Israele e Palestina: L’occupazione dura solo perché il mondo si rifiuta di agire.

Nov 15, 2016 | Notizie

La seguente è una trascrizione delle dichiarazioni preparate dal direttore esecutivo della Ong israeliana B’Tselem, Hagai El-Ad, e da lui lette davanti ai membri del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite in una sessione speciale della “formula Arria,” su “Illegalità degli insediamenti israeliani: ostacoli alla pace e soluzione dei due Stati” a New York, il 14 ottobre 2016.

3_logo_homepage_5B’Tselem è un’organizzazione non governativa, fondata nel 1989 da accademici, avvocati, giornalisti e membri del parlamento israeliano (Knesset): il centro d’informazione israeliano per i diritti umani nei Territori Occupati. Il suo nome è una parola ebraica che significa letteralmente “l’immagine”. Appare due volte in un famoso verso del primo capitolo del primo libro della Bibbia: Genesi 1:27: “Dio creò l’uomo a sua immagine (letteralmente, ad immagine di lui), a immagine di Dio lo creò. “In ebraico, la parola è usata anche come sinonimo di “dignità umana”. L’obiettivo dell’organizzazione B’Tselem, conosciuto e rispettato perfino in Israele, è quello di informare e sensibilizzare l’opinione pubblica e i politici israeliani, responsabili delle violazioni dei diritti umani nei territori palestinesi, illegalmente occupati, dopo la guerra di giugno del 1967. Così che nessuno possa dire un giorno: “non lo sapevo”.

Dal 14 ottobre, Hagai El-Ad è violentemente attaccato in Israele, dove i politici propongono di togliergli la sua cittadinanza israeliana come “traditore” per il suo paese. Ecco il testo del suo discorso:

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Illustri membri del Consiglio di sicurezza,

Prima di cominciare, vorrei esprimere il mio profondo ringraziamento per l’opportunità datami di parlare davanti a questo pubblico distinto e parlare con i membri del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

Quello che vi dirò non ha lo scopo di scioccarvi, ma di emozionarvi.

Durante i 49 anni trascorsi, e non è finita, l’ingiustizia, nota col nome di occupazione della Palestina e controllo da parte di Israele delle vite dei palestinesi a Gaza, in Cisgiordania e Gerusalemme Est, è diventata parte integrante dell’ordine internazionale. Il primo mezzo secolo di questa realtà sarà raggiunto a breve. Oggi, a nome del B’Tselem, il Centro di informazione israeliano per i diritti umani nei Territori Occupati, vi prego di prendere provvedimenti. A meno di un’azione internazionale decisiva, ciò che sarà fatto non servirà a nulla, tranne che ad entrare nella seconda metà del primo secolo di occupazione.

Signore e Signori,

Che cosa significa in termini concreti, trascorrere 49 anni, vale a dire, la vita di un uomo sotto il governo militare? Quando la violenza scoppia o quando specifici incidenti attirano l’attenzione di tutto il mondo, si ha una visione di alcuni aspetti della vita sotto occupazione. Ma per quanto riguarda il resto del tempo? Che dire dei molti giorni ordinari di una occupazione di 17.898 giorni, che prosegue? Vivere sotto il regime militare è una violenza invisibile, burocratica, quotidiana. Significa vivere in un regime senza fine di domande di autorizzazioni, che controllano la vita dei palestinesi dalla culla alla tomba. Israele ha la leva di comando nel Registro civile, nei permessi di lavoro; Israele ha il controllo su chi può viaggiare all’estero e su chi non può; in alcuni villaggi, Israele detiene la lista di coloro che possono visitare il paese e chi ha il permesso di coltivare tali terreni. A volte i permessi sono rifiutati; I permessi devono essere sempre rinnovati. Così, ad ogni respiro, i palestinesi devono inalare l’occupazione. Al minimo errore, si può perdere la libertà di movimento, perdere la vostra vita o addirittura la possibilità di sposarsi e costruire una famiglia con la persona amata.

