Rendere Gaza inutilizzabile: la missione di Israele è la distruzione totale dei centri abitati

di Meron Rapoport e Oren Ziv,   

+972 Magazine, 15 maggio 2025.  

Mentre gli attacchi aerei causano uccisioni di massa, i bulldozer e gli esplosivi stanno spianando al suolo Gaza; i soldati dicono che è una campagna sistematica per rendere la Striscia invivibile, come rivela una nostra indagine congiunta.

Un bulldozer israeliano distrugge una casa a Rafah. Aprile 2025

All’inizio di aprile, poche settimane dopo aver ripreso l’assalto a Gaza, le forze israeliane hanno annunciato di aver preso il controllo della città più a sud, Rafah, per creare l'”Asse Morag”, un nuovo corridoio militare che divide ulteriormente la Striscia. Nel corso della guerra, secondo l’Ufficio Governativo dei Media di Gaza, l’esercito ha distrutto più di 50.000 unità abitative a Rafah – il 90% dei quartieri residenziali. Ora, l’esercito sta spianando le strutture rimanenti di Rafah, trasformando l’intera città in una zona cuscinetto e tagliando l’unico passaggio di confine tra Gaza e l’Egitto.

Y., un soldato tornato di recente dal servizio di riserva a Rafah, ha descritto i metodi di demolizione dell’esercito a +972 Magazine e Local Call. “Ho preso quattro o cinque bulldozer [da un’altra unità] e abbiamo demolito 60 case al giorno. Una casa di uno o due piani viene abbattuta nel giro di un’ora; per una casa di tre o quattro piani ci vuole un po’ più di tempo”, ha raccontato. “La missione ufficiale era quella di aprire una via logistica per le manovre, ma in pratica i bulldozer distruggevano semplicemente le case. La parte sud-orientale di Rafah è completamente distrutta. L’orizzonte è piatto. Non c’è più nessuna città”.

La testimonianza di Y. è coerente con quella di altri 10 soldati che dal 7 ottobre hanno prestato servizio in momenti diversi nella Striscia di Gaza e nel Libano meridionale e che hanno parlato con +972 Magazine e Local Call. È inoltre in linea con i video pubblicati da altri soldati, con le dichiarazioni ufficiali e non ufficiali di alti comandanti militari, con l’analisi delle immagini satellitari e con i rapporti delle organizzazioni internazionali.

L’insieme di queste fonti dipinge un quadro chiaro: la distruzione sistematica di edifici residenziali e strutture pubbliche è diventata una parte centrale delle operazioni dell’esercito israeliano e, in molti casi, l’obiettivo primario.

Alcune di queste devastazioni sono il risultato di bombardamenti aerei, combattimenti a terra e ordigni esplosivi improvvisati (IED) piazzati da militanti palestinesi all’interno degli edifici di Gaza. Tuttavia, sebbene sia difficile ottenere cifre precise, sembra che la maggior parte delle distruzioni a Gaza e nel Libano meridionale non siano state fatte dall’aria o durante i combattimenti, ma piuttosto da bulldozer o esplosivi israeliani – atti premeditati e intenzionali.

Secondo l’indagine di +972 e Local Call, ciò è stato determinato da una decisione consapevole e strategica di “radere al suolo l’area”, per garantire che “il ritorno delle persone in questi spazi non sia una cosa possibile”, come ha detto Yotam, che ha servito come vice comandante di compagnia in una brigata corazzata a Gaza.

Le distruzioni “non operative”, prive di una giustificazione militare diretta, sono iniziate nei primi mesi di guerra. Già nel gennaio 2024, il servizio investigativo israeliano The Hottest Place in Hell ha riferito che l’esercito aveva effettuato la “distruzione sistematica e completa di tutti gli edifici vicino alla recinzione entro un chilometro nella Striscia, senza che fossero identificati come infrastrutture terroristiche – né dall’intelligence né dai soldati sul terreno”, con l’obiettivo di creare una “zona cuscinetto di sicurezza”.

Il rapporto ha citato soldati che hanno affermato che nelle aree vicine alla barriera di confine, come Beit Hanoun e Beit Lahia, e nel quartiere di Shuja’iyya nella parte settentrionale della Striscia, così come a Khirbet Khuza’a alla periferia di Khan Younis, tra il 75 e il 100% degli edifici erano stati distrutti a quel momento, quasi indiscriminatamente. Ma ciò che è iniziato nelle periferie di Gaza è presto diventato un metodo ampiamente diffuso in tutta la Striscia, legato al più ampio piano di Israele di rendere invivibile gran parte di Gaza per i palestinesi.

