di Basel Adra,
+972 Magazine, 5 giugno 2025.
Da gennaio, l’esercito ha spopolato i due campi rifugiati della Cisgiordania e distrutto centinaia di case, trasformandone altre in caserme.

Nahaya Al-Jundi ricorda il terrore che ha provato il 7 febbraio, quando i soldati israeliani hanno fatto irruzione nella sua casa di Nur Shams, un campo profughi palestinese alla periferia di Tulkarem, nella Cisgiordania nord-occidentale. “Ho sbirciato attraverso la finestra e ho visto un bulldozer D9 che avanzava verso di noi”, ha raccontato a +972. “Ha attraversato il nostro giardino, ha schiacciato il muro esterno, poi si è fermato improvvisamente a pochi metri dalla nostra casa. Dietro di esso, ho visto i soldati camminare nei vicoli, svuotando gli edifici di fronte a noi”.
“Per due giorni, mio marito, nostra figlia di 14 anni e io siamo rimasti assediati all’interno della nostra casa”, ha ricordato Al-Jundi, 53 anni. “Quando i soldati ci hanno costretto a uscire, abbiamo dovuto camminare per strade piene di fango e macerie. Ci hanno fatto sedere sulla terra fredda all’ingresso del campo, prima di lasciarci camminare verso la città [Tulkarem]”.
Un tempo dimora di oltre 13.000 Palestinesi, Nur Shams è ora una città fantasma dopo la campagna militare più aggressiva di Israele da decenni contro i campi profughi della Cisgiordania. I rapporti indicano una distruzione quasi totale nella sua densa area di un chilometro quadrato a est di Tulkarm, con quasi tutte le case danneggiate e molte completamente ridotte in macerie.
Secondo il Centro Palestinese per i Diritti Umani, l’assalto di oltre quattro mesi ai campi profughi di Nur Shams e Tulkarem ha ucciso almeno 13 Palestinesi – tra cui un bambino e due donne, una incinta di otto mesi – ha ferito decine di persone e ha sfollato oltre 4.200 famiglie, per un totale di oltre 25.000 persone.
In qualità di responsabile dell’Associazione per i Disabili di Nur Shams, Al-Jundi ha ricevuto un raro permesso di rientrare nel campo a marzo per recuperare dispositivi per l’ossigeno e altre attrezzature mediche per i residenti sfollati. “Sono rimasta scioccata dall’entità della distruzione”, ha dichiarato a +972 Magazine. “I soldati avevano distrutto qualsiasi cosa, dalle attrezzature mediche ai mobili da cucina. Non era rimasto nulla da recuperare.
“Su alcune delle strade che l’esercito sta ampliando [per consentire il passaggio dei veicoli militari attraverso il campo], i detriti delle demolizioni delle case si sono accumulati a tal punto che alcune case sono state sepolte sotto le macerie di altre”, ha continuato. “Ora non ci sono negozi, né mercati, né infrastrutture funzionanti. Le reti idriche e fognarie sono state distrutte, così come i serbatoi d’acqua sui tetti [delle case che non sono state demolite]”.

