di Erika Solomon, Aaron Boxerman e Rawan Sheikh Ahmad,
The New York Times, 14 febbraio 2025.
Secondo le autorità, migliaia di corpi potrebbero essere portati alla luce dalle rovine di Gaza. Le famiglie che hanno dei loro cari dispersi affrontano nuovi orrori mentre cercano tra le macerie.

Dopo 15 mesi di guerra, Hani al-Dibs, insegnante di scuola superiore, pensava che il suo più grande desiderio era quello di veder cessare i bombardamenti su Gaza. Ma il tanto atteso cessate il fuoco ha portato solo amarezza e paura.
Il signor al-Dibs è uno degli innumerevoli gazawi gravati da un compito angosciante: cercare di recuperare i resti dei propri cari intrappolati sotto le distese di macerie lasciate dalla guerra di Israele contro Hamas.
Alcune famiglie sono tornate a casa e hanno trovato i cadaveri dei loro cari così decomposti da non poterli distinguere. Altre non riescono nemmeno a entrare tra i rottami per scavare, tanto è forte il fetore della decomposizione umana. E alcuni hanno cercato e ricercato, senza trovare nulla.
Mentre si preparavano a tornare nella loro città natale, Jabaliya, nel nord di Gaza, i due figli superstiti di al-Dibs continuavano a chiedergli se la loro madre e i loro fratellini fossero in qualche modo sopravvissuti all’esplosione che aveva intrappolato i loro corpi per tre mesi sotto le macerie della casa di famiglia.
“Chiedevano: e se stessero ancora dormendo dopo l’esplosione e fossero usciti più tardi? E se poi gli israeliani li avessero sentiti urlare e li avessero tirati fuori?”, ha detto al-Dibs in un’intervista. “Le loro domande mi tormentano”.
Le autorità sanitarie gazawi hanno contato quasi 48.000 morti, senza distinguere tra civili e combattenti.
Oltre a questi c’è un tributo incalcolabile: le persone i cui corpi non sono ancora stati ritrovati.
Le famiglie hanno segnalato 9.000 persone disperse e presumibilmente morte sotto le macerie. La maggior parte di queste persone deve ancora essere portata alla luce dalle rovine di Gaza, hanno detto i funzionari sanitari. Diverse migliaia di loro non sono ancora state conteggiate tra i morti, mentre le autorità indagano sulle richieste arretrate.
A metà ottobre, in mezzo a pesanti scontri con Hamas, al-Dibs ha dichiarato che le forze israeliane hanno fatto esplodere l’edificio che ospitava tre generazioni della famiglia Dibs.
Senza la possibilità di trovare assistenza medica per i membri della famiglia caduti sotto le macerie, al-Dibs è stato costretto a una scelta terribile: ha dovuto abbandonare sotto le rovine la moglie, i due figli più piccoli, la madre, le sorelle e le nipoti – 14 persone care in tutto. Mentre i sopravvissuti della famiglia Dibs fuggivano verso sud per mettersi in salvo, lui giurò di tornare a prendere i loro corpi. Una promessa che ha richiesto mesi per essere mantenuta.
Per settimane dopo la sua fuga, al-Dibs ha presentato ripetute richieste a Israele per raggiungere il sito, utilizzando una procedura istituita dall’ONU per cercare di coordinarsi con Israele per consentire ai soccorritori gazawi di accedere ai luoghi delle esplosioni. Israele ha negato tutte le richieste della famiglia Dibs, ha dichiarato l’ONU.
Il COGAT, l’organismo militare israeliano che gestisce il coordinamento con le organizzazioni umanitarie a Gaza, non ha risposto a una richiesta scritta di commento.
Quasi tre mesi dopo, all’inizio del cessate il fuoco, al-Dibs e i suoi figli sono finalmente tornati a casa a piedi, facendosi strada tra cumuli di macerie e detriti.
Quello che hanno trovato è stato peggiore di quanto avessero immaginato. I bombardamenti avevano raso al suolo gli edifici, spargendo cumuli di massi sopra la casa crollata della sua famiglia.