Secondo Michael Sfard, avvocato israeliano ed esperto di diritti umani, queste azioni costituiscono chiare violazioni delle leggi di guerra. “La distruzione di proprietà [individuali] non richiesta dalle necessità del conflitto costituisce un crimine di guerra”, ha spiegato Sfard, “e c’è anche un crimine di guerra specifico e più grave, che consiste nella distruzione [volontaria ed] estesa di proprietà non giustificata da necessità militari. Tra gli esperti legali, gli attivisti per i diritti umani e gli accademici si discute molto sulla necessità di istituire un crimine contro l’umanità di ‘domicidio’ – la distruzione di un’area utilizzata per l’abitazione umana”.

Nessun posto dove tornare

Da quando Israele ha violato il cessate il fuoco a marzo, circa 2.800 palestinesi sono stati uccisi a Gaza, con quasi 53.000 morti e 120.000 feriti nel corso della guerra. Come +972 ha precedentemente riportato, gli attacchi aerei hanno rappresentato la stragrande maggioranza delle vittime civili. Ma è la distruzione sistematica dello spazio urbano di Gaza che sta gettando le basi per la pulizia etnica della Striscia, definita nel discorso politico israeliano “attuazione del Piano Trump”.

Il Primo Ministro Benjamin Netanyahu ha apertamente appoggiato questa visione alla fine di marzo, poco dopo la ripresa della guerra da parte di Israele. “Hamas deporrà le armi. I suoi leader potranno andarsene. Provvederemo alla sicurezza generale della Striscia di Gaza e permetteremo la realizzazione del piano Trump per la migrazione volontaria”, ha affermato Netanyahu. “Questo è il piano. Non lo stiamo nascondendo e siamo pronti a discuterne in qualsiasi momento”.

Proprio questa settimana, Netanyahu ha reso più esplicito il legame tra la distruzione di edifici civili e lo sfollamento forzato. “Stiamo distruggendo sempre più case – non hanno un posto dove tornare”, avrebbe detto durante una riunione del Comitato per gli Affari Esteri e la Sicurezza. “L’unico risultato atteso sarà il desiderio dei gazawi di emigrare fuori dalla Striscia”.

Nel dicembre 2024, le Nazioni Unite hanno stimato che il 69% di tutti gli edifici della Striscia di Gaza – tra cui 245.000 unità abitative – erano stati danneggiati, con oltre 60.000 edifici completamente distrutti. Alla fine di febbraio, la cifra era salita a 70.000, secondo Adi Ben Nun, specialista GIS [Sistema Informativo Geografico] dell’Università Ebraica di Gerusalemme, che ha condotto un’analisi satellitare per +972 e Local Call. A marzo sono state distrutte almeno altre 2.000 strutture, di cui più di 1.000 solo a Rafah.

Ora, secondo un’analisi visiva condotta dal ricercatore Ariel Caine per Local Call e +972, oltre il 73% degli edifici di Rafah e dintorni è stato completamente distrutto, mentre meno del 4% è esente da danni visibili. L’area comprendeva circa 28.332 edifici, che si estendevano dal Corridoio di Filadelfia all’Asse Morag.

Alcuni degli edifici di Gaza che sono stati completamente rasi al suolo dai bulldozer o dagli esplosivi nelle demolizioni pianificate erano stati danneggiati in precedenza, sia da attacchi aerei che durante le battaglie a terra. Tuttavia, un’indicazione del gran numero di strutture distrutte senza necessità operative viene dai dati delle Nazioni Unite: tra settembre e dicembre 2024 – un periodo durante il quale non ci sono stati intensi combattimenti a Gaza – sono stati danneggiati più di 3.000 edifici aggiuntivi a Rafah e circa 3.100 altri edifici nel nord della Striscia.

L’arma principale nell’arsenale di distruzione dell’esercito è il bulldozer corazzato D9 della Caterpillar, che è stato a lungo utilizzato per commettere violazioni dei diritti umani nei Territori Palestinesi Occupati. Ma i soldati che hanno parlato con +972 e Local Call hanno anche descritto un altro metodo preferito usato per far crollare interi blocchi residenziali: riempire container o veicoli militari in disuso con materiale esplosivo e farli detonare a distanza.

