Gaza e gli aiuti umanitari: tra mercato nero, arma di guerra e diritti negati

di Christian Elia e Manolo Luppichini, 

IrpiMedia, 11 aprile 2025. 

Mentre la crisi umanitaria si aggrava sempre di più nella Striscia, e nessun carico di generi di prima necessità entra dai valichi, i prezzi sono fuori controllo e gli episodi di violenza in aumento. Ma di chi è la responsabilità di questa situazione?

Il 18 marzo scorso, il governo israeliano ha ordinato all’esercito di riprendere le azioni militari nella Striscia di Gaza, dopo il cessate il fuoco che era entrato in vigore il 19 gennaio. L’ingresso agli aiuti umanitari, però, era stato già bloccato dal 2 marzo precedente. Da allora «nessun rifornimento commerciale o umanitario è entrato a Gaza», come certificato da una nota congiunta delle principali agenzie internazionali: OchaUnicefUnopsUnrwaPam e Oms in un comunicato del 7 aprile. La situazione all’interno della Striscia di Gaza, che aveva avuto un momento di respiro grazie agli aiuti che erano transitati nei due mesi di sospensione delle attività belliche, è di nuovo molto complessa.

L’inchiesta in breve

  • Dal 2 marzo il governo israeliano ha bloccato l’accesso agli aiuti umanitari: le agenzie internazionali sottolineano come questa decisione ha reso la situazione umanitaria, già grave, ancora più pericolosa per i civili
  • La scarsità e i bisogni crescenti hanno portato a un’impennata dei prezzi dei beni di prima necessità e a un aumento delle violenze interne alla Striscia di Gaza
  • Colpire sistematicamente membri dei corpi di sicurezza di Hamas ha agevolato fenomeni di speculazione di guerra e mercato nero, senza che i militari israeliani controllassero l’accesso dei civili agli aiuti umanitari o proteggessero i carichi dall’azione di bande armate, alcune delle quali operavano in zone nel totale controllo d’Israele
  • Anche in Egitto agisce un meccanismo che genera grandi profitti con tasse di transito e protezione – illegali – sugli aiuti umanitari diretti verso la Striscia di Gaza

Secondo il ministero della Salute palestinese, almeno 60mila bambini nella Striscia sono «a rischio di gravi complicazioni dovute alla malnutrizione», a causa del mancato ingresso di nuovi aiuti fondamentali. Secondo le Nazioni Unite, ciò ha costretto alla chiusura di 21 centri per il trattamento della malnutrizione e, secondo il Programma alimentare mondiale (Pam), centinaia di migliaia di persone a Gaza rischiano di soffrire gravemente la fame, poiché l’espansione delle attività militari israeliane sta seriamente compromettendo le operazioni di assistenza alimentare.

Nel suo ultimo rapporto, pubblicato a febbraio 2025, l’ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari (OCHA) ha affermato che 876mila palestinesi a Gaza soffrono ancora di livelli di emergenza di insicurezza alimentare e 345mila sono in una situazione di insicurezza alimentare catastrofica.

Voci dalla Striscia

«Con la chiusura di tutti i punti di ingresso per gli aiuti e le merci, i prezzi dei generi alimentari di base hanno subito un aumento drammatico – spiega a IrpiMedia Rawan (nome di fantasia per proteggere la fonte) –. Prima i membri di Hamas vigilavano sulla protezione dei consumatori dai commercianti. Con l’intensificarsi dell’attacco israeliano, Hamas non può più operare, e la sua assenza dal campo ha portato a un aumento significativo dei prezzi dei prodotti di base».

Non solo aumentano i prezzi del cibo, ma diventa sempre più difficile accedere a qualsiasi servizio di base: «Basta l’esempio delle commissioni sui contanti, che hanno raggiunto più del 45% dell’importo totale richiesto. Il prezzo delle tende è aumentato da 200 a 1.200 shekel (cento shekel sono 24,14 euro, ndr) per tenda. Anche i costi di trasporto sono aumentati drasticamente a causa dell’aumento dei prezzi del carburante». Rawan, che racconta gli ultimi aggiornamenti dalla Striscia di Gaza, non ha mai svolto attività politica né preso parte ad azioni militari.

La situazione di scarsità alimentare si riflette immediatamente anche sulla sicurezza, e la tensione nei campi aumenta sempre di più assieme ai prezzi: «Un paio di settimane fa, un commerciante aveva annunciato di avere della farina in vendita. Quel poco che resta della polizia ha tentato di controllare l’area per impedire agli speculatori di manipolare il prezzo. Sul mercato nero era di 1.250 shekel, ma la polizia ha imposto un massimo di vendita di 50 shekel», racconta ancora Rawan.