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Nel frattempo, dappertutto, ci sono insediamenti e coloni. Sono cittadini israeliani che vivono, senza nascondersi, in una democrazia del primo mondo che, in un certo senso, esiste solo per loro oltre i confini del loro paese. Questa impresa continua a crescere, anche se illegale e si trova ovunque in tutta la Cisgiordania e Gerusalemme Est. Gli insediamenti accerchiano i centri abitati palestinesi così come la generosa concessione di terra alle loro periferie, per la loro futura espansione o la creazione di “zone speciali di sicurezza” che diventano “punti di controllo” per i palestinesi. Danno origine anche a strade by-pass per i coloni, al muro di separazione e, in ultima analisi, alla frammentazione della Palestina in centinaia di comunità isolate che galleggiano – o meglio, dovrei dire, che affondano lentamente in un mare di dominio israeliano . Chi potrebbe meritare di sopportare tali condizioni per mezzo secolo?

Signore e Signori,

Quasi ogni aspetto di questa realtà è considerata legale da parte di Israele. Il modo con cui Israele controlla la vita dei palestinesi è unico per l’attenzione scrupolosa che pone, come potenza occupante, nell’interpretare la legge alla lettera, mentre ne strangola lo spirito. L’occupazione ha perfezionato talmente l’arte di diluire il diritto umanitario internazionale ed i diritti umani che li ha praticamente svuotati del loro significato. Quando gli avvocati militari, i pubblici ministeri ed i giudici della Corte Suprema hanno finito di perfezionare il parere legale, tutto ciò che rimane è l’ingiustizia pura e semplice.

Per ogni morto palestinese, del quale si vuole scagionare l’assassinio, si trova sempre un parere saccente del procuratore militare per garantire l’impunità all’autore.

Che dire dei 100.000 palestinesi che si trovano dall’altro lato della barriera di separazione, eretta a Gerusalemme Est, dei quali è stata ignorata e trascurata l’esistenza? Vi ricordo che anche tale palese ingiustizia è stata approvata in anticipo dall’Alta Corte di Israele.

Trovatemi un palestinese che desidera essere riconosciuto proprietario di un suo appezzamento di terra, l’Amministrazione Civile vi fornirà materiale legale su misura – naturalmente, tutto questo nel rispetto della legge – per giustificare i suoi obiettivi: zone militari di esercitazioni, riserve naturali, siti archeologici e, soprattutto, la dichiarazione di migliaia di ettari come “terra di stato” – ma terra di quale stato? – Tutti questi metodi sono utilizzati con successo per spostare i palestinesi con la forza e giustificare il divieto fatto loro di connettersi alla rete idrica e a quella di distribuzione dell’ energia elettrica.

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Naturalmente, queste azioni degli israeliani non hanno sempre successo. Sarebbe troppo bello. Così, ogni tanto, magari una volta ogni dieci anni, un militare di grado non troppo elevato si trova davanti a un tribunale farsa che di sfuggita approva un piano di utilizzo del territorio per un villaggio. Queste peculiarità straordinarie, accuratamente scelte, distraggono utilmente dal quadro complessivo.

Al fine di mantenere l’apparenza di legalità, Israele prevede la procedura per tutto e niente: per l’alimentazione forzata di sciopero della fame, come è stato recentemente il caso presso l’alta corte; per approvare o automaticamente rinnovare gli ordini di detenzione amministrativa o estendere la detenzione senza processo di centinaia di palestinesi; per demolire la casa della famiglia di palestinesi che hanno effettuato attacchi – Sì, questo è successo anche centinaia di volte, secondo la procedura e con il sigillo dell’Alta Corte. Dal 2000 oltre 4.400 palestinesi hanno perso le loro case in questo modo.

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Sì, Israele ha avvocati, pubblici ministeri e giudici che sono dei professionisti. Si tratta naturalmente di un lavoro altamente professionale. Abbiamo avuto il tempo sufficiente per muoverci verso un’occupazione più perfetta. Ma non c’è bisogno di essere avvocati per riconoscere un’ingiustizia. Guardate l’occupazione e tutta l’apparenza di legalità che l’ accompagna, e descrivetela per quello che è: una parodia della legalità su una violenza organizzata di stato.

Signore e Signori,

Israele ha sistematicamente legalizzato violazioni dei diritti umani nei territori occupati: installazione di colonie perenni, demolizioni punitive di case, un meccanismo di parte nelle costruzioni e pianificazione, confisca delle terre palestinesi e molto, molto altro ancora. Il sistema militare di applicazione della legge – se possiamo chiamarla così – ripulisce centinaia di casi in cui i palestinesi sono stati uccisi o vittime di abusi.