Sono arrivati i parenti, desiderosi di aiutare. Ma con l’assedio punitivo di Israele che ancora blocca l’ingresso di nuove attrezzature nell’enclave, nessuno aveva trapani o altri strumenti elettrici per rovistare sotto le macerie.
“Abbiamo usato quello che abbiamo trovato: pale, picconi e le nostre mani nude”, ha detto.
Dopo ore di scavi, finalmente hanno raggiunto il livello del pavimento dove aveva vissuto la famiglia.
Al-Dibs ha trovato parti di uno scheletro che crede appartenere a suo figlio Hasib, di 8 anni, ma non è riuscito a trovare nulla di sua moglie e di Habib, di 6 anni: solo alcuni frammenti di ossa carbonizzate che si sono sbriciolate quando ha cercato di afferrarle tra le dita.
Un segmento televisivo di Al Jazeera che riprendeva i tentativi di recupero nel quartiere ha mostrato che al-Dib si rendeva conto che non avrebbe mai trovato i loro corpi. Tremando di rabbia, ha tirato fuori alcuni sacchi di plastica bianca per i corpi.
“Ho portato dei grandi sudari! E piccoli sudari! Per poter mettere i loro corpi dentro! Ma ho trovato i loro corpi ridotti in cenere!”, urla nel video.
Poi, mentre sua figlia Fatima, 12 anni, con una giacca gialla brillante, correva verso le rovine, singhiozzando e chiamando i nomi dei suoi fratelli minori, al-Dibs l’ha allontanata delicatamente mentre lei diceva: “Oh Habib! Oh Hasib! Oh mio Dio, oh mio Dio, oh mio Dio!”.
“Sono stati privati dell’ultimo saluto”, ha detto al-Dibs.
La famiglia ha poi seppellito i resti di Hasib e ora la figlia ha nuove domande.
“Continua a chiedere: perché non possiamo avere tombe per Habib e la sua mamma? Dove andrà a sedersi e a confidarsi con sua madre, se non hanno una tomba?”.

Coloro che trovano i corpi dei loro cari devono affrontare altri tormenti psicologici.
Ahmad Shbat, 25 anni, ha trovato i corpi di alcuni suoi parenti nella città settentrionale di Beit Hanoun completamente intatti, lasciandolo a tormentarsi sulla questione se fossero morti, non a causa dei bombardamenti, ma dopo sofferenze prolungate in attesa di un salvataggio che non è mai arrivato.
“La sensazione di impotenza”, ha detto, “è schiacciante”.
Dal cessate il fuoco, gli operatori sanitari sono stati chiamati a recuperare decine di corpi non identificati, ha dichiarato Saleh al-Homs, vicedirettore dell’Ospedale Europeo nella città meridionale di Khan Younis.
Scrivono il luogo e tutti i dettagli identificativi sui sacchi per i cadaveri e mettono all’interno tutti gli effetti personali che trovano, quindi li portano all’obitorio dell’ospedale più vicino e pubblicano le descrizioni dei loro ritrovamenti sui social media.
I servizi di soccorso di Gaza e la Difesa Civile, hanno pregato i residenti di non tentare il recupero da soli, avvertendo della possibilità che sotto i rottami si trovino bombe o ordigni inesplosi. La Difesa Civile ha dichiarato di non poter condurre grandi sforzi di scavo fino a quando non sarà consentito l’ingresso a Gaza di attrezzature pesanti, come le scavatrici, cosa che Israele afferma di non voler permettere.
Ma pochi gazawi, come Ramy Nasr, un commerciante di Jabaliya, hanno intenzione di aspettare l’aiuto di qualcuno.

Al-Dibs e i suoi figli visitano la tomba del figlio Hasib, di 8 anni. Ma al-Dibs non ha trovato nulla di sua moglie né di un altro figlio, Habib, di 6 anni. Foto Saher Alghorra
Nasr, la cui tragedia familiare è stata raccontata in un reportage del New York Times lo scorso anno, è tornato sul luogo dell’esplosione che lo scorso ottobre ha fatto crollare l’edificio in cui si erano rifugiati i suoi fratelli e le loro famiglie.
Ha pagato 500 dollari a degli operai edili per scavare un tunnel nell’edificio e recuperarli. I corpi trovati erano così decomposti che era difficile distinguerli.
Alla fine è riuscito a dividerli in due mucchi.
I resti di quello che credeva essere suo fratello Ammar Adel Nasr, di sua moglie Imtiyaz e delle loro due figlie sono finiti in una tomba. Il fratello Aref e la sorella Ola sono finiti in un’altra.
Come molti cimiteri di Gaza, ha detto, il cimitero della sua famiglia è ora così pieno di nuovi corpi che è diventato difficile assicurarsi dei lotti per la sepoltura.
“Prima della guerra, ogni persona veniva messa nella propria tomba”, ha detto. “Oggi non c’è abbastanza spazio, né tempo”.
Nader Ibrahim ha contribuito con un reportage.
Aaron Boxerman è un giornalista del Times che si occupa di Israele e Gaza. Ha sede a Gerusalemme.
https://www.nytimes.com/2025/02/14/world/middleeast/gaza-rubble-missing-bodies.html
Traduzione a cura di AssoPacePalestina
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