Haaretz, 21 aprile 2025.

In vista di una manifestazione contro la guerra prevista per giovedì 24 aprile a Tel Aviv, organizzata dal movimento ebraico-arabo Standing Together, la polizia israeliana ha dichiarato che non permetterà lo svolgimento della protesta a meno che gli organizzatori non accettino il divieto di esporre cartelli con immagini di “bambini o neonati di Gaza” o con riferimenti al “genocidio e alla pulizia etnica”.
Il documento della polizia che illustrava queste condizioni era pieno di errori grammaticali e ortografici, riflettendo perfettamente l’approccio grossolano e pesante della polizia, che agisce senza linee guida chiare né basi giuridiche.
Anche dopo la morte, i bambini palestinesi uccisi dai raid aerei israeliani a Gaza sono considerati una minaccia in Israele. I cartelli con le loro facce “incitano ad attività violente o illegali”, ha spiegato la polizia.
Non sono stati solo gli attivisti di sinistra a trovare preoccupanti queste dichiarazioni. Anche i sostenitori più convinti dell’intervento militare israeliano a Gaza – come Danny Orbach, storico militare dell’Università Ebraica che spesso lamenta la strategia di Hamas di conquistare i cuori e le menti attraverso il vittimismo e la compassione del mondo – hanno scritto sui social media che, nonostante il loro “profondo disprezzo” per Standing Together, le azioni della polizia rappresentano una “grave e ingiusta violazione della libertà di espressione”.
Lunedì, Josh Breiner di Haaretz ha riferito che la polizia ha detto di aver inviato istruzioni aggiornate agli organizzatori della protesta. Standing Together ha scritto su X che la polizia era tornata sui suoi passi riguardo alle condizioni e il movimento ha dichiarato a Haaretz che, in ogni caso, non aveva mai avuto intenzione di cedere alle richieste della polizia.
Nello stesso arco di tempo di 24 ore, il capo del servizio di sicurezza Shin Bet, Ronen Bar, ha rivelato che il primo ministro Benjamin Netanyahu aveva ordinato più di una volta all’agenzia di intelligence interna di spiare i manifestanti antigovernativi. Solo un altro episodio contorto della democrazia morente di Israele.
Per quanto riguarda la polizia, Netanyahu non ha nemmeno bisogno di dare ordini espliciti. Le forze dell’ordine sono diventate un corpo politicizzato, plasmato dallo spirito etnonazionalista kahanista del ministro degli Esteri di estrema destra Itamar Ben-Gvir.
Due giorni dopo che Israele ha lanciato attacchi a sorpresa a Gaza – segnando una delle notti più sanguinose dall’inizio della guerra e ponendo fine al cessate il fuoco e all’accordo sugli ostaggi con Hamas – tra il 17 e il 18 marzo, un gruppo di donne israeliane è sceso in strada con le foto dei bambini uccisi negli attacchi e con candele commemorative ebraiche.
Il gruppo di alcune decine di donne si è riunito a Tel Aviv dopo che un’attivista aveva pubblicato un articolo su Instagram, ma non c’erano abbastanza partecipanti per tenere le immagini di tutti i 183 bambini palestinesi che risultano uccisi quella notte.
L’attivista che ha organizzato questa veglia silenziosa vicino alla protesta settimanale davanti al ministero della Difesa ha dichiarato a Haaretz che si aspettava le offese verbali, a volte sessualmente violente, da parte dei passanti, come era accaduto durante le proteste contro la guerra nell’ultimo anno e mezzo.
Ma questa volta è stato diverso. Ha detto che le persone si fermavano a guardare. Il silenzio delle dimostranti, di fronte ai volti innocenti di neonati e bambini, sembrava avere un effetto particolare su chi osservava la manifestazione.
In seguito, i passanti hanno chiesto di unirsi. Nell’occasione è stato creato un gruppo WhatsApp. Di manifestazione in manifestazione, il gruppo è cresciuto: da 30 a 100, poi 200 e sabato scorso circa 300 persone sono venute a tenere in mano le foto dei bambini di Gaza. Il movimento si sta diffondendo anche in altre città, tra cui Haifa, Umm al-Fahm, Gerusalemme e Jaffa, dove un gruppo palestinese organizza veglie. Si tratta di un movimento del tutto spontaneo. I nomi e le immagini provengono da “The Daily File” – un database creato dall’attivista Adi Ronen Argov, che tiene traccia dei nomi dei gazawi uccisi ogni giorno.
Il numero delle vite perse a Gaza durante la guerra non è certo un segreto, ma viene trattato come tale dai principali media israeliani. La destra considera giustificato questo alto numero. Per i centristi, come i riservisti che firmano petizioni per chiedere la fine della guerra, questo numero non esiste. Solo gli ostaggi israeliani contano.
Gli attivisti contro la guerra che mostrano i volti dei bambini morti a Gaza sanno che il destino degli ostaggi e dei bambini palestinesi abbandonati a Gaza, il cui unico crimine apparente è quello di essere nati nell’enclave, è strettamente intrecciato.
La polizia non può reprimere la solidarietà e l’empatia; al contrario: con la sua inettitudine razzista, potrebbe finire per amplificarla ancora di più.
Traduzione a cura di AssoPacePalestina
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