di Qassam Muaddi,
Mondowewiss, 8 marzo 2025.
Gli Stati arabi si stanno assumendo la responsabilità della questione palestinese non solo perché sono in gioco i loro piani per il futuro della regione, ma perché è in gioco la stabilità stessa dei regimi arabi. Ma il piano arabo è positivo per i palestinesi?

Il tanto atteso vertice della Lega degli Stati Arabi si è finalmente tenuto al Cairo martedì scorso 4 marzo, un mese dopo le dichiarazioni di Trump secondo cui Gaza sarebbe diventata una ‘Riviera del Medio Oriente’, ‘di proprietà’ degli Stati Uniti e ripulita etnicamente dal suo popolo.
Il vertice è avvenuto in seguito al rifiuto del piano statunitense da parte di diversi paesi arabi, tra cui la Giordania e l’Egitto, che Trump aveva identificato come destinazioni permanenti per la popolazione di Gaza. Nel periodo precedente al vertice, l’Egitto ha annunciato a metà febbraio un piano per ricostruire Gaza senza sfollare la popolazione, come alternativa al piano di Trump. Questo piano è stato adottato, come previsto, dal vertice arabo di martedì scorso.
Il piano arabo per la ricostruzione di Gaza
Il piano prevede la ricostruzione di Gaza in quattro anni, con abitazioni moderne, infrastrutture e una rete di trasporti. La sua attuazione costerebbe 53 miliardi di dollari.
Il piano include anche una visione per l’amministrazione politica di Gaza dopo la guerra, riaffermando il legame tra la Striscia di Gaza e la Cisgiordania e inserendolo nel quadro di una soluzione a due stati. Il piano prevede l’istituzione di una commissione indipendente per gestire Gaza durante la fase di ricostruzione, come periodo di transizione destinato a riunire Gaza e la Cisgiordania sotto l’Autorità Palestinese (AP). Il piano non è più solo egiziano ed è ora la proposta araba unificata per il futuro di Gaza – intesa come una diretta contrapposizione alla visione distopica di Trump.
Il governo israeliano ha rifiutato in toto il piano, affermando in una dichiarazione che il Vertice Arabo non ha preso in considerazione quelli che ha definito “nuovi fatti” dopo il 7 ottobre 2023. Israele ha anche obiettato che il piano arabo non ha menzionato o condannato gli attacchi del 7 ottobre e ha continuato a fare affidamento sull’Autorità Palestinese e sull’Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l’Occupazione (UNRWA) nella fase di ricostruzione. Mentre la Casa Bianca ha respinto il piano, sia l’Autorità Palestinese che Hamas lo hanno accettato. Rimangono differenze tra loro sul destino delle armi di Hamas e sulla permanenza delle Brigate Qassam come gruppo armato di guerriglia a Gaza sotto l’amministrazione dell’Autorità Palestinese.
Spetta ora agli stati arabi convincere l’amministrazione Trump del loro piano e dimostrare che la loro visione è più realistica dell’espulsione totale della popolazione di Gaza. Questo rappresenta una sfida interessante per le ambizioni economiche di Trump in Medio Oriente. In gioco ci sono le prospettive di normalizzazione araba con Israele e i mega-investimenti previsti nella regione che riguardano le risorse naturali – comprese le riserve di gas naturale di Gaza – e l’integrazione economica di Israele con gli stati del Golfo per contrastare l’espansione economica della Cina.
Un passo indietro per la rappresentanza politica palestinese
Trentaquattro anni dopo che israeliani e palestinesi si sono seduti per la prima volta al tavolo dei negoziati alla Conferenza di Madrid nel 1991, e dopo che entrambe le parti hanno avviato negoziati diretti bilaterali a Washington, il futuro della causa palestinese sembra ora dipendere dalla capacità degli stati arabi di raggiungere un’intesa con gli Stati Uniti.
Sebbene questa situazione rappresenti un precedente storico, giacché gli stati arabi hanno adottato una posizione unificata sulla Palestina e hanno parlato all’amministrazione statunitense con una sola voce, è anche una battuta d’arresto per la causa palestinese e un risultato diretto dell’abbandono della Palestina da parte degli stati arabi.
L’ultima volta che gli arabi hanno avuto una posizione unificata sulla Palestina è stato quando la Lega Araba ha riconosciuto l’OLP come unico e legittimo rappresentante del popolo palestinese al vertice di Rabat nel 1974. Si trattò di un passo importante nel porre la causa palestinese nelle mani dei palestinesi e nel dissociare gli stati arabi dalla responsabilità principale di risolvere la questione palestinese. La decisione araba del 1974 era in opposizione alla decisione precedentemente dichiarata al vertice di Khartoum del 1968, che rifiutava i negoziati con Israele a causa della sua occupazione delle terre arabe nelle alture siriane del Golan, nel deserto egiziano del Sinai, in Cisgiordania e a Gaza.
Il riconoscimento arabo della rappresentanza dei palestinesi da parte dell’OLP, nel 1974, avvenne dopo la guerra dell’ottobre 1973, che l’Egitto e la Siria consideravano come una punizione contro Israele, dopo che il Segretario di Stato americano Henry Kissinger aveva iniziato a gettare le basi per un processo politico tra Israele e gli stati arabi. In altre parole, il riconoscimento dell’OLP nel 1974 fu un modo per liberare gli stati arabi dalla responsabilità per la Palestina.