“Alla fine, il D9 [bulldozer corazzato] ha plasmato il volto della guerra“, ha twittato il giornalista israeliano di destra Yinon Magal all’inizio di febbraio. “È ciò che ha ottenuto che i gazawi tornassero a sud, dopo che [erano venuti a nord nelle loro case durante il cessate il fuoco e] si erano resi conto di non avere un posto dove tornare… E questa non è stata una direttiva del Capo di Stato Maggiore o dello Stato Maggiore – questa è stata una politica del ‘campo’, dei comandanti di divisione, dei comandanti di brigata, dei comandanti di battaglione e persino delle squadre di ingegneria militare che hanno cambiato la realtà”.

Un ex alto funzionario della sicurezza dell’esercito israeliano, che ha mantenuto i contatti con molti ufficiali, ha confermato che alcuni comandanti sul campo hanno preso la decisione di ordinare la distruzione di quanti più edifici possibili a Gaza, anche in assenza di direttive militari formali da parte di alti ufficiali. “Ho ricevuto rapporti da comandanti sul campo che mi hanno riferito che si stavano compiendo azioni inutili dal punto di vista operativo: demolire case, costringere decine e centinaia di migliaia di residenti ad andarsene, distruggere sistematicamente Beit Hanoun e Beit Lahia. Mi hanno detto che le unità D9 operavano al di fuori del loro controllo”, ha dichiarato a +972 e Local Call. “Non so quale sia stata la percentuale di distruzione non operativa, ma era molto alta”.

I comandanti a Gaza hanno un’ampia discrezionalità per quanto riguarda la demolizione degli edifici, ha ammesso una fonte militare ufficiale, negando però che a Gaza ci sia una direttiva di “distruggere per il gusto di distruggere”. “Un comandante può abbattere un edificio che potrebbe rappresentare una minaccia”, ha detto, facendo notare che i comandanti di livello più basso potrebbero essere stati responsabili delle distruzioni più diffuse.

Allo stesso tempo, diversi riservisti hanno testimoniato che il metodo dell’esercito di appiattimento sistematico e deliberato delle infrastrutture civili è stato impiegato anche nel Libano meridionale, durante l’invasione di terra dell’ottobre-novembre 2024. Secondo un riservista, i preparativi per l’invasione includevano un addestramento alla demolizione, dove l’obiettivo esplicitamente dichiarato era quello di distruggere i villaggi sciiti, quasi tutti definiti come roccaforti di Hezbollah, per impedire ai residenti di tornare.

“Se i soldati si sono presi il loro tempo, controllando a quale muro attaccare l’esplosivo, e poi sono usciti dall’edificio e hanno filmato l’esplosione, questo dimostra che non c’era alcuna giustificazione [operativa]”, ha spiegato Muhammad Shehada, visiting fellow presso l’European Council on Foreign Relations e nativo di Gaza. Un suo amico, che ha un passaporto straniero ed è entrato nella Striscia di Gaza durante il cessate il fuoco, gli ha descritto la metodicità della distruzione. “Ha detto che si poteva vedere che [i soldati] demolivano una casa, ripulivano le macerie e passavano a quella successiva”.

Prima della guerra, lo stesso Shehada viveva a Tel Al-Hawa, un quartiere di Gaza noto per i suoi grattacieli e sede di funzionari e accademici, non lontano dal corridoio di Netzarim. “Quando i residenti di Gaza sentono che l’esercito sta per aprire un corridoio, si rendono conto che non rimarrà un solo edificio”, ha detto. “Sapevamo che Tel Al-Hawa sarebbe scomparsa“.

Il messaggio è chiaro: “distruggeremo”.

Quando il cessate il fuoco è entrato in vigore a fine gennaio, migliaia di palestinesi si sono affrettati a tornare a Jabalia, nel nord di Gaza, solo per scoprire che il campo profughi come lo conoscevano non esisteva più, con interi quartieri ridotti in macerie. I loro racconti della distruzione sono coerenti con le testimonianze dei soldati che hanno prestato servizio a Jabalia dall’ottobre 2024, quando l’esercito israeliano è rientrato nel campo, fino al cessate il fuoco.

Avraham Zarviv, un operatore di D9 che è diventato noto come “l’appiattitore di Jabalia” per i video di distruzione che ha caricato sui social media, ha spiegato i suoi metodi in un’intervista a Canale 14.

“Non avevo mai visto un trattore in vita mia, solo in fotografia”, ha detto Zarviv, che nella vita civile è un giudice del tribunale rabbinico. La Brigata Givati, in cui prestava servizio, decise pochi mesi dopo l’inizio della guerra di creare un’unità ingegneristica specializzata in operazioni di demolizione. “Siamo saliti su trattori, D9, escavatori… abbiamo imparato il mestiere, siamo diventati altamente professionali. Non potete capire cosa significhi abbattere un edificio – sette, sei, cinque piani – uno dopo l’altro”.