Ecco alcune cifre: Israele ha dichiarato il 20% del West Bank “terra di stato”; Israele autorizza “generosamente” i palestinesi a costruire su metà dell’uno per cento di Area C, il 60% della Cisgiordania posto “temporaneamente” sotto il controllo israeliano da una generazione; negli ultimi dieci anni, Israele ha demolito circa 1.200 case nella West Bank, senza contare le demolizioni a Gerusalemme Est, rendendo in tal modo senza domicilio fisso più di 5.500 persone, la metà delle quali erano minorenni; se si includono le cifre di Gerusalemme Est, questi casi aumenterebbero del 50%. Nel mese di aprile 2016, sono stati circa 7.000 i palestinesi nelle carceri israeliane, di cui un quarto agli arresti durante il tempo necessario per la procedura dei tribunali militari, e circa il 10% sono in detenzione amministrativa. Ultima serie di numeri: per un quarto dei 740 reclami di B’Tselem alle autorità militari a partire dal 2000, nessuna indagine è stata aperta; per l’altra metà, i reclami sono stati poi chiusi senza seguito; e solo in 25 casi, sono stati presi in considerazione gli atti d’accusa. E preparatevi: nel frattempo, le autorità militari hanno fisicamente perso traccia dei dossier di 44 casi – più dei 25 casi che sono stati rinviati davanti a un tribunale!

Israele insiste sul fatto che tutto questo è legale, sia secondo la legge israeliana che secondo il diritto internazionale. Ma non è così.

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Questo in pratica ha poca importanza, per impedire a Israele di perseguire la sua politica, perché, purtroppo, il diritto internazionale è privo di qualsiasi meccanismo di applicazione efficace. E in questo modo, la politica israeliana è applicata e promossa con un crescente sostegno della popolazione israeliana. Nonostante l’ampio consenso internazionale sul fatto che gli insediamenti siano illegali, come risulta anche dalle risoluzioni del Consiglio di sicurezza, l’unica differenza che può essere misurata in questo settore è l’aumento del numero delle colonie e di coloni, sotto la cui ombra vivono palestinesi esposti a demolizioni o a deportazioni.

Signore e Signori,

B’Tselem lavora da 27 anni per indagare e denunciare le violazioni dei diritti umani nei territori occupati, per analizzare e interpretare i dati e sostenere, sia a livello locale come a livello internazionale, questi temi. Non ci pronunciamo pe una soluzione politica specifica; lottiamo contro le violazioni dei diritti umani. In realtà, evidenziamo a che punto Israele ha usato lo stesso “processo di pace” per guadagnare tempo – un sacco di tempo – poiché mette in campo sempre più fatti compiuti in territorio palestinese.

La missione di B’Tselem, che consiste nell’informare l’opinione pubblica israeliana dei modi in cui lo Stato opprime i palestinesi, continuerà fino a quando l’occupazione non cesserà. Siamo stati e resteremo sempre implacabili in questo tentativo, perché tale è l’obbligo morale che è alla base del nostro impegno. Ma dopo tanti anni, dobbiamo tirare fuori alcune conclusioni. Gli unici principi morali, non saranno sufficienti. Israele non cesserà di essere opprimente semplicemente svegliandosi una mattina e rendendosi conto della brutalità della sua politica. Decenni di falsi pretesti, di paure reali, di interessi economici e dogmi politici, hanno concorso ad evitare questa eventualità, mentre troppo raramente si fornivano ragioni in ​​grado di dimostrare il contrario.

E a livello globale?

Sono passati sei anni e mezzo da quando il vice presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha avvertito che “lo status quo non è gestibile.” Senza dubbio, egli è stato solo sei anni e mezzo in anticipo nell’annunciare un simile avvertimento. Lo “status quo” – questo vettore di interessi di Israele che avanza sempre a scapito dei diritti dei palestinesi – si è dimostrato non solo sostenibile, ma in realtà fiorente.

Da quasi un anno, l’Unione europea ha avviato un “dialogo strutturato” con Israele, della durata di sei mesi, per porre fine alle demolizioni amministrative di case in Area C. Sei mesi più tardi, il dialogo non portò a nulla mentre le demolizioni divennero più numerose che mai, eppure l’Unione europea ha deciso, indovinate un po ‘: di estendere il dialogo. Se un numero senza precedenti di demolizioni può andare di pari passo con un programma di illimitato dialogo internazionale, perché fermare le demolizioni?

