di Yuval Green,
Haaretz, 21 marzo 2025.
Come molti israeliani, mi sono arruolato nell’esercito per un senso di lealtà verso lo stato e per la mia disponibilità al sacrificio. Dopo un impegnativo servizio di combattimento, ho continuato a servire come soldato di riserva. Il 7 ottobre, sono stato chiamato, insieme ai miei commilitoni, a difendere i confini del paese. La sera stessa, sono arrivato ai magazzini di rifornimento della mia unità di riserva. Lì, abbiamo ricevuto attrezzature vecchie e difettose e siamo stati testimoni di come l’esercito, su cui facevamo affidamento, non si sia preparato per uno scenario estremo.
Nei giorni successivi, siamo entrati negli insediamenti colpiti intorno alla Striscia di Gaza. Ho visto i sentieri deserti dei villaggi di Gaza, i cadaveri che vi giacevano, le auto crivellate di proiettili, le case distrutte.
Dopo i primi giorni di guerra, la mia unità è entrata in un periodo di attesa e di addestramento. Durante questo periodo, i dubbi hanno cominciato a radicarsi in me. Credevo che l’impegno principale di Israele dovesse essere rivolto agli ostaggi, che erano stati portati via crudelmente dalle loro case a causa del fallimento della nostra sicurezza. Pensavo che non ci fosse una soluzione militare al problema degli ostaggi.
Mi era chiaro che l’azione militare a Gaza metteva in pericolo la vita degli ostaggi. Allo stesso tempo, pensavo che Hamas sarebbe stato disposto a firmare un accordo – dopo tutto, hanno rapito le persone per liberare i prigionieri in Israele. Inoltre, dopo il terribile disastro che abbiamo vissuto il 7 ottobre, ho pensato che l’ultima cosa di cui avevamo bisogno erano altri soldati caduti.
Al di là delle conseguenze della guerra per noi israeliani, ho osservato con dolore ciò che stava accadendo a Gaza. Già nei primi giorni della guerra, c’erano migliaia di vittime, migliaia di case distrutte, sfollati, sofferenza e dolore.
Nonostante i miei dubbi, ho scelto di entrare a Gaza con i miei compagni. L’ho fatto perché, come medico di plotone, sentivo un forte senso di impegno nei loro confronti. Inoltre, in quel momento, lottavo ancora per capire quale fosse la cosa giusta da fare: forse mi sbaglio? Forse il modo per riportare indietro gli ostaggi passa attraverso l’azione militare?
Pochi giorni dopo il nostro ingresso a Gaza, all’inizio di dicembre 2023, ho sentito un notiziario alla radio che affermava che Israele si rifiutava di terminare la guerra per riportare indietro gli ostaggi. Questa notizia mi ha devastato. La mia motivazione al servizio è stata compromessa ancora di più. Tuttavia, il mio senso del dovere come medico mi ha trattenuto a Gaza.
Alcune settimane dopo, 50 giorni dopo l’ingresso a Gaza, abbiamo ricevuto un ordine dal nostro comandante di compagnia: dopo aver lasciato la casa in cui alloggiavamo, dovevamo bruciarla. L’ordine mi ha lasciato sotto shock. Ho chiesto al comandante perché avremmo dovuto bruciare la casa. La sua prima risposta – che, ai miei occhi, esemplifica l’indifferenza per le vite dei Palestinesi – non la dimenticherò mai: “Stiamo bruciando la casa perché non abbiamo un bulldozer D9 a disposizione”. Dopo che ho insistito per capire, ha aggiunto: “Bruciamo ogni casa che lasciamo”. Le mie richieste di riconsiderare l’atto sono rimaste senza risposta e quella sera circa quattro edifici sono stati bruciati a Khan Yunis. Ho assistito a quegli incendi, al fumo nero. Quante famiglie hanno perso la loro casa quella sera?
Ho informato il mio comandante che non ero disposto a collaborare con questa azione e che avrei lasciato i combattimenti. Ho posto un chiaro limite morale di fronte ad azioni immorali. Ho lasciato Gaza con il primo veicolo di rifornimento e non sono più tornato, cinque giorni prima che la mia unità si ritirasse dai combattimenti.
I commentatori negli studi televisivi si cimentano in dibattiti sulla “vittoria totale” o sul “crollo di Hamas”. Non conosco la situazione militare di Hamas, ma so una cosa: non ha alcuna importanza. Le ragioni che hanno portato all’ascesa di Hamas a Gaza sono le stesse che hanno portato all’ascesa dei fedayyin negli anni Cinquanta e all’ascesa dell’OLP negli anni Sessanta. Senza una soluzione politica, finché i Palestinesi saranno sotto il nostro controllo, si solleveranno sempre contro di noi, compiranno attacchi e combatteranno. Anche se Hamas viene sradicato, un altro movimento sorgerà al suo posto.
