiuti e delle forniture mediche necessarie alla salute riproduttiva. Dall’ottobre 2023, centinaia di donne palestinesi hanno subito parti cesarei senza anestesia, mentre i medici hanno dovuto rimuovere uteri completamente sani per proteggere la vita delle donne, in assenza di materiali per il controllo delle emorragie post-partum.

Nel dicembre 2023, ho parlato con Dana, una donna di 34 anni che aveva passato dieci anni cercando di concepire. Quando l’esercito israeliano ha costretto lei e suo marito a evacuare da Gaza City, era incinta di diversi mesi. A un posto di blocco, le soldatesse israeliane l’hanno costretta ad accovacciarsi ripetutamente, facendola sanguinare e perdere conoscenza. Il marito l’ha portata in ospedale, dove il bambino è nato in cattive condizioni di salute e Dana ha avuto un’emorragia. Non avendo accesso alle medicine, i medici hanno dovuto eseguire un’isterectomia. Dana è sopravvissuta, ma il suo futuro riproduttivo no. Come per molti dei miei amici e informatori, ho perso i contatti con lei molto tempo fa e non so se sia ancora viva.

Sebbene non sia disponibile un numero preciso, molte donne incinte non sono sopravvissute a tali attacchi. Nel novembre del 2023, NBC News ha documentato la storia di Hind Shamlakh, una donna incinta che è stata sepolta sotto le macerie dopo che un attacco aereo israeliano ha colpito la casa in cui si era rifugiata. Dopo essere stata salvata, le è stato praticato un parto cesareo d’urgenza. Il bambino è nato con un braccio rotto. Mio cognato, ostetrico, ha raccontato di aver eseguito dieci cesarei post mortem in una sola settimana nel 2023, salvando bambini dal grembo di madri morte. Una volta salvati, questi neonati lottano per sopravvivere senza incubatrici, latte artificiale adeguato o cure parentali.

L’incessante bombardamento di Gaza da parte di Israele, in particolare tra l’ottobre 2023 e il cessate il fuoco temporaneo del gennaio 2025, ha reso le condizioni del parto traumatiche e difficili, anche per le donne con gravidanze sane. Molte donne mi hanno raccontato di come hanno dovuto partorire nelle loro aree protette, non potendo uscire per andare in ospedale a causa dei carri armati e dei quadricotteri israeliani. Alcune hanno raccontato che i loro mariti hanno dovuto farle partorire perché non potevano muoversi o cercare aiuto durante l’invasione di terra israeliana. Un’amica ha descritto il parto in una casa circondata dai carri armati israeliani. Non è stata in grado di tagliare il cordone ombelicale. Poco dopo il ritiro dei carri armati israeliani, ha deciso di raggiungere a piedi l’ospedale più vicino. Per paura di attacchi indiscriminati contro i civili, ha scelto di andare da sola con il suo bambino appena nato, lasciando il marito. Se lei fosse stata uccisa, il resto dei loro figli avrebbe avuto almeno un genitore.

Bombardare ora, moriranno dopo’

Dall’ottobre 2023, gli attacchi israeliani hanno danneggiato o distrutto quasi il 70% delle strutture di Gaza, compreso il 92% delle unità abitative. Stephen Graham ha definito questo tipo di tattica militare “spegnimento delle città“. Porta a una situazione che descrive come “bombardare ora, moriranno dopo“. In altre parole, la distruzione sistematica delle infrastrutture e delle abitazioni, combinata con la mancanza di nutrizione e farmaci, può non uccidere immediatamente, ma assicura una morte lenta. Inoltre, preclude la possibilità di nuove vite.

Le conseguenze di questa distruzione infrastrutturale sono vaste quando si tratta di salute riproduttiva. Per esempio, la distruzione di Gaza da parte di Israele ha creato un ambiente fisico tossico. I bombardamenti, le macerie, il fosforo bianco e altri detriti chimici derivanti dal bombardamento israeliano (85.000 tonnellate di bombe nei primi 13 mesi) hanno portato a gravi rischi ambientali per le donne incinte e i bambini e a un forte aumento del tasso di anomalie fetali. Secondo Mohammed Abu Afesh, direttore del Medical Relief nella città di Gaza e nel Governatorato del Nord, ben un neonato su quattro ne è affetto. Gli agenti inquinanti provenienti dalle munizioni e dai detriti aumentano le complicazioni della gravidanza, tra cui infezioni, anemia, preeclampsia e nati morti. Inoltre, provocano problemi medici ai bambini, tra cui ferite che non guariscono e osteoartrite precoce, per non parlare del grave tributo psicologico, con la garanzia che la nuova generazione, se nascerà, continuerà a soffrire.