All’inizio di maggio, una nuova ondata di ordini di demolizione israeliani ha colpito i due campi, prendendo di mira 106 edifici residenziali – 58 a Tulkarm e 48 a Nur Shams. Tipicamente alti tre piani con due appartamenti per piano, questi edifici ospitano per lo più famiglie di rifugiati a basso reddito, composte da cinque a 12 persone. Senza un’approvazione formale del tribunale, l’esercito emette questi ordini verbalmente durante le incursioni o tramite volantini distribuiti in fretta.
“Non c’è un elenco di nomi, né un conteggio esatto delle famiglie le cui case sono state distrutte”, ha spiegato Al-Jundi. Ma se si guarda al campo, si può vedere la trasformazione con i propri occhi”. Circa 240 case sono già state demolite e 40 sono state rase al suolo”. Meno di un’ora prima della nostra conversazione, altre quattro case erano state demolite nel campo.
‘Tutto è sparito in pochi secondi’
Mentre alcune famiglie sfollate hanno cercato rifugio in alloggi temporanei istituiti vicino al campo dai comuni e dai consigli di villaggio, queste strutture offrono ben poca privacy e non riescono a soddisfare le esigenze di base. Di conseguenza, la maggior parte ha scelto di affittare appartamenti nella città di Tulkarm, sopravvivendo con distribuzioni sporadiche di aiuti e prestiti. Anche la clinica mobile dell’UNRWA che si trova nei rifugi fornisce solo un’assistenza medica minima.
Majdi Issa, un residente di 28 anni di Nur Shams, ha descritto a +972 come l’incursione di Israele nel campo abbia sconvolto la sua vita. “Ho risparmiato per anni e nel 2019 ho costruito un’altra casa sopra la casa della mia famiglia”, ha detto. “Dopo l’inizio della guerra e l’interruzione del lavoro all’interno della Linea Verde, ho comprato un servizio di torrefazione e ho aperto un negozio nel campo, lavorando a fianco di mio padre”.
Al ritorno dal pellegrinaggio Umrah in Arabia Saudita il 14 febbraio, Issa ha scoperto che la sua famiglia era stata costretta a lasciare il campo. “Avevano già lasciato il campo e mi hanno detto che l’esercito stava espellendo i residenti”, ha ricordato. “Ho dovuto affittare una casa in città con mia moglie e ho perso il negozio che sosteneva tutta la mia famiglia”.

Quando Issa si è imbattuto in una mappa che elencava gli edifici destinati alla distruzione a Haret al-Jami, un quartiere all’interno del campo, si è sentito sollevato nel vedere che la casa della sua famiglia non era presente – ma il sollievo è durato poco. “Da un punto di osservazione vicino, guardavamo i bulldozer al lavoro. Poi, all’improvviso, uno si è girato e ha demolito il nostro edificio. Tutti i nostri mobili erano ancora all’interno. Non ci è stata data alcuna possibilità: tutto è sparito in pochi secondi”.
A Haret al-Jami sono stati demoliti circa 12 edifici, ognuno dei quali ospitava da due a quattro appartamenti. “Accetto qualsiasi lavoro che riesco a trovare solo per coprire l’affitto e mettere il cibo in tavola”, ha detto Issa. “La vita è diventata insopportabile da quando sono iniziate le incursioni, e non sono ancora finite”.
Secondo Al-Jundi, molte case dei residenti di Nur Shams che non sono state demolite sono state trasformate in caserme dell’esercito israeliano. “I soldati si sono trasferiti proprio nelle case che ci hanno costretto ad abbandonare. Cucinano nelle nostre cucine, suonano, mangiano e bevono, mentre le famiglie proprietarie di queste case sono rimaste senza alloggio.
“Anche se la distruzione finisse oggi, pochi potrebbero tornare – ci sono troppe case distrutte e poche infrastrutture rimaste”, ha continuato Al-Jundi. “Ma se la mia casa rimane in piedi, anche se solo con le sue mura, tornerò”.
Luoghi di catastrofi senza fine
Come Nur Shams, il campo profughi di Tulkarm, situato a nord della città di Tulkarm, è stato svuotato dei suoi residenti. Occupando appena 0,18 chilometri quadrati, il campo ospitava oltre 21.000 persone prima che l’esercito israeliano lanciasse una delle più grandi operazioni di sfollamento nella storia della Cisgiordania settentrionale.