Questa guerra, nonostante ci sia stata venduta come un cambiamento nella realtà del Medio Oriente, in realtà radica esattamente più a fondo la stessa realtà. Un altro spreco di sangue, altre uccisioni, che portano ad un’opposizione più violenta, che porta ad altre uccisioni.
La guerra a Gaza continua principalmente a causa di una cultura politica marcia e corrotta, in cui politici cinici e indegni vengono trascinati in una lotta messianica guidata da fanatici religiosi, che considerano la colonizzazione della terra come un valore superiore alla vita umana.
Credo che la cultura israeliana, che eleva ciecamente il servizio militare al di sopra di qualsiasi altro valore umano, sia ciò che permette agli estremisti di condurci su questa strada. Vedo molte persone intorno a me che riconoscono la realtà come la vedo io. Capiscono che la pressione militare sta uccidendo gli ostaggi, capiscono che la guerra sta uccidendo i soldati, capiscono che stiamo combattendo principalmente a causa della pressione di elementi estremisti. Ma continuano a presentarsi al servizio. Non collegano il loro servizio militare alla continuazione della guerra.
Spesso siamo accusati, quelli di noi che si rifiutano di partecipare alla guerra, di danneggiare l’esercito e quindi di mettere in pericolo la sicurezza dello stato. Tuttavia, credo che in un paese che cammina sulla strada del fascismo, dove la fine della guerra è vista come una ‘concessione dolorosa’ nei negoziati, non ci saranno mai abbastanza soldati. Anche se reclutiamo tutti gli studenti di yeshiva, mandiamo tutti i giovani al fronte e mobilitiamo anche la popolazione araba, ci sarà sempre un’altra terra da conquistare in Siria, un’altra enclave in Cisgiordania da prendere.
A mio parere, il rafforzamento della sicurezza dello stato consiste in una ferma opposizione alla guerra che mette in pericolo i nostri soldati, danneggia la nostra economia, uccide molti Palestinesi e quindi semina profondi semi di odio – e naturalmente abbandona i nostri fratelli e sorelle che sono in cattività.
Io e i miei compagni dell’organizzazione “Soldati per gli ostaggi” abbiamo dichiarato che non siamo disposti a continuare a collaborare con l’abbandono degli ostaggi. Se il Governo non cambierà rotta, non continueremo a prestare servizio. In un clima politico così estremo, il nostro ruolo è diventato più importante che mai. Negli ultimi mesi, dopo la pubblicazione della nostra lettera in un articolo di Liza Rozovsky (“Haaretz”, 9.10.2024), abbiamo ricevuto risposte significative che indicano quanto il nostro movimento stia preoccupando la leadership. Questo, nonostante il fatto che, al momento della pubblicazione, fossimo solo 130 soldati a rifiutare il servizio. Il Primo Ministro si è rivolto al nostro gruppo in una riunione di gabinetto e ha detto di noi: “Hanno perso la bussola nazionale”. Inoltre, ogni firmatario della lettera ha ricevuto una telefonata personale dal proprio comandante di battaglione o di brigata, che gli ha chiesto di rimuovere la propria firma.
È importante chiarire che noi firmatari della lettera, ora più di 200 soldati, non siamo né disertori né evasori. Tra di noi ci sono combattenti e ufficiali che hanno combattuto a Gaza e in Libano. Abbiamo scelto questa strada non per il desiderio di sottrarci ai nostri doveri e non per il peso del servizio di riserva, ma proprio per il nostro profondo impegno nei confronti dello stato.
Proprio come eravamo disposti a rischiare, a lottare e a combattere in battaglia, oggi crediamo di doverci dar da fare per resistere alla pressione sociale. Lo facciamo perché riteniamo che sia giunto il momento di tracciare una linea rossa contro la guerra
Sostenere i Refusenik della Guerra di Gaza
Tradotto in inglese dall’edizione ebraica di Haaretz dall’autore stesso
https://mailchi.mp/refuser/one-has-a-moral-obligation-to-disobey-unjust-laws-18117858?e=927109762a
Traduzione a cura di AssoPacePalestina
Non sempre AssoPacePalestina condivide gli articoli che pubblichiamo, ma pensiamo che opinioni anche diverse possano essere utili per capire.