Oltre a questo inquinamento, Gaza deve affrontare condizioni di fame estrema e servizi igienici inadeguati a causa dell’assenza di forniture, aiuti ed elettricità per il trattamento delle acque reflue. Le donne riferiscono di non essere in grado di allattare o di trovare latte artificiale. A Rafah, una fabbrica di cucito ha iniziato a produrre pannolini con camici, cotone medico e garze, a causa della loro scarsità in seguito al blocco totale.

Amir, un mio amico di 30 anni, mi ha descritto l’effetto devastante che la mancanza di beni di prima necessità ha avuto sulla sua famiglia. Quattro mesi dopo l’inizio del genocidio, Amir e sua moglie hanno avuto una bambina, Amira. Per sei mesi hanno lottato per mantenerla in salute. Quando era pronta per passare al cibo solido, Amir faticava a trovarlo. Poco dopo, la bambina ha contratto una malattia infettiva, ma non potevano accedere a un’unità di terapia intensiva: l’ospedale vicino era al completo e la famiglia non era in grado di raggiungere il sud a causa delle chiusure israeliane e del blocco della parte settentrionale della Striscia. Senza accesso alle cure, Amira è morta davanti ai suoi genitori a soli 6 mesi, prima di avere la possibilità di mangiare pollo o carne o di assaggiare frutta o qualsiasi altro cibo che non fosse in scatola. Questo trauma influenzerà le scelte riproduttive della coppia in futuro. Hanno difficoltà a immaginare di avere un altro figlio, soprattutto durante il genocidio, e non sono sole. Molte madri con cui ho parlato hanno espresso il desiderio di riavere in grembo i loro bambini perduti.

Al di là del forte impatto ambientale sulla salute, la completa distruzione del tessuto sociale e dell’ambiente edilizio di Gaza influisce anche sull’intimità quotidiana che consente un futuro riproduttivo. Israa Saleh è una dottoressa di Gaza specializzata in salute sessuale e riproduttiva. Attualmente lavora con Medici del Mondo. In un’ampia intervista rilasciata nel settembre 2024, ha spiegato quanto sia diventata difficile l’intimità per le coppie nella Striscia di Gaza, soprattutto nei rifugi, dove lo sfollamento forzato del 90% della popolazione di Gaza, l’assenza di ripari adeguati e il sovraffollamento hanno portato a una mancanza di privacy che incide profondamente sulle relazioni intime e sulle esperienze sessuali. Nell’intervista, Saleh descrive le soluzioni improvvisate per la privacy e il modo in cui si scontrano con il sovraffollamento e le tradizioni comunitarie in materia di intimità. “C’è un’aula della scuola-rifugio per le coppie che vogliono vivere l’esperienza riproduttiva o sessuale”, dice.

Detenzione e violenza sessuale

Dopo il 7 ottobre, Israele ha messo in atto detenzioni quasi quotidiane di palestinesi in Cisgiordania e a Gerusalemme Est. Alla fine del 2024, quasi 10.000 palestinesi erano detenuti nelle carceri israeliane per “motivi di sicurezza”, tra cui più di 2.000 provenienti da Gaza. I palestinesi di Gaza sono stati sequestrati dalle forze israeliane e tenuti senza comunicazione in strutture militari.

La detenzione a tempo indeterminato dei prigionieri politici palestinesi, senza un giusto processo e in condizioni di abuso sessuale e tortura, ha anche conseguenze riproduttive. Se prima del 7 ottobre le condizioni dei prigionieri palestinesi destavano notevoli preoccupazioni, da allora i rapporti hanno indicato un drammatico peggioramento. In un rapporto pubblicato nel luglio 2024, l’Ufficio dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani (OHCHR) ha documentato incursioni talvolta quotidiane nelle celle delle prigioni, dove vengono confiscati gli articoli igienici di base, compresi gli assorbenti mestruali. Ai prigionieri è stato negato l’accesso agli avvocati e alle loro famiglie, impedendo loro di avere contatti con il mondo esterno.

