di Ruwaida Amer,
+972 Magazine, 27 marzo 2025.
In manifestazioni che sono le più grandi da anni nell’enclave, i palestinesi chiedono la fine immediata della guerra e le elezioni per scegliere una nuova leadership.

Negli ultimi due giorni, i palestinesi della Striscia di Gaza sono scesi in piazza per chiedere la fine dell’attacco genocida di Israele e del governo di Hamas sul territorio. Iniziate nella città settentrionale di Beit Lahiya, le manifestazioni si sono rapidamente diffuse in altre parti dell’enclave, tra cui Shuja’iyya nel nord, Nuseirat e Deir Al-Balah nel centro e Khan Younis nel sud. Le proteste sono le più grandi dall’inizio della guerra e rappresentano la più significativa manifestazione pubblica di dissenso contro Hamas a Gaza da anni.
Le manifestazioni sono state innescate dai nuovi ordini israeliani di evacuare Beit Lahiya e le aree circostanti, mentre l’esercito espande la sua ultima incursione di terra. I residenti sono scesi spontaneamente in strada martedì per sfogare la loro rabbia di essere stati sfollati con la forza ancora una volta, riflettendo la crescente disperazione della popolazione dopo che Israele ha infranto il fragile cessate il fuoco la scorsa settimana.
Pur ritenendo Israele responsabile del massacro di oltre 50.000 persone nel corso dell’ultimo anno e mezzo, e di aver sottoposto la Striscia a un blocco di lunga data che si è ulteriormente intensificato durante la guerra, i manifestanti stanno dirigendo la loro ira anche verso Hamas: chiedono al gruppo di fare tutto il possibile per fermare i bombardamenti e poi farsi da parte per consentire libere elezioni.
“Ho partecipato alle manifestazioni dal momento in cui sono iniziate”, ha dichiarato a +972 Raed Tabash, 50 anni, di Khan Younis. “Ho cantato, urlato e sfogato la mia rabbia interiore. Sono 20 anni che viviamo sotto assedio. Non c’è lavoro e non c’è futuro per i nostri giovani. I nostri figli stanno crescendo e non sappiamo cosa li aspetta. Quanti bambini sono stati uccisi durante questa guerra? Stiamo dando alla luce i nostri figli solo perché i missili li uccidano nel modo più orribile?
“Sono stanco di essere ripetutamente sfollato”, ha continuato Tabash. “Non ho più soldi per comprare il cibo per i miei figli, e anche se li avessi, i mercati sono vuoti. Siamo diventati malati fisicamente e psicologicamente. Vogliamo una fine completa e definitiva della guerra e che si tengano delle elezioni per poter scegliere un partito diverso da Hamas che ci governi. Non smetterò di uscire in strada per chiedere la fine delle nostre sofferenze fino a quando tutto questo non cesserà e non ci sarà un cambiamento nel governo di Gaza”.

Nonostante le sue critiche ad Hamas, tuttavia, Tabash ha sottolineato che la sua lotta principale è contro l’occupazione israeliana. “Se fossimo liberati dalle catene dell’occupante e dalle sue ripetute guerre, noi e i nostri figli vivremmo in sicurezza e in pace”, ha dichiarato. “L’occupazione è responsabile della nostra sofferenza”.
Ahmed Thabet, 29 anni, ha partecipato alle proteste di questa settimana a Beit Lahiya. “Come giovane, voglio il mio futuro: voglio lavorare, sposarmi e avere una famiglia”, ha detto a +972. “È passato un anno e mezzo dall’inizio della guerra e non c’è stato alcun cambiamento nella realtà che l’occupazione ci ha imposto. C’è solo una routine quotidiana di uccisioni, distruzione e pianti per i nostri cari. Se non ci uccidono i missili, lo farà la carestia. Vogliamo cambiare questa realtà.
“Il mondo pensa che tutta Gaza sia Hamas, il che è falso”, ha continuato Thabet. “Hamas è una parte di Gaza; alcuni di noi sono d’accordo con Hamas e altri non lo sono – questo è normale. Chiediamo le elezioni, per cambiare chi ci governa. Questo è un nostro diritto come popolo che vuole gestire la propria realtà e il proprio futuro. La guerra deve finire e il governo di Hamas deve essere sostituito.
“Tenete presente che in Cisgiordania, che è governata dall’Autorità Palestinese, tanti Palestinesi soffrono di sfollamenti, arresti e demolizioni di case [da parte dell’esercito israeliano]”, ha proseguito. “Questo significa che l’occupazione è contro il popolo palestinese, non contro la sua appartenenza politica. Spero che gli Stati Uniti ci sostengano nel nostro diritto di vivere e smettano di sostenere e perpetuare la guerra. Aiuteremo i negoziatori a raggiungere con successo una soluzione per porvi fine”.
Munir Baraka, un 45enne di Deir Al-Balah, si è scagliato contro il cinico sostegno alle proteste da parte dei media e dei politici israeliani. “Non ci interessa quello che dicono, né che ci incoraggino a manifestare. Siamo contro l’occupazione e la sua guerra. Chiediamo un cambiamento nel governo di Hamas, come è nostro diritto – proprio come gli israeliani chiedono il rovesciamento del governo di Netanyahu”.