«A causa dell’enorme afflusso di cittadini che si accalcavano per comprare e dell’impossibilità da parte delle forze dell’ordine di tenere sotto controllo la situazione – continua – un agente di sicurezza ha esploso in aria munizioni vere, causando il panico. Cinque civili sono rimasti feriti, uno è stato ucciso. La famiglia della vittima ha a sua volta rapito il poliziotto e lo ha giustiziato filmando l’esecuzione sommaria. Questo non è l’unico incidente: la scorsa settimana, più di dieci persone sono state uccise in dispute familiari o durante scontri con le forze di sicurezza governative. Inoltre, quando è stata disposta la chiusura dei panifici nella Striscia di Gaza, il prezzo di una pagnotta è aumentato da due a 70 shekel».

Una situazione gravissima, che agevola speculazioni e violenze. «I panifici ricevevano la farina attraverso tre canali principali: gli aiuti umanitari, il contrabbando o grazie ad alcuni commercianti con relazioni importanti. Collaborano anche con individui ai quali le compagnie di sicurezza private permettono di far entrare illegalmente farina e di ottenere grandi quantità di pane, che poi viene venduto alle porte dei panifici al doppio del prezzo. Ho incontrato diverse persone che lo fanno», spiega Rawan.

Che racconta di come la situazione fosse molto dura anche quando gli aiuti entravano, ma che adesso non entra quasi più nulla, come confermato alla stampa internazionale da Abdel Nasser al-Ajrami, capo dell’associazione dei proprietari di panetterie di Gaza, che ha annunciato l’1 aprile scorso che le panetterie hanno chiuso a causa della mancanza di carburante e farina. Anche il Pam ha diffuso una nota, lo stesso giorno, che confermava che la farina era esaurita nei suoi magazzini e che i panifici non saranno più operativi finché non verranno riaperti i valichi. Il World Food Programme, che gestiva e monitorava i prezzi di 18 panetterie nella Striscia, ne ha annunciato la chiusura.

Con il protrarsi del conflitto, aumentano sempre di più la forza e l’aggressività di gruppi criminali interni alla Striscia, che regolarmente assaltavano i camion di aiuti quando ancora potevano entrare o, peggio ancora, si mettevano d’accordo con gli autisti per rubare le merci e farle entrare nel mercato nero.

«Un camionista che trasporta aiuti per conto delle organizzazioni internazionali mi ha chiesto di trovare uno spazio in cui immagazzinare grandi quantità di materiale dove voleva nascondere beni che ha dichiarato di aver perso in una rapina. Non è l’unico autista a comportarsi così – rivela Rawan – Ci sono autisti che collaborano con gruppi armati, in cambio di una percentuale dei profitti. In questi casi l’autista informa del suo percorso i rapinatori che simulano l’aggressione, ma spesso le rapine sono autentiche, come per gli assalti degli uomini legati a Yasser Abu Shabab che entravano dal valico di Kerem Shalom».

Un personaggio controverso

Il personaggio citato dalla fonte di IrpiMedia, Yasser Abu Shabab, ha fatto molto parlare di sé in particolare nell’autunno del 2024, quando una serie di assalti a camion che portavano aiuti umanitari portarono, l’1 dicembre 2024, il direttore dell’UNRWA, Philippe Lazzarini, ad annunciare la sospensione dell’invio di aiuti umanitari per l’impossibilità di garantire la sicurezza dello staff e il controllo del loro utilizzo a causa della situazione di collasso della sicurezza nella Striscia di Gaza.

Almeno cento camion di aiuti umanitari delle Nazioni Unite erano stati assaliti da bande armate che in molti casi avevano anche ferito gli autisti. Un attacco in particolare, il 16 novembre 2024, aveva portato a uno scontro a fuoco tra membri della sicurezza di Hamas e rapinatori, con vittime da entrambe le parti. 

«La legge e l’ordine erano crollati nell’area attorno al valico di Kerem Shalom, che era il principale punto di ingresso delle merci, e le bande colmavano il vuoto di potere – aveva affermato Sam Rose, vicedirettore dell’UNRWA – Dopo 13 mesi di intenso conflitto è inevitabile che le cose vadano in pezzi». «Si tratta di un saccheggio tattico, sistematico e criminale», aveva affermato Georgios Petropoulos, capo dell’ufficio umanitario delle Nazioni Unite a Gaza. «La situazione degenera in una violenza diffusa che coinvolge tutti: saccheggiatori, camionisti, esercito israeliano e agenti della polizia di Hamas».

