Il gesto. «Il cibo e gli aiuti li portiamo noi». La marcia degli israeliani verso Gaza

di Nello Scavo,   

Avvenire, 6 giugno 2025.  

Migliaia di ebrei e arabo-israeliani si sono messi in cammino e hanno raggiunto i valichi di accesso alla Striscia per portare solidarietà e aiuti alla popolazione palestinese affamata.

La marcia verso Gaza di ebrei e arabo-israeliani – Ansa

All’alba del primo dei tre giorni del «banchetto del sacrificio», migliaia di sfollati islamici hanno dovuto celebrare l’Eid al-Adha a pancia vuota, mentre fuori dalla muraglia di cemento una folla di israeliani si avvicinava in segno di solidarietà portando in spalla sacchi di farina e altri aiuti umanitari. Nella Striscia, la “Gaza Humanitarian Foundation” (GHF) anche ieri ha chiuso anticipatamente i siti di distribuzione, a causa di «eccessivo affollamento che ha reso pericoloso procedere», spiega una nota. Un’ammissione di fallimento del piano israelo-americano che, con 4 centri di distribuzione al posto dei 400 delle Nazioni Unite, ha prodotto caos e lo spostamento forzato di centinaia di migliaia di gazawi spinti dove il cibo è più vicino. «Quello che volevano era proprio questo – dice da Gaza un funzionario delle Nazioni Unite –; però, sta almeno emergendo la responsabilità dei saccheggi e dei disordini». Il riferimento è al ruolo delle milizie anti-Hamas sostenute dalle forze armate israeliane, come ha ammesso lo stesso premier Netanyahu, A chi gli contesta questa scelta ha risposto con la frase: «Cosa c’è di sbagliato?». L’uomo su cui si punta è Yasser Abu Shabab, il capo di una gang di beduini che, per mesi, indisturbati, hanno potuto saccheggiare gli aiuti per le agenzie ONU. Per poi accusare gli operatori umanitari di non essere in grado di gestire le consegne. Anche questo ha spinto il movimento “Standing Together”. Già il 26 maggio, durante la “Marcia delle bandiere” con cui migliaia di fondamentalisti ebrei avevano invaso la Città Vecchia di Gerusalemme, gli attivisti guidati da Aloon-Lee Green avevano protetto i palestinesi presi di mira. Alcuni giorni fa il gruppo si è messo in marcia e ieri secondo le autorità erano almeno duemila, diretti verso la recinzione della Striscia. Le immagini mostrano in realtà una folla assai più numerosa mentre, a ridosso delle aree di parcheggio dei camion in attesa di poter consegnare gli aiuti, restano anche i presidi dell’estrema destra nazionalista che ostacola le spedizioni. Il timore è che la manifestazione nonviolenta possa venire a contatto con chi invece ha fatto della violenza una scelta politica e identitaria. «Siamo qui, migliaia di ebrei e palestinesi (arabi israeliani, ndr), racconta Aloon-Lee dalla testa del gruppo. Protestiamo contro l’annientamento di Gaza, dopo che la polizia ha cercato di impedirci di marciare. Siamo qui contro la fame, l’uccisione dei bambini e contro il nostro governo».

I media israeliani seguono in diretta la dimostrazione che per la prima volta ha portato, in modo massiccio, fino al confine della Striscia la protesta contro l’esecutivo. Dall’interno non arrivano buone notizie. Già in mattinata la GHF aveva chiesto agli sfollati di attendere nuovi ordini prima di incamminarsi verso i siti di distribuzione. «E basterebbe tenere conto dei rischi che migliaia di famiglie sono disposte a correre per capire quale sia la condizione dei civili di Gaza», commenta una operatrice di una ONG che chiede di non essere citata per nome temendo di vedersi negato il permesso concesso da Israele. Con molte zone residenziali di Gaza ridotte in macerie da oltre seicento giorni di combattimenti, la popolazione locale ha celebrato le preghiere dell’Eid al-Adha all’aperto, accanto a moschee e case bombardate. «Come potete vedere, stiamo celebrando le preghiere dell’Eid, mentre continuano i bombardamenti, i colpi di mortaio e gli aerei», ha detto in videochiamata Umm Mahmoud, una sfollata di Khan Younis. L’esercito israeliano ha ampliato le operazioni e aumentato la pressione sui fondamentalisti, mentre il negoziato per il rilascio degli ostaggi manca di sviluppi significativi. La battaglia resta sanguinosa: «Una giornata triste e difficile», ha scritto su “X” il premier Netanyahu commentando la notizia della morte di quattro soldati israeliani impegnati «nella campagna per sconfiggere Hamas e riportare a casa i nostri ostaggi».

Secondo le autorità sanitarie controllate da Hamas, ieri una ventina di civili sono rimasti uccisi. E le Nazioni Unite hanno nuovamente messo in guardia la comunità internazionale: la maggior parte dei 2,3 milioni di abitanti di Gaza è a rischio di carestia, dopo 11 settimane di blocco israeliano, con il tasso di bambini piccoli che soffrono di malnutrizione acuta oramai quasi triplicato.

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