Mzawadeh, il patriottismo a parole che indebolisce la nostra lotta di liberazione

di Samah Jabr

Chronique de Palestine, 2 marzo 2025.  

Grande Marcia del Ritorno. Gaza. Foto : social media

Una volta mi sono opposta alla decisione di un collega che aveva cambiato unilateralmente l’orario della mia lezione a una conferenza – senza consultarmi o chiedere la mia approvazione. La mia obiezione è stata breve, un’e-mail di una sola riga che chiedeva una spiegazione. La sua risposta, tuttavia, è stata un sermone elaborato. Ha scritto a lungo sui martiri, sui prigionieri e sul suo impegno incrollabile per la Palestina – eppure, con tutta la sua retorica patriottica, non ha mai risposto alla semplice domanda: Perché hai cambiato la mia lezione senza informarmi?

Questo fenomeno è ben noto nella società palestinese come mzaawadeh (المزاودة(, l’abitudine di superare gli altri nelle manifestazioni di patriottismo. Non si tratta di dedizione autentica, ma si vuole solo dimostrare di essere più rivoluzionari, più dedicati, più palestinesi degli altri. Infetta la politica, la vita sociale e persino la religione, trasformando la solidarietà in spettacolo e sostituendo la responsabilità con la teatralità.

A prima vista, il mzaawadeh potrebbe sembrare una stranezza innocua della cultura politica, ma è profondamente corrosivo. Alimenta le divisioni, mette a tacere le critiche e sostituisce la strategia reale con slogan vuoti. Invece di costruire l’unità, alimenta il sospetto: i compagni diventano concorrenti e gli alleati diventano avversari.

Inoltre, comporta un tributo psicologico. In una società in cui l’impegno è costantemente misurato e messo in discussione, le persone si sentono sotto pressione per dimostrare il loro valore. Gli attivisti si spingono fino all’esaurimento, temendo di essere considerati non sufficientemente impegnati. La sofferenza personale viene seppellita; ammettere il dolore può essere scambiato per debolezza o tradimento. Il risultato è un burnout diffuso, un dolore inespresso e una cultura che premia la postura rispetto alla vera resilienza.

Ancora peggio, il mzaawadeh soffoca il pensiero critico. La paura di essere etichettati come sleali scoraggia l’autoriflessione e il dibattito onesto. Invece di impegnarsi in discussioni profonde sulla strategia, le persone si aggrappano a slogan rigidi. L’ossessione di dimostrare l’impegno mette in ombra il lavoro effettivo di resistenza. Chi parla più forte diventa più importante di chi sta avendo un impatto reale.

Questa cultura performativa indebolisce l’attivismo palestinese dall’interno. Invece di concentrarsi sul vero oppressore, i movimenti sprecano energia nella rivalità interna: ogni fazione mette in dubbio la dedizione dell’altra. Le accuse volano: “Non abbastanza rivoluzionario”. “Troppo pragmatico”. “Associato con le persone sbagliate”. La battaglia diventa una battaglia di purezza ideologica piuttosto che di resistenza efficace, prosciugando l’energia che dovrebbe essere diretta verso l’esterno. Questo ciclo autodistruttivo di lotte intestine è ciò che spiana la strada al fratricidio.

Il fratricidio – la distruzione interna di un movimento da parte dei suoi stessi membri – non è solo una tragedia storica; è una crisi continua. Quando le fazioni competono per superarsi a vicenda nello zelo rivoluzionario, perdono di vista l’obiettivo: la liberazione. Il nemico non ha più bisogno di dividere i Palestinesi; lo fanno loro stessi. Mzaawadeh trasforma le differenze ideologiche in conflitti aspri, dove la fedeltà a una fazione o a un leader mette in ombra la causa collettiva.

Per rompere questo ciclo, i palestinesi devono ridefinire il significato di impegno nella lotta. La vera resistenza non è quella di chi può esibire la retorica più radicale, al posto di ciò che è efficace. La lotta armata, il lavoro umanitario, la resilienza psicologica, l’attivismo intellettuale: ognuno di essi svolge un ruolo. Nessun percorso definisce la fedeltà alla Palestina e nessun gruppo ha il monopolio del sacrificio.

Ancora più importante, la salute mentale deve essere vista come parte della lotta. La cura di sé non è un tradimento. Un’azione ponderata e strategica non è debolezza. Un movimento sostenibile richiede persone non solo fisicamente resistenti, ma anche emotivamente e psicologicamente forti.

Liberarsi dal mzaawadeh significa rifiutare il patriottismo a parole a favore della forza collettiva. Significa passare dalla competizione alla collaborazione, dalle dichiarazioni vuote all’impatto reale. La domanda non dovrebbe mai essere: Chi è il più dedicato? La domanda dovrebbe essere: Cosa ci avvicinerà alla liberazione? Perché alla fine, la vera rivoluzione non consiste nel dimostrare la fedeltà, ma nel conquistare la giustizia.

La dottoressa Samah Jabr è una psichiatra consulente che esercita in Palestina, al servizio delle comunità di Gerusalemme Est e della Cisgiordania, ed è ex capo dell’unità di salute mentale all’interno del Ministero della Salute palestinese. È docente clinica associata di psichiatria e scienze comportamentali presso la George Washington University di Washington, DC. È anche membro del comitato scientifico dell’Iniziativa Globale contro l’Impunità (GIAI) per i crimini internazionali e le gravi violazioni dei diritti umani, un programma co-finanziato dall’Unione Europea.

https://www.chroniquepalestine.com/mzawadeh-the-performative-patriotism-that-weakens-our-struggle-for-liberation/

Traduzione a cura di AssoPacePalestina

Non sempre AssoPacePalestina condivide gli articoli che pubblichiamo, ma pensiamo che opinioni anche diverse possano essere utili per capire.

1 commento su “Mzawadeh, il patriottismo a parole che indebolisce la nostra lotta di liberazione”

  1. Articolo molto interessante e istruttivo. Senza esserne consapevoli anche in Italia il mzaawadeh è innato, ne siamo tutti affetti, specialmente a sinistra.

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