Una di queste bande, secondo fonti interne a Gaza e internazionali, fa capo proprio a Yasser Abu Shabab, accusato – e arrestato – più volte da membri delle forze di sicurezza di Hamas per traffico di stupefacenti. È stato rilasciato all’inizio del conflitto, alla fine del 2023. A novembre 2024, undici uomini della sua banda sono morti in uno scontro a fuoco con agenti della polizia di Hamas, che lo accusa degli assalti ai camion degli aiuti e di gestire il mercato nero, imponendo “tasse di protezione” fino a 4mila dollari statunitensi a camion per il passaggio sicuro, oppure rubando le merci per portarle in magazzini diretti dai suoi uomini che le rivendono a prezzi altissimi.

Oltre al cibo, anche l’acqua è un problema sempre più grave. Unicef ha comunicato a inizio aprile che gli alimenti complementari per neonati, fondamentali quando le scorte alimentari sono scarse, sono esauriti nella Striscia di Gaza centrale e meridionale.

Rimane solo una quantità sufficiente di latte artificiale pronto all’uso per 400 bambini per un mese. L’Unicef stima che le famiglie potrebbero essere costrette a utilizzare latte artificiale mescolato ad acqua non potabile. Durante il cessate il fuoco, Unicef ha iniziato a riparare pozzi e punti di distribuzione idrica per aumentare la disponibilità di acqua potabile, ma ora non è possibile sistemarli.

Nel nord, le famiglie ora dipendono interamente dal trasporto dell’acqua tramite autocisterne. Nelle aree centrali e meridionali, le interruzioni di corrente all’impianto di desalinizzazione meridionale hanno ridotto la produzione idrica dell’85% e la conduttura principale è stata danneggiata e non è accessibile per le riparazioni. L’accesso all’acqua potabile per un milione di persone, inclusi 400mila bambini, è crollato da 16 litri a persona al giorno ad appena sei.

«Alcune famiglie si sono scontrate e diverse persone sono rimaste ferite. La situazione sta peggiorando e queste famiglie stanno arruolando altri membri e raccogliendo armi per combattere tra loro», racconta Rawan a IrpiMedia, e spiega come il motivo del contendere sia il rifornimento di acqua potabile. «Qui arriva un’autobotte da 2mila litri ogni quattro giorni, ma molte famiglie non ricevono l’acqua, il che provoca litigi tra i cittadini. Uno scenario spaventoso e sconfortante che non sembra trovare soluzione, in questa situazione di guerra totale».

Il gioco delle responsabilità sulla pelle dei civili

Il quadro che emerge, come in molti contesti di scarsità dovuti a eventi bellici, è quello di una violenza crescente e di un mercato illegale dilagante – anche di aiuti umanitari – mentre i prezzi dei generi di prima necessità, sempre più scarsi, aumentano a dismisura. Ma di chi è la responsabilità di tutto questo?

Ricostruendo la cronologia del mercato illegale degli aiuti umanitari e dell’aumento dei prezzi, dall’inizio delle operazioni militari israeliane a Gaza a ottobre 2023, emerge come la crisi sia andata aumentando da quando i militari israeliani hanno iniziato a colpire sistematicamente gli agenti di polizia di Hamas.

«Il controllo della sicurezza di Hamas è sceso al di sotto del 20%», aveva dichiarato alla Bbc l’ex capo delle indagini della polizia di Hamas, aggiungendo: «Stiamo lavorando a un piano per ripristinare il controllo». La lotta di Hamas ai gruppi di predoni – secondo i suoi detrattori – è un modo per controllare il mercato e garantire il sostegno popolare, o almeno per mantenere condizioni migliori per i suoi affiliati. Questo, secondo quanto emerso in questi mesi, è vero, ma non è l’unico fattore.

Tutto quello che accade nella Striscia di Gaza, da ottobre 2023, è sotto il controllo dei militari d’Israele e in particolare del Coordinator of Government Activities in the Territories (Cogat), ente israeliano che ha l’utilizzo esclusivo degli hubdi stoccaggio dei beni che sono tutti controllati da Israele.

L’esercito israeliano, attraverso il Cogat, ha presentato alle Nazioni Unite e ad altre organizzazioni umanitarie un piano che prevede una gestione centralizzata degli aiuti umanitari attraverso hublogistici sottoposti a stretto controllo militare israeliano, come riportato da fonti di stampa internazionali e israeliane.