Tra l’ottobre 2024 e il gennaio 2025, Zarviv ha dichiarato che ogni settimana distruggeva in media “50 edifici – non unità abitative, edifici… A Rafah non hanno un posto dove andare, a Jabalia non hanno un posto dove tornare”. Zarviv è tornato di recente a prestare servizio a Rafah. Prima del seder di Pasqua, nell’aprile di quest’anno, ha caricato un video da Rafah che lo ritrae sullo sfondo di una strada dove alcuni edifici sono ancora in piedi. Zarviv non ha specificato nel video cosa stesse facendo esattamente a Rafah, ma ha detto di essere tornato “per combattere fino alla vittoria, fino all’insediamento… Siamo qui per sempre”.

Mentre alcuni operatori di D9 come Zarviv hanno rivendicato con orgoglio i loro crimini di guerra, altri soldati non parlano pubblicamente della distruzione, secondo Y. “C’è apatia: Le persone sono al quarto o quinto dispiegamento, si sono abituate”. Ma a prescindere dal loro livello di zelo, afferma Y., i soldati hanno capito come dovevano essere usati i bulldozer. “Non c’è stato un ordine formale [di decimare Rafah], ma il messaggio è chiaro: la distruggeremo e basta”.

Il completo annientamento di Rafah da parte dell’esercito è avvenuto nonostante il fatto che, come ha osservato Y., “non ci sono stati incontri [con combattenti di Hamas], abbiamo incontrato solo dei paramedici”, un riferimento all’incidente in cui i soldati israeliani hanno ucciso 15 paramedici e vigili del fuoco nel quartiere Tel Al-Sultan della città.

Come Y., anche gli altri soldati intervistati da +972 e Local Call hanno dichiarato di non aver visto alcun ordine scritto dello Stato Maggiore dell’esercito di effettuare le demolizioni, e che di solito tali ordini provenivano dal livello di brigata o di divisione.

L’ex alto funzionario della sicurezza ha detto di aver contattato lo Stato Maggiore dopo aver appreso della distruzione sistematica nella Striscia settentrionale, ed è “convinto che ciò non provenga dal Capo di Stato Maggiore [Herzi Halevi], ma che egli ne abbia perso il controllo. Le distruzioni che non sono legate a obiettivi militari sono un crimine di guerra. Questo è venuto dal basso [da ufficiali di medio livello, compresi i comandanti di brigata e di battaglione]. La vendetta non è un obiettivo militare [ufficiale], ma è stato permesso che avvenisse”.

Quando si entra in una casa, la si fa esplodere

H. ha prestato servizio nelle riserve a Gaza due volte, la prima all’inizio del 2024 e la seconda tra maggio e agosto come comandante della sala operativa di un battaglione di stanza nel corridoio di Netzarim. “Durante il mio primo servizio di riserva, ero a Khirbet Khuza’a [un villaggio vicino a Khan Younis]. Abbiamo distrutto tutto, ma c’era una logica: espandere la linea di contatto [zona cuscinetto] perché era vicina al confine”, ha detto.

“La seconda volta, l’area in cui ci trovavamo era lungo il corridoio di Netzarim, vicino al mare. Non c’era alcuna giustificazione operativa per demolire gli edifici. Non rappresentavano una minaccia per Israele. Era diventata una routine: L’esercito si era abituato all’idea che quando si entra in una casa, la si fa saltare in aria.

Palestinesi sfollati tornano alle loro case attraverso il corridoio di Netzarim, nella Striscia di Gaza centrale. 9 febbraio 2025. (Abed Rahim Khatib/Flash90)

“Non si è trattato di un’iniziativa locale, ma del comandante del battaglione”, ha proseguito H. “Gli obiettivi di demolizione [edifici contrassegnati per la distruzione] sono stati inviati alla brigata. Suppongo che siano arrivati anche alla divisione. Il comandante del battaglione segnava gli edifici con una X e controllava quanti esplosivi erano disponibili. Inviavano un comandante di compagnia per verificare che non ci fossero prigionieri di guerra o dispersi [ostaggi] all’interno. Nei casi in cui i palestinesi erano ancora nelle case, veniva detto loro di andarsene – ma erano casi rari”.

Secondo H, la distruzione era quotidiana. “Alcuni giorni abbiamo demolito otto o dieci edifici, altri nessuno. Ma in generale, nei 90 giorni in cui siamo stati lì, il mio battaglione ha distrutto tra i 300 e i 400 edifici. Ci allontanavamo di 300 metri [dagli edifici] e li facevamo saltare in aria”.

