Il colonialismo d’insediamento ‘finisce con noi’ in Palestina e Israele

di Richard D. Wolff

CounterPunch, 1° gennaio 2025.  

Fotografia di Nathaniel St. Clair

La mia nascita è avvenuta durante la catastrofe fascista del capitalismo europeo negli anni ’20-’40 del secolo scorso. Quella catastrofe ha prodotto anche l’esperimento di Israele con il colonialismo d’insediamento in Palestina. Questo articolo fa riferimento ad entrambi gli episodi per analizzare l’attuale catastrofe in Palestina-Israele.

Le mie ragioni o qualifiche per scrivere un articolo del genere iniziano con il fatto che mia nonna materna e mio nonno sono stati uccisi nel campo di concentramento nazista di Mauthausen. La sorella di mio padre fu uccisa ad Auschwitz. Mia madre e sua sorella trascorsero anni in diversi campi di concentramento. A causa di questi eventi, i miei genitori fuggirono dall’Europa e insediarono la loro famiglia negli Stati Uniti. Come altri discendenti di vittime che hanno subito tali atrocità, ho cercato di comprendere i motivi della loro vittimizzazione e i complessi effetti che ciò ha avuto sulla mia vita, direttamente e indirettamente.

I discendenti differiscono nelle loro risposte a ciò che è accaduto. Alcuni si chiudono in se stessi, cercando sicurezza in un distacco dal mondo esterno e dalla sua storia, tutti incentrati sulla propria sopravvivenza. Alcuni cercano di trovare conforto nell’illusione che una parte o tutto il mondo abbia superato le condizioni che hanno prodotto le vittime del fascismo. Alcuni soffrono di miscele di impotenza, rabbia e paura che possa accadere di nuovo. Tra questi ci sono coloro che combattono il fascismo ovunque lo vedano riemergere e anche coloro che perpetrano ulteriori cicli di vittimizzazione contro altri. Altri ancora cercano di elaborare una comprensione scrivendo articoli e libri.

Israele ha cercato di gestire il colonialismo d’insediamento sul modello dei precedenti colonialismi europei stabiliti in tutto il mondo. Questo sforzo di Israele mi ha attratto indirettamente in un modo straordinariamente personale. Senza capirne il motivo, scelsi di partecipare a un programma per laureati di Harvard e Radcliffe che portò 20 di noi in Africa orientale all’inizio degli anni ’60 come volontari per un’estate di insegnamento. Lì ho iniziato a capire cosa significasse il colonialismo d’insediamento. Ulteriori studi sono confluiti nella mia dissertazione di dottorato a Yale, basata sulla ricerca nei registri del Colonial Office di Londra e del British Museum. Nel libro che ne è scaturito, The Economics of Colonialism: Britain and Kenya, 1870-1930 (New Haven, Yale University Press, 1974), ho cercato di analizzare l’economia dell’insediamento coloniale nel Kenya.

La Gran Bretagna aveva espulso la popolazione nativa e aveva riservato i fertili altipiani della nazione a poche migliaia di emigrati bianchi. Oltre alla terra e alla protezione della polizia, la Gran Bretagna forniva agli emigrati semi di caffè, trasporti e un mercato per gestire un’economia di esportazione del caffè coltivato in Kenya. I milioni di neri kenioti trasferiti con la forza in riserve ristrette le hanno trovate insufficienti a sostenere la loro vita. La loro sopravvivenza richiedeva quindi la ricerca di un lavoro a basso salario nelle piantagioni di caffè dei coloni bianchi. Le tasse su questi bassi salari aiutavano a finanziare il governo coloniale britannico, che applicava un sistema di colonialismo spietatamente sfruttatore. Questa separazione economica e razziale in Kenya è stata analoga al più noto apartheid in Sudafrica.

Tali sistemi economici provocano una resistenza costante, che va da atti disperati individuali e di piccoli gruppi fino a movimenti di massa e ribellioni organizzate. Questi atti di resistenza si sono verificati anche in Kenya, Sudafrica e altrove. La Gran Bretagna li reprimeva abitualmente. In Kenya, alla fine, gli organizzatori indigeni si riunirono intorno a Jomo Kenyatta e si attivarono nel cosiddetto Kenya Land and Freedom Army per ribellarsi. La loro lotta divenne ampiamente nota come la rivolta Mau Mau del 1950 contro il governo britannico. Il conteggio dei morti di quella rivolta includeva 63 militari britannici, 33 coloni, più di 1.800 poliziotti nativi e soldati ausiliari, e la stima ampiamente acettata di più di 11.000 ribelli kenioti. Gli inglesi repressero la ribellione, imprigionarono Kenyatta e dichiararono a gran voce la loro vittoria.

La vittoria della Gran Bretagna, tuttavia, suonò la campana a morto per la sua colonia del Kenya. Il Mau Mau mostrò agli inglesi i crescenti livelli di resistenza e ribellione che avrebbero dovuto affrontare per un tempo indefinito nelle colonie d’insediamento che avevano creato. I politici britannici videro i costi delle colonie come un’impennata che non potevano permettersi. Dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, i colonialismi europei si sono dissolti quasi ovunque. I leader britannici non potevano evitare di accettare la realtà storica. Poco dopo Mau Mau, la Gran Bretagna riconobbe l’indipendenza nazionale del Kenya, liberò Kenyatta e lo accettò come nuovo leader del paese. L’indipendenza pose fine al colonialismo d’insediamento del Kenya.