Nello stesso anno, l’OLP adottò un nuovo programma politico, chiamato “Programma in dieci punti”, che accettava i negoziati come modo per stabilire uno stato palestinese. Quando l’opposizione più radicale alla leadership di Arafat all’interno dell’OLP, rappresentata da diverse fazioni di sinistra, criticò Arafat per il compromesso sulla piena liberazione, lui e il suo campo difesero la loro posizione dicendo che stavano esercitando “l’indipendenza del processo decisionale palestinese”.
Dal 1967, gli stati arabi hanno cercato in tutti i modi di liberarsi dalla responsabilità diretta di risolvere la questione palestinese, mentre i palestinesi hanno cercato di prendere in mano la loro causa. In un certo senso, questo è uno dei risultati più evidenti della lotta palestinese negli ultimi decenni.
Ma mezzo secolo dopo, la strada dei negoziati è bloccata, la soluzione dei due stati è morta e l’OLP stessa ha perso gran parte della sua rilevanza. La sua attuale leadership continua a fare affidamento sulla sua storia passata di lotta politica per mantenere la propria legittimità, senza alcun potere o leva reale sul terreno e rinunciando completamente a qualsiasi forma di resistenza o antagonismo verso l’occupazione. Nel frattempo, un’altra forza palestinese – Hamas – è andata nella direzione opposta, portando la strategia della lotta armata ai suoi limiti più estremi. Ora è costretta a negoziare per il proprio futuro politico.
Paradossalmente, dopo cinquant’anni, il futuro della causa palestinese è di nuovo nelle mani degli stati arabi e degli Stati Uniti – un’idea molto lontana dall’“indipendenza del processo decisionale palestinese”, propagandata da Arafat e attualizzata da Hamas.
Perché gli stati arabi prestano ora attenzione alla Palestina
Gli stati arabi si stanno assumendo la responsabilità della questione palestinese non solo perché sono in gioco i loro piani per il futuro dell’economia della regione – che prima del 7 ottobre stavano già procedendo a ritmo sostenuto, senza tenere in considerazione il popolo palestinese – ma anche perché è in gioco la stabilità degli stessi stati arabi.
L’alternativa alla ricostruzione di Gaza alla maniera araba è la pulizia etnica totale, prima a Gaza e molto probabilmente in Cisgiordania. Il volto più vocale della destra israeliana di oggi, il Ministro delle Finanze di Israele Bezalel Smotrich, definisce questa visione una “fine definitiva del conflitto”. Quello che Israele e l’amministrazione Trump non capiscono è che un’espulsione di massa dei Palestinesi non porrebbe fine al “conflitto”, ma piuttosto lo farebbe ripartire da zero.
Dopo la Nakba del 1948 e dopo l’espulsione di massa di oltre 200.000 palestinesi nel 1967, interi regimi arabi sono caduti e nuovi governi sono sorti al loro posto. La presenza dei rifugiati palestinesi in questi paesi si è trasformata, contro ogni previsione, in una formazione militante che ha goduto della simpatia schiacciante delle società in cui era inserita. Spesso ha minacciato la legittimità dei paesi arabi ospitanti e la loro posizione conciliante nei confronti di Israele. Gli stati arabi che hanno vissuto queste esperienze lo sanno.
La stessa leadership politica palestinese è incapace di raggiungere un programma politico unificato o di ricostruire il movimento nazionale palestinese su una base democratica. Un’espulsione di massa dei palestinesi sarebbe il cataclisma che apre una nuova era, e nessuno può garantire che tipo di leadership palestinese ne uscirebbe. L’unica alternativa è ripristinare la stabilità dell’attuale sistema politico palestinese e dargli la possibilità di ripararsi. Ciò può avvenire solo riunendo Gaza e la Cisgiordania sotto l’OLP, ed è per questo che gli stati arabi hanno appoggiato questa proposta.
Per quanto riguarda Hamas, ha già accettato di rinunciare al controllo sull’amministrazione di Gaza e di voler entrare a far parte dell’OLP, accettando la piattaforma dell’OLP che adotta uno stato palestinese nel quadro di una soluzione a due stati. Il compromesso che dovrebbe essere fatto dall’Autorità Palestinese per far sì che ciò avvenga, sarebbe quello di consentire libere elezioni e permettere a tutte le correnti politiche della società palestinese – molte delle quali sono emerse dopo la scissione tra Fatah e Hamas nel 2007 e non hanno mai avuto la possibilità di giocare un ruolo nella politica palestinese – di avere voce in capitolo.
Il genocidio a Gaza è stato un evento catastrofico dopo il quale non si può più tornare indietro. Le cose non saranno mai più come prima. Le divisioni politiche interne palestinesi sono impreparate ad affrontare le conseguenze, e la scena politica israeliana è troppo consumata da un’ondata di fanatismo razzista senza precedenti per produrre una leadership pragmatica che possa fornire una visione realistica per il futuro. Mentre il sistema politico arabo ufficiale, rappresentato dall’unione degli stati arabi, si riunisce nuovamente al tavolo per discutere i termini con gli Stati Uniti, l’intera realtà geopolitica del Medio Oriente viene ridisegnata.
Ma una cosa rimane costante: il popolo palestinese non è libero e non ha rinunciato ad esserlo. Il resto sarà riorganizzato intorno a questo fatto.
https://mondoweiss.net/2025/03/what-the-arab-summits-plan-for-gaza-means-for-palestine/
Traduzione a cura di AssoPacePalestina
Non sempre AssoPacePalestina condivide gli articoli che pubblichiamo, ma pensiamo che opinioni anche diverse possano essere utili per capire.
Gli stati arabi confinanti con la Palestina hanno da sempre prodotto molte chiacchiere e pochi fatti, hanno sempre preferito compiacere gli stati uniti e israele che difendere gli interessi dei palestinesi