Quando H. arrivò al corridoio di Netzarim nel maggio 2024, la sua larghezza si estendeva solo per poche decine di metri a nord e a sud. Quando ha completato il suo servizio, tre mesi dopo, le demolizioni avevano ampliato il corridoio a sette chilometri su ogni lato. “Abbiamo preso 3 chilometri da Zaytoun [a nord di Netzarim] e anche da Al-Bureij e Nuseirat [a sud]. Non è rimasto nulla, nemmeno un muro più alto di un metro”, ha detto. “La scala e l’intensità della distruzione è così massiccia – è indescrivibile”.

Yotam, vice comandante di compagnia, si è arruolato nelle riserve il 7 ottobre e ha prestato servizio per 207 giorni a Gaza, partecipando alla prima incursione di terra a Gaza City e lungo il corridoio di Netzarim. In seguito è stato licenziato dal servizio dopo aver firmato una lettera che invitava i soldati a smettere di prestare servizio fino alla restituzione degli ostaggi.

“Ci svegliavamo e al battaglione veniva assegnata una compagnia di ingegneria per la giornata, insieme a una quantità specifica di esplosivi”, ha spiegato Yotam, descrivendo come iniziavano le missioni di demolizione. “Questo significava demolire da uno a cinque edifici [in un giorno]”.

In qualità di vice comandante di compagnia, Yotam è stato incaricato di guidare le missioni. “Sono andato dal comandante del battaglione che mi ha detto: ‘Trova qualcosa di rilevante sul campo e demoliscilo’. Gli ho detto: ‘Non farò una missione del genere’. Così sono andato dal comandante della compagnia di ingegneria, abbiamo aperto una mappa e selezionato cinque edifici. Se non l’avessimo fatto, avrebbero scelto edifici a caso… Comunque, volevano demolire l’intero quartiere. La sensazione generale era: ‘Oggi abbiamo una compagnia di ingegneria, andiamo a distruggere qualcosa’”.

Soldati israeliani in azione a Khan Younis, nel sud della Striscia di Gaza, il 31 luglio 2024. (Oren Cohen/Flash90)

Come altri soldati che hanno parlato con +972 e Local Call, Yotam ha affermato che l’obiettivo militare primario nella seconda fase della guerra, a marzo e aprile 2024, era la distruzione fine a se stessa. Ha aggiunto che un comandante di divisione ha detto che si tratta di una “leva di pressione su Hamas” per raggiungere un accordo sugli ostaggi, ma a livello pratico “questa non è una missione operativa. Non ha uno scopo concreto. Non ci sono protocolli prestabiliti”.

Yotam ha detto che nell’area di Netzarim, le unità sul campo avevano una notevole libertà di decidere cosa distruggere. “L’idea per operare era: questo è un territorio che l’IDF detiene e che non restituirà presto – e a nessuno interessa la vita dei palestinesi che sono lì. Non è un’area che diventerà di nuovo un quartiere palestinese”.

“Ho visto con i miei occhi centinaia di edifici rasi al suolo. Interi quartieri a nord dell’ospedale turco [nella Striscia di Gaza centrale] sono stati rasi al suolo. Non si può rimanere indifferenti di fronte a una distruzione di questa portata “.

‘Uno spettacolo ogni sera’

Diversi soldati intervistati hanno descritto i rituali cerimoniali che accompagnavano le demolizioni a Gaza. Un caporale riservista della Brigata 55, che ha prestato servizio vicino a Khan Younis, ha parlato della sua esperienza nelle missioni: “Passavamo dentro alle case, confermavamo che non c’erano informazioni di interesse o militanti presenti, e poi l’unità di ingegneria entrava in ogni edificio con cariche da 10 chili, che attaccavano alle colonne di sostegno”, ha detto. “Era come uno spettacolo ogni sera: un ufficiale superiore, di solito un comandante di compagnia o superiore, si metteva in contatto via radio con l’unità di disinnesco bombe e il corpo di ingegneria, faceva un discorso sul perché siamo qui, faceva il conto alla rovescia e poi boom. Guardavamo indietro e non c’era più nulla in piedi”.

Yotam ha parlato di questi rituali anche durante il suo servizio di riserva a Gaza. “Quando una fila di edifici veniva fatta saltare in aria, il comandante del battaglione si metteva alla radio, diceva qualcosa di eroico su qualcuno che era morto e sul proseguimento della missione, e poi faceva saltare in aria un’intera fila di edifici”.