L’ultima versione di questa proposta – per cui gli aiuti entrerebbero solo se controllati dal Cogat – è stata rigettata dal segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres il 9 aprile scorso, perché potrebbe essere usata per «controllare ulteriormente e limitare spietatamente gli aiuti fino all’ultima caloria e all’ultimo granello di farina». Da parte di Israele si tratta, ancora una volta, della proposta che viene definita delle “bolle umanitarie”.

Secondo dati delle Nazioni Unite, più di 10mila camion sono arrivati durante il cessate il fuoco, un aumento significativo rispetto ai periodi precedenti, quando le consegne erano ostacolate da ispezioni rigorose, conflitti e difficoltà logistiche. Il Cogat ha sostenuto di aver ampliato le vie di accesso, come il valico di Kerem Shalom, e di non aver imposto limiti alla quantità di aiuti in entrata, attribuendo i ritardi alle capacità distributive delle organizzazioni umanitarie, come l’UNRWA.

Il Cogat afferma anche di aver facilitato un flusso costante di aiuti durante il cessate il fuoco, con oltre 12.600 camion entrati secondo le loro stime ufficiali (dati riportati fino al 7 febbraio 2025).

Ad oggi, le stime più credibili parlano di un totale di 57mila tonnellate di cibo entrate, un livello simile alle consegne di aiuti prima della guerra, ma le agenzie umanitarie affermano che i destinatari prima erano in condizioni fisiche decisamente migliori rispetto agli abitanti denutriti di oggi, e che avevano anche la capacità di produrre parte del proprio cibo, elemento adesso completamente assente per la mancanza di sicurezza e la devastazione del territorio.

Ma le organizzazioni umanitarie e alcuni governi accusano il Cogat di aver ampiamente contribuito alla crisi umanitaria a Gaza, specialmente prima del cessate il fuoco. La fondazione Hind Rajab, ad esempio, ha chiesto l’arresto del capo del Cogat a gennaio 2025, accusandolo di aver avuto un ruolo nella limitazione dell’assistenza vitale.

Al di là delle polemiche su come il Cogat abbia gestito gli aiuti umanitari, e delle situazioni di sicurezza interne alla Striscia, rimane confermato che il controllo degli aiuti umanitari è saldamente nelle mani dei militari israeliani. E anche la responsabilità di quello che accade a questi ultimi.

Un obbligo internazionale

La decisione del governo Netanyahu, presa il 2 marzo, di interrompere la fornitura di aiuti a Gaza è stata accompagnata dalle dichiarazioni di alcuni funzionari governativi d’Israele, che hanno affermato come nella Striscia ci fossero scorte di cibo sufficienti per diversi mesi, accumulate da consegne precedenti. Tuttavia, l’annuncio ha portato a un balzo immediato nei prezzi dei beni di prima necessità a Gaza, con i residenti che hanno affermato che erano raddoppiati.

Le agenzie umanitarie affermano che il blocco degli aiuti umanitari alla popolazione civile è inaccettabile in qualsiasi circostanza. Human Rights Watch è stata la prima organizzazione a denunciare, già a dicembre 2023, come a suo dire l’esercito israeliano usasse la fame come arma di guerra. Oxfam ha affermato: «La decisione di Israele di bloccare gli aiuti a oltre due milioni di palestinesi nella Striscia di Gaza è un atto sconsiderato di punizione collettiva, esplicitamente proibito dal diritto umanitario internazionale. Il governo di Israele, in quanto potenza occupante, ha la responsabilità di garantire che gli aiuti umanitari possano raggiungere la popolazione di Gaza».

Israele ha costantemente negato le accuse delle organizzazioni umanitarie, insistendo sul fatto che i blocchi nelle forniture erano il risultato di altri fattori. In primo luogo l’incapacità delle Nazioni Unite e di altre agenzie umanitarie internazionali di portare abbastanza camion ai valichi di frontiera.

La Corte Internazionale di Giustizia, che ha accusato i vertici israeliani di genocidio, ha emesso un ordine immediato affinché Israele faciliti le consegne di aiuti a Gaza e alla sua popolazione rimanente di 2,2 milioni. La Corte Penale Internazionale ha affermato che c’erano motivi sufficienti per credere che Israele avesse usato «la fame come metodo di guerra».

Gli operatori umanitari hanno sempre respinto questa accusa chiedendo con urgenza che molte restrizioni all’ingresso venissero revocate e che più punti di attraversamento venissero aperti e protetti, ribadendo che Israele, in quanto potenza occupante, è obbligato dal diritto internazionale a fornire protezione e sicurezza agli aiuti umanitari.