I prigionieri palestinesi, uomini e donne, così come i bambini maschi e femmine detenuti, hanno denunciato violenze sessuali e di genere per mano di soldati israeliani maschi e femmine. Questi resoconti includono la nudità forzata di uomini e donne, percosse e scosse elettriche ai genitali, perquisizioni umilianti, insulti sessuali, minacce di stupro e aggressioni sessuali.

Nei centri di detenzione militare come Sde Teiman, i prigionieri hanno riferito di atti estremi di tortura e violenza sessuale: soldati e soldatesse israeliani hanno violentato detenuti palestinesi maschi con aste di metallo, percosso i loro genitali e urinato su di loro. I filmati di sorveglianza della prigione hanno confermato queste testimonianze. Ibrahim Salem, un uomo palestinese di 36 anni al centro di un video virale sugli abusi subiti dai prigionieri a Sde Teiman, ha descritto l’esperienza in un’intervista rilasciata a Middle East Eye nell’agosto 2024. “Niente è stato più umiliante di quando mi hanno fatto togliere i vestiti, o di quando mi hanno inserito un oggetto nel sedere, o di quando una giovane soldatessa continuava a [toccarmi il pene]”, ha detto. Le sue parole sottolineano come la presa di mira degli uomini, e la loro umiliazione da parte delle donne soldato in particolare, sia un atto volto a schiacciare la dignità palestinese e a cancellare ogni traccia di restante mascolinità.

Le prigioniere palestinesi a Sde Teiman, così come quelle detenute altrove, riferiscono anche di violenze sessuali, tra cui filmati, nudità forzata e stupri, a volte da parte di più soldati. Lo stesso rapporto dell’OHCHR ha documentato il caso di una donna palestinese incinta che è stata minacciata di stupro durante la detenzione. Il rapporto contiene inoltre una serie dettagliata di accuse di violenza sessuale contro le donne detenute. Come i prigionieri maschi, le donne riferiscono di essere state violate sessualmente durante le perquisizioni, picchiate mentre erano nude e filmate nel tentativo di umiliarle.

Questa violenza carceraria non può essere separata dal genocidio riproduttivo: Si tratta di un attacco diretto alla salute sessuale e riproduttiva di donne e uomini. Le vittime e i sopravvissuti ad abusi sessuali e stupri soffrono di problemi di salute mentale, come il disturbo da stress post-traumatico, l’ansia, la depressione e la dissociazione, che possono avere effetti a lungo termine sulle loro relazioni sessuali e sulla capacità di impegnarsi nell’intimità. Anche le torture subite dai genitali possono causare problemi di salute fisica che si ripercuotono sulla loro capacità di avere prestazioni sessuali.

La violenza sessuale, inoltre, ha conseguenze che vanno oltre l’individuo: segna intere comunità. Le sopravvissute possono essere ostracizzate, alcune possono affrontare gravidanze forzate, mentre altre possono decidere di non avere mai figli.

L’esistenza è resistenza

A fine agosto 2024, il dottor Mohammed Saqr, portavoce del Nasser Medical Complex di Khan Younis, ha rilasciato una dichiarazione alla comunità internazionale sulla carenza di forniture mediche e di aiuti. “Con la scarsità di forniture mediche nei reparti di emergenza, ci stiamo concentrando sul salvataggio di bambini e donne per preservare la stirpe palestinese a Gaza”, ha dichiarato.

Il suo commento mette in evidenza che i palestinesi sono consapevoli del reprocidio e stanno cercando di capire come contrastarlo. Rivela anche uno sforzo per resistere, attraverso l’attenzione alle donne e ai bambini, alla violenza eliminazionista in corso che prende di mira questi gruppi, in modo specifico, per puntare alla riproduzione sociale. Come ha scritto Layal Ftouni: “Non solo i palestinesi, in quanto popolazione razzializzata all’ingrosso, sono considerati nemici dello stato; la figura della donna e del bambino sono particolari che indicano la capacità riproduttiva del ‘nemico’ di continuare a vivere, di mutare”.