Un’altra pratica comune era quella di bruciare le case che le forze israeliane avevano usato come strutture militari temporanee, segnando la fine di una missione, come +972 ha precedentemente documentato. “Era una routine, lo facevano sempre”, ha detto Yotam. “In seguito hanno smesso e hanno bruciato solo le case che erano state usate come centri di comando”.

I soldati hanno anche compreso il significato più ampio dietro queste demolizioni rituali. In assenza di un obiettivo operativo, esse servivano un obiettivo politico e ideologico: rendere Gaza invivibile per le generazioni a venire.

“Alla fine non stiamo combattendo un esercito, ma un’idea”, ha dichiarato il comandante del Battaglione 74 al quotidiano israeliano Makor Rishon nel dicembre 2024. “Se uccido i combattenti, l’idea può ancora rimanere. Ma voglio rendere l’idea impraticabile. Quando guarderanno Shuja’iyya e vedranno che non c’è nulla, solo sabbia, questo è il punto. Non credo che potranno tornare qui per almeno 100 anni”.

“Nessuno meglio di noi sa che i gazawi non hanno un posto dove tornare”, ha spiegato un comandante il cui battaglione ha partecipato alla distruzione di circa mille edifici in due mesi nel 2025. Un soldato che ha prestato servizio nello stesso battaglione ha aggiunto: “L’idea era di distruggere tutto. Creare solo strisce di distruzione”.

‘Con un’esplosione si mette fuori uso un’intera strada’.

Nell’aprile 2025, il giornalista israeliano Yaniv Kubovich è entrato nell'”Asse Morag” – la striscia di terra che l’esercito ha sgomberato tra Khan Younis e Rafah – e ha riferito di aver visto i resti di un vecchio veicolo blindato (APC, Armored Personnel Carrier) vicino a uno degli edifici distrutti.

I soldati gli hanno spiegato che si tratta di un altro metodo utilizzato per far crollare gli edifici, che provoca danni ingenti all’ambiente circostante. “L’IDF carica [l’APC] di esplosivo e lo manda autonomamente in una strada o in un edificio che l’aviazione aveva precedentemente bombardato. Dopo un anno e mezzo di guerra, l’APC esplosivo è diventato l’alternativa più economica”.

Secondo Kubovich, i resti di questi APC esplosivi possono essere visti ovunque nella Striscia e sembra che il loro uso sia aumentato in modo significativo dalle prime fasi della guerra.

A., che ha prestato servizio in più missioni a Gaza, ha dichiarato a +972 e Local Call che questo metodo non è limitato ai vecchi APC. “Si prendono due contenitori giganti, si usano decine se non centinaia di litri di materiale esplosivo e con un D9 o un Bobcat [piccolo bulldozer], controllati a distanza, li si posiziona in un punto predeterminato – e si fanno esplodere. Con una sola esplosione si mette fuori uso un’intera strada.

“Una volta siamo entrati in un complesso che era un centro educativo giovanile”, ha continuato A. “Siamo rimasti lì per una notte e poi l’hanno fatto saltare in aria. Eravamo a un chilometro e mezzo di distanza [dall’esplosione] e sentivamo ancora l’onda d’urto passare su di noi, come una forte raffica di vento. Pensavo che l’edificio mi fosse crollato addosso”.

A. ha detto che a volte questo metodo veniva utilizzato per obiettivi relativamente operativi: far saltare in aria un’area in cui si sospettava la presenza di un ordigno esplosivo, ad esempio, o per liberare i sentieri per le truppe.

Ma Yotam lo ha descritto come un altro strumento usato principalmente per abbattere edifici. “La missione è definita una volta che si riceve una quantità di esplosivo, e poi si dice: ‘Va bene, vai””, ha detto. “Parte della missione ideologica è quella di spianare gli edifici o rendere inutilizzabile un’area”. Y., che ha recentemente prestato servizio a Rafah, ha anche testimoniato che “ogni notte, fanno esplodere uno o due [di questi APC]. La forza è pazzesca – appiattisce tutto ciò che lo circonda”.

Mentre le forze israeliane spianano Rafah, le decine di migliaia di palestinesi costretti ad evacuare ad aprile sentono da lontano la distruzione delle loro case. Il dottor Ahmed al-Sufi, sindaco di Rafah, ha dichiarato a +972 e Local Call che quando è tornato in città a gennaio, all’inizio del cessate il fuoco, è rimasto scioccato nel vedere l’entità della distruzione. Ora, sfollato di nuovo fuori Rafah, sente i bombardamenti dall’aria e le esplosioni senza sosta dal suolo, e teme che la situazione sia molto peggiore. “Nessuno sa che aspetto abbia ora la città, ma ci aspettiamo che sia completamente distrutta”, ha detto. “Sarà molto difficile per i residenti tornare”.