“Quello che sta accadendo a Tulkarm fa parte di una liquidazione sistematica della causa dei rifugiati”, ha detto Nour Al-Din Shahadeh, residente del campo e responsabile dell’Associazione per la Lotta alla Povertà Estrema, in un’intervista con +972.
La casa di Shahadeh, un complesso di 12 appartamenti vicino all’ingresso del campo, è stata tra le prime ad essere presa di mira quando i soldati israeliani hanno fatto irruzione il 27 gennaio. “Quella notte hanno sfollato la mia famiglia e altre dieci famiglie sotto la minaccia delle armi”, ha detto. “Non ci è stato nemmeno permesso di prendere le nostre cose. Ora siamo in affitto nella città di Tulkarm e viviamo una vita diversa da quella che avevamo conosciuto”.
Oltre alla sua casa, le autorità israeliane hanno emesso ordini di demolizione per circa 58 case nel campo, tra cui diverse di parenti di Shahadeh. “Mia madre e mio fratello sono stati costretti dai soldati a lasciare la loro casa”, ha detto. “Tutto ciò che avevamo ci è stato portato via in un istante”.
“Quando abbiamo cercato di negoziare [il nostro ritorno al campo] tramite il Coordinamento Civile [un ramo all’interno del Coordinatore Israeliano delle Attività Governative nei Territori], hanno dichiarato il campo una ‘zona militare chiusa’, dove l’ingresso e l’uscita sono proibiti senza il permesso militare israeliano”, ha spiegato Shahadeh.
Le stime attuali, basate sui resoconti dei residenti, indicano che almeno 250 case a Tulkarm sono state completamente distrutte, mentre altre 400 sono state parzialmente danneggiate. Shahadeh ha descritto come le famiglie sfollate, molte delle quali già in condizioni di estrema povertà, ora si affollano nelle scuole o in rifugi di fortuna che mancano di privacy e di beni di prima necessità. “Hanno costretto le famiglie ad andarsene sotto la minaccia delle armi, per poi trasferire i soldati nelle nostre case. Ora siamo rimasti senza dimora mentre loro occupano le nostre case”.

L’Autorità Palestinese ha proposto di ospitare le famiglie sfollate in roulotte temporanee, ma Shahadeh ha respinto l’idea. “Non vogliamo roulotte. Vogliamo tornare alle nostre case”, ha detto. “Questi campi profughi, per quanto umili, rappresentano la nostra dignità e identità”.
“Questa è una nuova Nakba che stiamo vivendo. Chi parla ancora di soluzioni politiche deve prima assistere a ciò che sta accadendo qui: i campi profughi della Cisgiordania sono diventati luoghi di catastrofi senza fine: demolizione, sfollamento e privazione dei diritti più elementari”.
In risposta a una richiesta di +972, il portavoce dell’IDF ha fornito la seguente dichiarazione:
“L’IDF opera in Giudea e Samaria, e in particolare nell’area di Tulkarm, per combattere e contrastare il terrorismo, attenendosi rigorosamente al diritto internazionale. Una parte integrante di questo sforzo prevede l’apertura di strade nei campi profughi, compreso il campo profughi di Tulkarm. A tal fine, è necessaria la demolizione di file di edifici. Il pubblico ha avuto l’opportunità di rivolgersi alle autorità per esaminare la possibilità di rimuovere i propri beni dagli edifici”.
“Le forze di sicurezza operano in una realtà di sicurezza complessa nell’area, dove i terroristi compiono attacchi sfruttando e nascondendosi dietro la popolazione civile. Al fine di individuare e sradicare le infrastrutture terroristiche alla radice, l’IDF deve operare dall’interno delle case della zona per periodi variabili, a seconda delle esigenze operative e della situazione sul campo”.
“L’uso di proprietà civili da parte dei soldati dell’IDF non è coerente con i valori dell’IDF e costituisce una violazione delle sue direttive. Gli incidenti eccezionali che sollevano preoccupazioni di deviazione dagli ordini e dai valori che ci si aspetta dai soldati dell’IDF saranno gestiti di conseguenza”.
Basel Adraa è un attivista, giornalista e fotografo del villaggio di at-Tuwani, nelle colline meridionali di Hebron.
https://www.972mag.com/nur-shams-tulkarem-army-destruction
Traduzione a cura di AssopacePalestina
Non sempre AssopacePalestina condivide gli articoli che pubblichiamo, ma pensiamo che opinioni anche diverse possano essere utili per capire.
1 commento su “A Nur Shams e Tulkarem, le incursioni israeliane non lasciano ‘nulla da recuperare’”