Alcune delle persone con cui ho parlato sono altrettanto esplicite nel loro desiderio di continuare a riprodursi come atto di resistenza e di affermazione della vita, anche di fronte alla propria morte. Nella stessa intervista citata sopra, la dottoressa Saleh descrive un uomo di Gaza in visita alla sua clinica. “Voglio avere un figlio prima di essere ucciso”, le ha detto. Queste testimonianze provengono da una comunità che sta vivendo un genocidio riproduttivo e che soffre di una paura collettiva di sterminio ed eliminazione. Nel 2024 è diventato virale un video che ritrae un padre che aveva perso i suoi sei figli in un attacco. “Uccidono i nostri figli, in modo che non possiamo sopravvivere”, ha detto alla telecamera, continuando a giurare che avrebbero avuto altri figli per non essere mai annientati. Queste azioni possono essere riassunte dallo slogan, popolare in inglese e in arabo, “esistere è resistere” (al-sumud muqawama).

In effetti, così come l’obiettivo di Israele di colpire le capacità riproduttive dei palestinesi non è nuovo, gli sforzi, come quelli sopra descritti, dei palestinesi per contrastare il reprocidio precedono l’attuale genocidio. Si pensi alla pratica sempre più diffusa di contrabbandare lo sperma dei prigionieri palestinesi dalle carceri israeliane alle loro mogli all’esterno; alcune cliniche di fecondazione assistita fanno poi gratuitamente l’inseminazione. I bambini nati dal contrabbando di sperma sono considerati illegali da Israele e le autorità israeliane negano loro qualsiasi documento di identificazione. Al contrario, a partire dal 7 ottobre 2023, i tribunali israeliani hanno eliminato le barriere legali all’ottenimento e al congelamento dello sperma di ebrei israeliani morti, consentendo anche ai genitori di acconsentire all’uso di questo sperma per conto del defunto. Secondo il Ministero della Sanità israeliano, a luglio 2024, lo sperma è stato recuperato da quasi 170 uomini, sia civili che militari, compresi quelli senza partner legali.

Altri palestinesi con cui ho parlato sono giunti alla conclusione opposta. Sebbene desiderino avere figli, non possono immaginare di farlo in queste condizioni. Il 6 agosto 2024, io stessa ho pubblicato un messaggio sui social media esortando le coppie appena sposate a Gaza a ritardare la gravidanza, se possibile. Era un appello avvolto nell’amore e nella paura:

“Che Dio porti loro la felicità, ma dovrebbero essere cauti nell’avere figli in questo momento. Le donne incinte, le madri e i neonati sono i più colpiti dal genocidio in corso. Il tasso di aborti spontanei è aumentato del 300% e i tassi di morte infantile e materna o di parto prematuro, o di perdita dell’utero da parte delle madri a causa di complicazioni della gravidanza e della mancanza di risorse mediche, rendono la gravidanza estremamente pericolosa in questo momento. Inoltre, vi è una carenza di latte, alti livelli di inquinamento e numerose malattie. Fate attenzione e proteggetevi. Che Dio protegga e benedica tutti.”

Ho pensato molto prima di scrivere questo post. Ho esitato tra il diritto dei genitori di avere figli e la realtà che la loro gravidanza, in mezzo alla campagna di violenza riproduttiva di Israele, potrebbe portare a danni per la madre e il bambino. Ho scritto per conto delle madri disperate che mi esortavano a chiedere ad altri genitori di rimandare la gravidanza e salvare se stesse e i loro bambini da questa imminente paura e sofferenza. Allo stesso tempo, volevo evitare di riecheggiare inavvertitamente la logica del continuo reprocidio di Israele ai danni dei palestinesi. Ma in condizioni di genocidio riproduttivo, contrastare questa violenza non significa solo riprodursi fisicamente. Si tratta di rendere possibili le condizioni di vita, cosa che i palestinesi di Gaza, sia che scelgano di avere figli ora o di rimandare, continuano a fare di fronte a una violenza eliminazionista senza precedenti e apparentemente incontrollata.

Hala Shoman è ricercatrice laureata in politica e sociologia presso la Newcastle University.

https://merip.org/2025/06/israels-war-on-reproduction-in-gaza

Traduzione a cura di AssopacePalestina

Non sempre AssopacePalestina condivide gli articoli che pubblichiamo, ma pensiamo che opinioni anche diverse possano essere utili per capire.

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