“L’esercito israeliano utilizza diversi metodi per distruggere la città, sia attraverso incessanti bombardamenti aerei sia facendo saltare gli edifici con trappole esplosive”, ha spiegato Mohammed Al-Mughair, direttore dei rifornimenti della Difesa Civile di Gaza. “Ci sono anche robot con trappole esplosive che vengono inviati nelle case e in interi quartieri e fatti esplodere al loro interno”. C’era un certo numero di aree che avevano ancora edifici intatti e abitabili [durante il cessate il fuoco], ma con questo bombardamento incessante, non sappiamo cosa sia successo lì, specialmente nelle aree che circondano il cosiddetto Corridoio Morag”.

Il nostro obiettivo era quello di distruggere i villaggi sciiti

Questa politica di distruzione sistematica – una tattica per impedire ai civili di tornare alle loro case – è stata attuata anche durante i due mesi di invasione di terra nel Libano meridionale da parte di Israele. Un’analisi delle immagini satellitari di fine novembre 2024, poco dopo il raggiungimento del cessate il fuoco tra Israele e Hezbollah, ha rilevato che il 6,6% di tutti gli edifici nei distretti a sud del fiume Litani era stato completamente o pesantemente distrutto.

Un’esplosione durante un’operazione militare israeliana a Ayta ash Shab, nel sud del Libano, il 21 ottobre 2024. (Ayal Margolin/Flash90)

G., riservista del 7064 Engineering Battalion, si è presentato all’addestramento nell’estate del 2024 prima dell’invasione prevista. Ha raccontato a +972 e Local Call che il briefing diceva esplicitamente che l’obiettivo del battaglione era distruggere i villaggi sciiti. “Durante l’addestramento alla demolizione prima dell’invasione [di terra], un maggiore del battaglione ci ha spiegato che il nostro obiettivo nell’entrare in Libano sarebbe stato quello di distruggere i villaggi sciiti. Non ha detto ‘terroristi’, ‘nemici’ o ‘minacce’. Non ha usato alcun termine militare, solo ‘villaggi sciiti’. È una distruzione senza scopo militare, ma solo con uno scopo politico.

“L’obiettivo era impedire il ritorno dei residenti”, ha proseguito G. “Questo è stato dichiarato esplicitamente. L’idea era che non ci fosse la possibilità di ricostruire dopo la guerra. A posteriori, abbiamo visto che hanno distrutto scuole, moschee e impianti di depurazione dell’acqua”. Si è rifiutato di presentarsi per un ulteriore servizio di riserva, ma non è stato punito.

Durante l’addestramento di G., non era stata indicata una distanza specifica dal confine come limite per la distruzione, ma “la Brigata 769, a cui eravamo sottoposti, decise per un raggio di 3 chilometri. Da quello che ho visto [dal lato israeliano del confine], ci sono riusciti”. In un’intervista a Srugim, il comandante della Brigata 769 ha confermato queste osservazioni: “Ovunque ci sia terrore, sospetto di terrore o anche solo un sentore di terrore, io distruggo, demolisco ed elimino”.

L., un riservista che ha prestato servizio sia a Gaza che sul fronte orientale del Libano, ha detto che l’esercito ha portato “un numero enorme di forze di ingegneria da combattimento, sia regolari che di riserva”. La sua unità in Libano “ha affrontato una resistenza minima o nulla, molto meno di quanto ci si aspettasse”, e uno degli obiettivi era “distruggere tutte le infrastrutture nei villaggi, perché quasi ogni villaggio era definito come una roccaforte di Hezbollah”.

“Hanno iniziato a distruggere i villaggi in modo piuttosto completo e intenso – quasi tutte le case, non solo quelle contrassegnate come abitazioni dei comandanti di Hezbollah. Mine, esplosivi, escavatori, D9: hanno usato tutti gli strumenti per demolire gli edifici. Hanno anche messo fuori uso l’energia elettrica, l’acqua e le infrastrutture di comunicazione, per renderle inutilizzabili a breve termine, e anche se [i residenti] tornano, ci vorrà molto tempo per ricostruire”.

Secondo L., le case risparmiate erano spesso quelle appartenenti a famiglie cristiane. “Ho notato che spesso gli edifici con le croci all’interno rimanevano in piedi”, ha spiegato.