“Hamas governa Gaza dal 2007 ed è ora che il suo ruolo finisca”, ha continuato. “Non vogliamo nemmeno l’Autorità Palestinese, perché vediamo cosa ha fatto in Cisgiordania. Vogliamo un organismo responsabile che si preoccupi delle nostre vite e del nostro futuro. Nessun partito ha il diritto di costringerci a vivere continuamente una guerra dopo l’altra.
“Vogliamo che il mondo veda i gazawi come esseri umani come gli altri, un popolo libero, pacifico e civile che vuole vivere”, ha proseguito Baraka. “Nessuno di noi vuole la morte. Chi ci chiama terroristi per giustificare l’occupazione che ci uccide con missili pesanti, sbaglia. Siamo favorevoli a qualsiasi negoziato per fermare la guerra, e continueremo queste manifestazioni fino a quando le nostre richieste non saranno soddisfatte”.
Al di là delle proteste nelle strade di Gaza, i palestinesi si sono riversati sui social media per difendere i manifestanti dalle accuse di essere al servizio di Israele o dell’Autorità Palestinese.
“Coloro che hanno preso parte alle manifestazioni spontanee nel nord di Gaza sono le stesse persone che hanno sofferto la fame, sopravvivendo con mangimi per animali ed erba selvatica”, ha scritto Sami Abu Salem in un post su Facebook. “Sono quelli che hanno sopportato e sventato il piano di sfollamento [di Israele]. Sono quelli che stanno ancora aspettando che i loro figli vengano estratti dalle macerie. Sono quelli i cui nomi appartengono all’albo d’onore”.
“Credo che la loro protesta sia spontanea e non abbia nulla a che fare con l’Autorità Palestinese o con chiunque altro”, ha continuato. “Accusarli di tradimento è una sfacciataggine e una bancarotta morale e politica”.

Altri si sono rivolti direttamente a coloro che si oppongono alle proteste. “Cari signori che avete il diritto di parlare di noi… Ci scusiamo per la sorpresa inaspettata, ma dobbiamo dirvi che siamo persone in carne e ossa come voi”, ha scritto Ahmed Mortaja su Facebook. “Abbiamo cercato di digiunare senza lamentarci della mancanza di cibo e bevande per più di 18 mesi, ma è chiaro che il suono dei nostri stomaci vuoti vi ha disturbato. Ci scusiamo per questo”.
Alcuni, come Saleh Fayaz, hanno espresso rabbia e frustrazione nei confronti di Hamas, pur riconoscendo che nelle circostanze attuali è l’unica cosa che impedisce lo sradicamento totale di Gaza. “Ho abbastanza critiche nei confronti di Hamas da scrivere un libro di cinquecento pagine o più”, ha scritto. “Ma dal 7 ottobre, Hamas non è stato il bersaglio di Israele. È stato solo il pretesto.
“Se Hamas fosse stato completamente annientato, Israele avrebbe continuato la sua guerra contro le Brigate Mujahideen e il Fronte Popolare, trasformando ogni fucile alzato in un ‘pericolo imminente’”, ha continuato. “Israele non vuole il disarmo, ma piuttosto l’annientamento dell’esistenza palestinese. Se Hamas cede le armi senza una reale garanzia di un percorso verso la liberazione e la statualità, Israele trasformerà la Striscia in una versione più cupa di Sabra e Shatila”.
Fayaz ha anche risposto ai post sui social media di influencer pro-Israele che esprimevano sostegno alle proteste e invitavano i gazawi a unirsi ad esse. “Gli appelli a manifestare di sionisti come Edy Cohen sono probabilmente un tentativo di dirottare il movimento e di indebolire i manifestanti”, ha detto. “Volevano che chi avrebbero potuto unirsi alle proteste se ne astenesse per non essere visto come qualcuno che eseguiva gli ordini israeliani.
“Credo che Israele voglia preservare l’immagine che ha proiettato al mondo, ovvero che tutta Gaza è di un solo colore e merita la morte perché [la sua gente] sostiene il ‘terrorismo’”, ha aggiunto. “Quello che Israele non vuole mostrare è il quadro reale che sta emergendo: Gaza in realtà è multicolore”.
Ruwaida Amer è una giornalista freelance di Khan Younis.
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Traduzione a cura di AssoPacePalestina
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