La lezione del Kenya riguardo al colonialismo d’insediamento ha avuto un impatto profondo sui leader britannici, ma si è rivelata una lezione che i leader israeliani hanno rifiutato di imparare. Data la storia particolare del sionismo e degli ebrei europei, la maggior parte dei leader israeliani era determinata a imporre il colonialismo d’insediamento al popolo palestinese e a conservarlo con la forza.

La dichiarazione di indipendenza dei leader israeliani nel maggio 1948 provocò un’immediata resistenza palestinese e araba che è continuata fino ad oggi. Movimenti di massa e ampie ribellioni hanno punteggiato questa resistenza e hanno goduto di un crescente sostegno esterno (da fonti arabe, islamiche e di altro tipo). La fine dei precedenti colonialismi europei ha lasciato un’eredità di immense difficoltà per gli sforzi israeliani di erigerne e sostenerne un altro.

Un aspetto cruciale della loro risposta a queste difficoltà è stato quello di formare un’alleanza con una potenza mondiale che potesse aiutare a difendere il suo insediamento coloniale. La stretta alleanza con gli Stati Uniti che ne è derivata ha posizionato Israele come agente di prima linea in Medio Oriente, l’estensione militare dominante degli Stati Uniti nell’area in cui si trovavano le principali risorse energetiche globali. L’alleanza con gli Stati Uniti ha facilitato l’indebolimento delle prime componenti socialiste, collettiviste e kibbutzim di Israele. La maggior parte dei leader sionisti ha pagato volentieri il prezzo di questa alleanza. Un altro prezzo era la dipendenza militare, economica e politica di Israele dagli Stati Uniti. Infine, i leader israeliani hanno coltivato forti legami culturali e familiari con partner finanziariamente e politicamente influenti negli Stati Uniti e in Europa. In questo modo, i leader israeliani speravano che il colonialismo d’insediamento potesse sopravvivere e crescere, nonostante numerosi esempi della storia dimostrassero il contrario.

Per alcuni decenni è sembrato, a molti all’interno e all’esterno di Israele, che la strategia e le connessioni dei suoi leader potessero garantire l’insediamento coloniale. Ma poi ciò che è accaduto in Kenya ha iniziato a ripetersi in Israele (in condizioni diverse nei due casi). I palestinesi hanno resistito, sono seguiti movimenti di massa e infine sono sorte ribellioni potenti e organizzate. Le vittorie israeliane su ognuna di esse si sono rivelate un mero preludio a forme di opposizione successive e più elevate, con un sostegno sempre più globale. Le vittorie israeliane assomigliano a quelle ottenute dalle loro controparti britanniche in Kenya.

Ora è ugualmente chiaro sia in Israele che in Palestina che la prospettiva di una guerra senza fine in futuro costerà probabilmente sempre più vite e ferite, danni fisici e psichici e perdite economiche e politiche. Le vittime sopravvissute alla violenza estrema di Israele a Gaza stanno già riemergendo più motivate, meglio addestrate e con armi più efficaci per riprendere la loro lotta. Anche i figli di queste vittime saranno numerosi e determinati a porre fine al colonialismo d’insediamento di Israele.

La storia, e ora il tempo stesso, sono dalla parte dei Palestinesi. Persino un convinto sostenitore di Israele come l’ex Segretario di Stato Antony Blinken ha dovuto ammettere una cruda realtà (sebbene non ne abbia ammesso il significato storico né le implicazioni politiche). Ha detto: “In effetti, stimiamo che Hamas abbia reclutato quasi tanti nuovi militanti quanti ne ha persi. Questa è la ricetta per un’insurrezione duratura e una guerra perpetua”.

L’impero britannico morente fu costretto ad accettare nel 1963 l’indipendenza del Kenya e la fine del colonialismo d’insediamento. L’attuale declino dell’impero degli Stati Uniti sta imponendo qualcosa di simile in Israele. Dopo l’ultima e peggiore guerra di Gaza, l’alleato cruciale di Israele si sta avvicinando alla conclusione che la Gran Bretagna raggiunse in Kenya dopo la rivolta dei Mau Mau.

Per un numero crescente di leader degli Stati Uniti, i rischi e i costi dell’alleanza con Israele stanno aumentando più rapidamente dei benefici. Molti si sono convinti, compresi i cittadini statunitensi, che fornire a Israele fondi e armi rende gli Stati Uniti “complici di un genocidio” e, quindi, isolati a livello globale. Ne è seguito il cessate il fuoco imposto da Donald Trump. Se e come funzionerà e come Israele resisterà ed eviterà le critiche in corso, sarà molto meno importante della traiettoria più basilare in corso ora. La storia suggerisce che Benjamin Netanyahu o i suoi successori finiranno per staccarsi dagli Stati Uniti. La loro alleanza perduta accelererà la fine dell’insediamento coloniale di Israele.

Richard Wolff è autore di Capitalism Hits the Fan e Capitalism’s Crisis Deepens. È fondatore di Democracy at Work.

https://www.counterpunch.org/2025/01/31/settler-colonialism-it-ends-with-us-in-palestine-and-israel

Traduzione a cura di AssoPacePalestina

Non sempre AssoPacePalestina condivide gli articoli che pubblichiamo, ma pensiamo che opinioni anche diverse possano essere utili per capire.

1 commento su “Il colonialismo d’insediamento ‘finisce con noi’ in Palestina e Israele”

  1. Bellissimo articolo, purtroppo è stato scritto prima di acclarare che Trump è il segno sodale di Netanyahou!
    Ma, ancora, io spero che la rotta sia quella del Kenya.

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