Senza dubbio, dal punto di vista internazionale, l’occupazione è gestibile. Lo è perché, finora, il mondo ha rifiutato di prendere misure efficaci.

Gli ultimi anni hanno reso ancora più doloroso il fenomeno. Il progetto a lungo termine di Israele di massimizzare i profitti derivanti dalla terra palestinese, riducendo al minimo lo svantaggio della presenza palestinese, è diventato ancora più palpabile che mai. Solo passando una mezza giornata in Cisgiordania, ci rendiamo conto della radicalizzazione dell’impresa che i governi israeliani, di destra, di centro e di sinistra, hanno messo in atto dal 1967. La stessa cosa è stata detta apertamente dai funzionari israeliani in pensione.

Di recente, un ex comandante del Comando Centrale ha detto che: “. L’esercito è lì perché lo Stato non ha alcuna intenzione di lasciare”. Ma ora che i leader israeliani, attualmente al potere, dal Primo Ministro fino a chi si trova in fondo alla scala, hanno smesso in tempo reale di fingere, riconoscendolo esplicitamente con tanto di chiarezza formale – certamente sembrava che, finalmente, ci sarebbero state delle implicazioni. Era ingenua questa speranza? Forse.

Mentre una chiarezza senza precedenti nel linguaggio degli israeliani ha ridotto il divario tra ciò che essi fanno e la vuota retorica dei negoziati e della diplomazia, la risposta globale è stata, beh! ancora una volta un nuovo rapporto. Le demolizioni sono aumentate, rendendo il 2016 l’anno peggiore mai registrato in questo settore. Mi sento in dovere di chiedere: Quante altre case palestinesi devono essere demolite prima che si sia capito che le parole non confermate dai fatti non fanno che suggerire a Israele che può continuare?

Signore e Signori,

La realizzazione dei diritti umani non deve più aspettare. I palestinesi hanno il diritto alla vita e alla dignità, hanno il diritto di determinare il proprio futuro. Questi diritti sono stati ritardati da troppo tempo. E ritardare la giustizia equivale a negare la giustizia.

Come Martin Luther King ci ha insegnato: “Sappiamo per dolorosa esperienza che dall’oppressore la libertà non viene mai concessa volontariamente “. La realtà che la comunità internazionale deve affrontare è questa: la mancanza di azione non solo dà all’oppressore la possibilità di continuare senza dover subire troppe ripercussioni, ma concede all’oppressore il potere di decidere quando sarà il momento giusto per iniziare a prendere in considerazione le alternative. “Aspettate” chiede Israele, “Ora non è il momento giusto.” Ma “aspettate” significa quasi sempre “Mai”, risponde Martin Luther King, ” è sempre il momento giusto per fare ciò che è giusto.” E quel momento è adesso: il momento finale che ha come scopo l’agire.

Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha non solo il potere: voi avete la responsabilità morale ed una reale opportunità di agire con impegno urgente, prima che giunga la data simbolica del mese di giugno 2017 quando inizierà la seconda metà di questo primo secolo, di rivolgere al mondo, agli israeliani e ai palestinesi, un messaggio chiaro, supportato da un’azione internazionale: Israele non può avere la botte piena e la moglie ubriaca. Israele non può occupare un popolo per cinquant’anni e chiamarsi democrazia. Non si possono violare i diritti di milioni di persone e chiedere vantaggi a livello internazionale, giustificati dalle parole vuote di un impegno per dei valori condivisi di diritti umani.

Israele è un paese sovrano, fondato secondo la legittimità internazionale conferitale da una decisione storica dalla stessa istituzione nel 1947. Sono un cittadino di questo paese. Questo è il mio paese. Quel paese che nella maggior parte della sua esistenza, ha avuto dal mondo il permesso di occupare un altro popolo. Ho vissuto tutta la mia vita, ogni giorno della mia vita con questa realtà. Milioni di israeliani e palestinesi non conoscono altra realtà. Abbiamo bisogno del vostro aiuto. Cinquanta anni di occupazione “temporanea” sono troppo lunghi per far si che anche una sola persona in questo pianeta accetti un simile ossimoro. I diritti dei palestinesi devono essere tradotti in azione. L’occupazione deve finire. Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite deve agire. E il momento di agire è ora.

Tradotto dall’inglese in francese da Philippe DAUMAS e dal francese in italiano da Anissa Manca.

http://www.btselem.org/settlements/20161014_security_council_address

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