Il rientro dei palestinesi al nord di Gaza

di Alessandro Ferretti,   

Blog di Alessandro Ferretti, 27 gennaio 2025.    

Oggi è una giornata che resterà nella memoria del popolo palestinese per i secoli a venire. Al termine di quasi 500 giorni di orrori e stragi inenarrabili, Israele ha mostrato per la prima volta un chiaro segno della sua debolezza. Dopo aver perseguito per mesi e mesi il completo spopolamento del nord di Gaza per impadronirsene e trasformarlo in un grande resort di vacanze intriso del sangue e della sofferenza di innumerevoli martiri, oggi centinaia di migliaia di palestinesi hanno varcato da sud a nord l’infame corridoio Netzarim e stanno facendo ritorno alla loro terra. Il criminale tentativo di pulizia etnica è miseramente fallito: spezzato dall’epica resistenza di centinaia di migliaia di persone, aggrappate alla loro terra a costo di indicibili sofferenze e spesso della loro stessa vita.

In questo giorno che segna una forte battuta d’arresto per la ferocia dei suprematisti e colonialisti israeliani non ci può però essere spazio per trionfalismi. Il dolore inflitto dalla ferocia dei suprematisti e colonialisti è talmente enorme da lasciare una pesante ombra nei cuori di chiunque abbia a cuore il popolo più vessato della Terra, per non parlare del fatto che in Cisgiordania e in Libano le armi israeliane continuano spietatamente ad ammazzare persone colpevoli soltanto di abitare in terre bramate dal folle espansionismo sionista.

È molto difficile descrivere la mescolanza di felicità e dolore che segna questo momento, ma non impossibile. Il dottor Ezzideen è rimasto al nord durante tutto il genocidio, e adesso di fronte al ritorno degli sfollati ci restituisce almeno in parte la complessità e l’intensità delle emozioni e dei sentimenti di questa giornata storica, che casualmente cade nell’anniversario della liberazione di Auschwitz e che i palestinesi ricorderanno nei secoli a venire.

“L’aria è densa del peso del loro ritorno, un silenzio più forte di qualsiasi esplosione, più pesante del fumo che un tempo soffocava le loro strade. Queste persone -queste anime fratturate e resilienti- stanno tornando, anche se non è chiaro a cosa stiano tornando. Una casa che non è più una casa, una terra che porta le ossa dei loro cari e le cicatrici della loro sofferenza.

Li osservo. Ogni passo che fanno sembra una sfida, una ribellione contro la disperazione stessa. Ma i loro volti -oh, i loro volti- sono scolpiti dallo scalpello della guerra. Occhi che un tempo danzavano nella luce ora riflettono solo ombre. Spalle che un tempo non portavano niente di più pesante di un bambino ora sostengono il peso invisibile di tutto ciò che hanno perso.

Eppure, c’è qualcos’altro nel loro cammino, qualcosa di sconvolgente, di inspiegabile. Non la speranza, non ancora. Ma forse il suo fantasma. Una sorta di ostinazione, come se sfidassero il mondo a spezzarli ulteriormente.

Sento le mie lacrime salire, calde e implacabili, scorrere sul mio viso come fiumi che esondano. Non sono solo le mie lacrime -appartengono a ogni grido rimasto inascoltato, a ogni vita strappata troppo presto, a ogni casa ridotta in macerie. Portano un dolore così profondo che sembra possa spaccarmi in due. Ma in mezzo al dolore, sento qualcosa di vergognoso, qualcosa di pericoloso: la gioia. Non per la guerra, non per la perdita, ma per la loro pura volontà di vivere. Come possono ridere a bassa voce? Come possono i bambini giocare tra le rovine?

Questa guerra ha portato via tutto da loro, eppure non può portare via questo -la loro capacità di creare una vita dove non dovrebbe esistere. Sono furioso per la contraddizione, furioso con il mondo che li costringe a sopportarla.

Non meritano di più? Non meritano una pace senza paura, un amore senza l’ombra della perdita, giorni senza il fetore della morte che aleggia nel vento?

Mentre sto qui, capisco che sopravvivere non è solo un atto di istinto -è un atto di sfida, una guerra combattuta contro la crudeltà del destino stesso. E anche se le mie lacrime cadono, anche se il mio cuore si spezza per loro, non posso fare a meno di credere che queste persone -questa umanità spezzata e bellissima- risorgeranno di nuovo. Non perché il mondo sia giusto, ma perché si rifiutano di accettare che rimanga ingiusto.

Tornano ora in un luogo che è più un cimitero che una casa, ma i loro passi sussurrano qualcosa di più forte di qualsiasi bomba, più forte di qualsiasi guerra. Stanno dicendo: Siamo ancora qui. E questo, in qualche modo, è abbastanza per mandarmi in frantumi.”

https://alessandroferrettiblog.wordpress.com/2025/01/27/il-rientro-dei-palestinesi-al-nord-di-gaza/

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