Le Temps, 17 maggio 2025.
In “A Lexicon of Brutality”, un sociologo e uno storico israeliani decifrano il modo in cui i palestinesi sono stati disumanizzati dopo il 7 ottobre 2023. Si tratta di parole che risalgono al 1948, ma il cui uso comunemente accettato facilita i crimini commessi a Gaza.

“Le 6 e 29”. È ricordando il momento in cui, il 7 ottobre 2023, cominciò il massacro commesso da Hamas che gli israeliani Adam Raz e Assaf Bondy iniziano A Lexicon of Brutality (pubblicato all’inizio di maggio, solo in ebraico). In questo lavoro magistrale, lo storico e il sociologo che vivono e lavorano in Israele esplorano la “gabbia discorsiva” in cui, a loro dire, il governo ha rinchiuso i loro connazionali. Una “gabbia” fatta di parole usate per disumanizzare i palestinesi e banalizzare o addirittura giustificare i crimini commessi contro di loro. Elencano 150 di questi crimini avvenuti dall’ottobre 2023 e ne spiegano le radici.
Perché “come si dice in ebraico, dietro ogni cosa c’è una storia”, spiega Adam Raz nella lunga intervista rilasciata a Le Temps con Assaf Bondy. Ecco perché il lessico costruito da questo storico dell’Istituto Akevot per lo studio dei conflitti israelo-palestinesi e dal suo coautore, un sociologo dell’Università di Bristol e Tel Aviv, inizia con “le 6 e 29”. Questo momento in cui “qualcosa è cambiato nel cuore degli israeliani” fa parte di un contesto, sostiene Adam Raz. “Prima delle 6:29, c’erano le 6:28, le 6:27, le 6:26 e così via. Cosa stavamo facendo a Gaza in quel momento noi israeliani? Le 6:29 non è il punto di partenza della tragedia che stiamo vivendo. Chi insiste su questo sta cercando di nascondere la storia della repressione.” Sono commenti estremamente polemici, ma Adam Raz li assume così: “Rivelare il lato oscuro del mio paese è il mio lavoro da quindici anni”, dice quest’uomo che ha lavorato sugli archivi del 1948, in particolare sul massacro del villaggio di Deir Yassin.
Il loro lavoro sul vocabolario disumanizzante usato contro i palestinesi dal 7 ottobre mostra le radici storiche di questo processo distruttivo. La differenza principale, tuttavia, è che oggi questo disprezzo e gli atti che sostiene sono accettati e incoraggiati, sottolineano i due israeliani. A Lexicon of Brutality cita innumerevoli esempi. A cominciare dalla Nakba, la parola araba che significa “catastrofe”, con cui i palestinesi si riferiscono al loro spostamento forzato e massiccio quando fu creato lo Stato di Israele nel 1948. Nel novembre 2023, alla domanda sul confronto tra le immagini dei gazawi in fuga dal nord e quelle della Nakba, il ministro dell’Agricoltura, Avi Dichter, ha dichiarato: “Stiamo per scatenare la Nakba di Gaza. […] La Nakba di Gaza del 2023. È così che finirà.”
“Spopolamento ed emigrazione volontaria
Le parole “spopolamento” ed “emigrazione volontaria” sono apparse nei verbali del gabinetto israeliano in riferimento allo sfollamento dei palestinesi dalla città centrale di Lod nel 1948, sottolinea Adam Raz, che ha lavorato su questi documenti. Oggi vengono pronunciate in numerose occasioni, fino ai vertici dello stato ebraico. I saccheggi, un fenomeno diffuso nel 1948, si ripetono oggi a Gaza. Ma mentre 80 anni fa non un solo articolo di opinione lo approvava, oggi i soldati israeliani pubblicano video di loro stessi che commettono questo crimine, sottolinea Adam Raz. Infine, la privazione di cibo è stata praticata dal governo israeliano nei primi anni ’50 sui beduini del Negev per “appropriarsi di terre fertili e, in parte, controllare l’alimentazione dei palestinesi” concentrati in una cera zona dopo la guerra d’indipendenza. Oggi questa cinica strategia è pubblicamente riconosciuta.
L’incitamento all’odio si trova anche nella cultura popolare. Il brano rap Harbu Darbu del duo Ness e Stilla, pubblicato nel novembre 2023, che è stato per mesi un successo sulle piattaforme di streaming israeliane, inizia con questa strofa: “Voi fottuti ratti che uscite dai tunnel […] Ricordatevi che non ci sarà perdono […] Abbiamo portato l’intero esercito su di voi/Giuro che non ci sarà perdono”. In una videoconferenza dal suo salotto di Kiryat Arba, Adam Raz elenca altre espressioni che circolano in Israele: “Parlare dei palestinesi come ‘animali umani’, dire che ‘non ci sono innocenti a Gaza’, che ‘Gaza deve essere rasa al suolo’… L’esercito si riferisce al nord della striscia costiera come a una ‘zona di sterminio. Abbiamo diverse testimonianze di soldati su questo argomento.”
C’è odio e c’è anche negazione dell’umanità del nemico. “Sono colpito dal silenzio sui danni collaterali”, spiega Adam Raz. Insiste: “Sono danni strategici? Stiamo sganciando più bombe su Gaza di quante ne avevano ricevute le città tedesche alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Danni collaterali? La bomba MK-84 da una tonnellata uccide chiunque nel raggio di quasi 400 metri. Sapete come la chiamano gli americani? Il martello!”
I due ricercatori denunciano anche la manipolazione delle ansie che derivano dalla storia ebraica. “Le autorità israeliane dicono a noi, vittime infinite, che Gaza è una lotta esistenziale. Siamo nati nella Shoah: come israeliani, la storia della Shoah ci accompagna per tutta la vita. La Shoah non è la nostra storia, è la nostra autobiografia. E quando pensate di essere ancora ad Auschwitz, credetemi, non state pensando al diritto internazionale umanitario: state pensando a salvarvi la pelle. Nutro un terribile rancore nei confronti del governo”, afferma lo storico Adam Raz.
Il 7 ottobre”, ricorda commosso il baffuto israeliano, “la terra mi è crollata sotto i piedi: avevo la famiglia nel kibbutz di Beeri spazzato via da Hamas. Ma oggi mi sveglio ogni mattina con la vergogna di ciò che questo governo fascista ha fatto e detto. L’offensiva a Gaza segna il punto di svolta del conflitto israelo-palestinese, non la sua continuazione, dicono i due uomini. “È la creazione di una comunità del crimine, in altre parole, uno spazio di pensiero in cui il peggio è possibile”, afferma Adam Raz.
A Lexicon of Brutality è stato pubblicato pochi giorni fa. Ma nonostante il suo implacabile radicalismo, non ha avuto praticamente nessuna risposta, dicono i suoi due autori. “Il nostro punto di vista è ultra-maggioritario in Israele. Non minacciamo in alcun modo il sistema, nessuno si preoccupa di noi: non siamo importanti. Ma non posso rimanere in silenzio finché vivo qui”, dice Adam Raz. Finché la pila di corpi a Gaza crescerà, come scrivono i due israeliani nella loro introduzione, crescerà anche il numero di parole e atti elencati in A Lexicon of Brutality. Questo libro tenue si fa strada “sotto una pioggia di granate e missili”, in un terrificante “presente permanente”.
Traduzione a cura di AssopacePalestina
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