Il corpo di ingegneria dell’IDF sposta un bulldozer blindato Caterpillar D9 dell’IDF nelle alture del Golan settentrionale, 19 settembre 2024. (Michael Giladi/Flash90)

G., come già detto, si rifiutò di entrare in Libano per non prendere parte alla distruzione dei villaggi, ma dal lato israeliano del confine vide e sentì ciò che il suo battaglione stava facendo lì. “Alcune distruzioni sono avvenute dopo che tutto era già stato occupato e non c’era più resistenza… Sul WhatsApp del battaglione ho visto prove di distruzioni intenzionali. I soldati del battaglione si sono filmati mentre facevano saltare in aria gli edifici. Il mio battaglione è entrato solo dopo che non c’erano Hezbollah, né armi, né edifici utilizzati per qualsiasi scopo militare secondario [contro Israele] – niente che [fosse lecito colpire] secondo le leggi di guerra”.

Questa logica di distruzione di massa è stata applicata anche in Cisgiordania, sebbene su scala minore. Infatti, una fonte militare ha dichiarato a +972 e Local Call che la natura della distruzione a Gaza deriva dalle tattiche sviluppate dall’esercito nell’Operazione Scudo Difensivo in Cisgiordania durante la Seconda Intifada – “esporre il terreno”, nel linguaggio militare.

Secondo un rapporto OCHA delle Nazioni Unite del marzo 2025, dall’inizio del 2024 Israele ha demolito 463 edifici in Cisgiordania come parte dell’attività militare, sfollando quasi 40.000 palestinesi dai campi di Jenin, Nur Shams e Tulkarm come parte dell'”Operazione Iron Wall”. Nel campo profughi di Jenin, come +972 ha riferito in precedenza, l’esercito ha fatto esplodere interi blocchi residenziali e ha distrutto strade con i bulldozer – parte di una campagna di riorganizzazione del campo per sopprimere la resistenza palestinese e compromettere il diritto al ritorno. L’esercito ha recentemente annunciato l’intenzione di demolire altre 116 case nei campi profughi di Tulkarm e Nur Shams. 

In base alle cifre fornite dai soldati che hanno prestato servizio a Gaza, un singolo battaglione nella Striscia potrebbe distruggere questo numero di edifici in una settimana. Ma l’idea di fondo è la stessa. La distruzione non è più un semplice sottoprodotto dell’attività militare di Israele, o parte di una strategia militare più ampia: è diventata l’obiettivo stesso.

Il portavoce dell’IDF ha risposto alla nostra richiesta di commento con la seguente dichiarazione: “L’IDF non ha una politica di distruzione di edifici in quanto tali, e qualsiasi demolizione di una struttura deve rispettare le condizioni stabilite dal diritto internazionale. Le affermazioni riguardanti le dichiarazioni dei soldati su demolizioni non legate a scopi operativi mancano di sufficienti dettagli e non sono in linea con le politiche e gli ordini dell’IDF. Gli incidenti eccezionali sono esaminati dai meccanismi di revisione e indagine dell’IDF”.

“L’IDF opera su tutti i fronti con l’obiettivo di sventare il terrorismo in una realtà complessa di sicurezza, in cui le organizzazioni terroristiche stabiliscono deliberatamente infrastrutture terroristiche all’interno di popolazioni e strutture civili. Le affermazioni contenute nell’articolo riflettono un’incomprensione delle tattiche militari di Hamas nella Striscia di Gaza e della misura in cui queste tattiche coinvolgono edifici civili”.

“Anche in Cisgiordania (Giudea e Samaria) le organizzazioni terroristiche operano e sfruttano la popolazione civile come scudi umani, mettendola così in pericolo. Piantano esplosivi e nascondono armi nella zona. Nell’ambito della campagna contro il terrorismo nella Samaria settentrionale, le strade della zona vengono talvolta distrutte, richiedendo la demolizione di edifici in conformità con la legge. La decisione viene presa per ragioni operative e dopo aver esaminato le alternative”.

“L’IDF continuerà ad agire in conformità con la legge [israeliana] e con il diritto internazionale, continuerà a neutralizzare le roccaforti terroristiche e prenderà tutte le precauzioni possibili per ridurre al minimo i danni ai civili”.

Meron Rapoport è redattore di Local Call.

Oren Ziv è un fotoreporter, reporter di Local Call e membro fondatore del collettivo fotografico Activestills.

https://www.972mag.com/israel-gaza-total-urban-destruction

Traduzione a cura di AssopacePalestina

Non sempre AssopacePalestina condivide gli articoli che pubblichiamo, ma pensiamo che opinioni anche diverse possano essere utili per capire.

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