Non solo omesso controllo, non solo Isreale

A ottobre 2024 il Washington Post aveva pubblicato un promemoria interno delle Nazioni Unite che affermava come le bande di Gaza «potrebbero beneficiare di una benevolenza passiva, se non attiva» o «protezione» da parte dell’esercito israeliano. Secondo il promemoria sarebbe coinvolto lo stesso Yasser Abu Shabab, che avrebbe creato un «complesso di tipo militare» in un’area «limitata, controllata e pattugliata dall’esercito israeliano».

Anche la BBC ha raccolto testimonianze che confermano queste circostanze, e ha chiesto al Cogat di replicare, senza ottenere risposta. Tutte le fonti che in questi mesi sono state, nella Striscia di Gaza, in contatto con IrpiMedia, hanno anche loro confermato che l’azione di questi gruppi di rapinatori e di speculatori avviene sotto gli occhi dei militari israeliani.

Sulla pelle dei civili di Gaza, però, non incombe solo il ruolo delle forze militari israeliane, secondo un’inchiesta di Middle East Eye, il leader tribale egiziano Ibrahim al-Organi ha continuato a esercitare un controllo di fatto sull’ingresso di camion commerciali e di aiuti umanitari a Gaza dopo il cessate il fuoco entrato in vigore il 19 gennaio 2024.

Secondo fonti egiziane e palestinesi, gli sforzi per far entrare beni e aiuti a Gaza dopo il cessate il fuoco sono stati complicati dalle tariffe esorbitanti che il singolo camion deve pagare prima agli egiziani e poi alle bande interne. Secondo le fonti, i camion che trasportano beni commerciali, poi venduti a Gaza, hanno un costo di almeno 20mila dollari, ma anche i camion degli aiuti umanitari sono soggetti a estorsione. 

Organi è un uomo d’affari, politico e leader tribale del Sinai, alleato del presidente Abdel Fattah el-Sisi. Il nome di Organi è diventato sinonimo di profitti illeciti ricavati dal soffocante blocco di Gaza, in particolare dai palestinesi disperati che tentano di fuggire dai combattimenti.

L’anno scorso sempre Middle East Eye ha rivelato come Organi guadagnasse fino a due milioni di dollari al giorno dai palestinesi che lasciavano la Striscia di Gaza attraverso il valico di frontiera con l’Egitto, l’unico al tempo non controllato direttamente da Israele. Un altro rapporto ha rivelato che le aziende di Organi facevano pagare ai camion degli aiuti 5mila dollari l’uno per entrare a Gaza.

Inoltre, due società collegate a Organi hanno rilevato tutte le operazioni relative alla consegna degli aiuti, emarginando completamente la Mezzaluna rossa egiziana.

La prima è Sons of Sinai, una società commerciale e di appalto che fa parte di Organi Group, un gruppo di società di proprietà di Organi e di suo figlio Essam. La seconda è Golden Eagle, il subappaltatore di Sons of Sinai incaricato di facilitare la logistica per la consegna degli aiuti, nonostante ci fossero migliaia di volontari pronti a fare lo stesso lavoro logistico.

Dopo che i militari israeliani hanno preso il controllo del valico di Rafah, i profitti di Organi derivanti dall’evacuazione dei palestinesi si sono bloccati. Eppure, nei mesi successivi, ha continuato a far pagare ai camion commerciali fino a 60mila dollari in tasse non ufficiali per passare attraverso altri valichi, tra cui Nitzana e Kerem Shalom, controllati da Israele. Queste tasse hanno contribuito all’impennata dei prezzi dei beni essenziali a Gaza e il meccanismo è stato reso possibile pur avvenendo sotto gli occhi dei funzionari militari israeliani.

Anche in Israele il dibattito sulle responsabilità della gestione degli aiuti umanitari nella Striscia di Gaza è stato acceso. A marzo scorso, la Corte Suprema d’Israele ha rigettato come irricevibile l’istanza di cinque organizzazioni israeliane che si occupano di tutela dei diritti umani (Gisha, Adalah, l’Associazione per i diritti civili in Israele, HaMoked e Medici per i diritti umani) che chiedeva di provvedere ai bisogni della popolazione civile di Gaza in conformità con gli obblighi di Israele in quanto potenza occupante, ma la corte israeliana ha ritenuto che «Israele non è una potenza occupante nella Striscia e ha ribadito la posizione dello Stato, secondo cui le sue forze stanno facendo tutto il possibile per facilitare gli aiuti umanitari a Gaza».

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