Imad è stato ucciso mentre cercava del cibo per i suoi figli. Quanto dolore devono sopportare le famiglie di Gaza?

di Ghada Ageel

Middle East Eye, 7 gennaio 2025.    

La resilienza assume una miriade di forme in tutto il territorio assediato, ma ciò che è veramente necessario è un sostegno significativo da parte della comunità globale.

Una bambina in mezzo a una folla che cerca di ottenere del cibo preparato da una cucina di beneficenza, nel contesto di una crisi di fame a Khan Younis, nel sud della Striscia di Gaza. 2 gennaio 2025. (Reuters)

La tragedia è un visitatore implacabile a Gaza. L’omicidio non è più una sorpresa, ma un’aspettativa, persino una norma, una certezza crudele nel ritmo della vita sotto genocidio. 

Ma anche se è divenuta una cosa normale, la perdita di una persona cara incide profondamente, lasciando ferite che le parole faticano a trasmettere. 

Il caso del vicino di mia zia, Imad Kaskin, ucciso tra le rovine di una vita di sfollato, non è un’anomalia, ma solo un filo doloroso nell’arazzo del dolore di Gaza, dove le vite vengono cancellate nel silenzio globale.

Fino alla sua morte, avvenuta il mese scorso, Imad, 31 anni, era un giovane uomo con un grande senso dell’umorismo, disposto a dare via quel poco che aveva, anche se era tra i più poveri dei poveri. Con sua moglie, Hadeel, e le loro due figlie, Retaj di otto anni e Dana di sei, Imad viveva con la tranquilla dignità di chi ha imparato l’arte della resistenza, quella che i palestinesi chiamano sumud.

A Gaza il sumud assume un milione di forme, forme che dubito qualsiasi altra nazione possa immaginare o abbia mai conosciuto.

Come la stragrande maggioranza della popolazione di Gaza, composta da oltre due milioni di persone, Imad (un rifugiato dal villaggio di Hamama, cancellato da tutte le mappe nel 1948), è stato sfollato durante l’attuale guerra di Israele. Fuggendo dal campo profughi di al-Shati, si è diretto a sud verso al-Mawasi, nell’area di Khan Younis, sperando di rimanere vivo in una terra in cui la sopravvivenza è sia una battaglia che un atto di resistenza.  

La mattina in cui è stato ucciso, Imad si era avventurato alla ricerca di farina, un bene scarso che è diventato un lusso irraggiungibile per i palestinesi. A Khan Younis, il prezzo di un sacco di farina da 25 chilogrammi è salito a più di 875 shekel (circa 240 dollari), un prezzo che Imad, come innumerevoli altri, semplicemente non poteva permettersi. 

Condizioni disperate

Sentendo la notizia che i camion degli aiuti avrebbero potuto entrare a Gaza, Imad si è diretto a est per aspettare il loro arrivo vicino al confine, sperando di poter sfamare la sua famiglia. Diverse settimane prima, Israele aveva ridotto il numero di camion di aiuti umanitari che entravano a Gaza a soli 30 al giorno, pari ad appena il 6% dei livelli prebellici. 

Philippe Lazzarini, che dirige l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi (UNRWA), ha osservato sui social media che questa quantità di aiuti “non può soddisfare le esigenze di oltre 2 milioni di persone, molte delle quali muoiono di fame, sono malate e si trovano in condizioni disperate”. 

Lo scorso Ramadan, con gli alimenti di base strettamente razionati a Gaza, il pasto di iftar [fine del Ramadan] di una persona comprendeva mezzo uovo e mezza cipolla. Una famiglia di sei persone riceveva solo tre uova e tre cipolle per l’unico pasto della giornata, cosa tanto più scioccante se consideriamo i lussi che le persone si concedono durante le vacanze di Natale.

Dieci mesi dopo, la situazione è ulteriormente peggiorata. Le famiglie sono passate dal ricevere tre uova a una sola. Il mese scorso, Hamed Ashour, un giovane scrittore del campo di Khan Younis, ha condiviso questa triste realtà sulla sua pagina Facebook:

“Abbiamo ricevuto tre uova come pasto per tre famiglie di sfollati che alloggiano con noi nella casa. Credetemi, non sto scrivendo questo per lamentarmi, ma ora dobbiamo affrontare la sfida di distribuire tre uova tra 20 persone. Chi può trasformare questo problema in un’equazione matematica che ci porti a una soluzione – pratica e soddisfacente – con cui possiamo tutti insieme sconfiggere la fame?”.

Queste condizioni disperate sono dolorosamente familiari ai membri della mia famiglia. Mia cognata a Khan Younis ha recentemente chiamato suo fratello, un insegnante dell’UNRWA, per chiedergli se poteva cederle anche solo 200 grammi di farina. Sperava di poterla mescolare con ingredienti solitamente riservati agli animali, per cucinare qualcosa – qualsiasi cosa – per i suoi figli. 

Mio cugino, vergognandosi di non poterla aiutare, è partito per Deir al-Balah per visitare l’altra sorella, che era stata sfollata lì e non stava bene. Sperava che potesse avere da parte un po’ di farina.

Lì, si è scontrato con una triste realtà che conosceva fin troppo bene: anche loro non avevano nulla. A Deir al-Balah, un singolo sacco di farina costava la cifra ancora più sbalorditiva di 1.000 shekel (circa 275 dollari). 

Mio cugino, un diabetico che non mangiava pane da 15 giorni, ha passato la notte nella tenda di sua sorella, perché è troppo pericoloso muoversi di notte. Ma non riusciva a dormire, non per la fame che lo attanagliava, ma per le grida dei bambini di sua sorella. 

Nella notte, i bambini imploravano un pezzo di pane. Nel tentativo di confortarli, ha raccontato loro una storia dopo l’altra, finché non si sono addormentati. Ma lui è rimasto sveglio, perseguitato dalla loro fame e dalla sua.

La forza che maschera il dolore

A differenza di mio cugino, Imad sapeva che sua sorella non aveva farina e che figli di lei, come i suoi, stavano morendo di fame. Si è diretto quindi verso est alla ricerca di farina. 

Mentre aspettava un sacco di farina che forse non sarebbe mai arrivato, è stato colpito due volte alla schiena dalle forze di occupazione israeliane – ucciso per il crimine di aver cercato di nutrire i suoi figli. Il suo corpo senza vita è stato recuperato da un coraggioso autista di un camion di aiuti e portato all’ospedale Nasser.  

Imad non è stata l’unica vittima della ricerca di pane. Centinaia, se non migliaia, di persone sono state uccise e ferite durante la ricerca di cibo.
Per la moglie di Imad, Hadeel, e le loro due giovani figlie, la perdita è incommensurabile. Sua sorella, Hiba, sopporta questo dolore con una forza straordinaria. Mio zio è stato incaricato di dare la notizia alla famiglia, e ha cercato di dare la notizia con delicatezza, dicendo a Hiba: “Imad è stato ferito”.

Lei ha capito subito che suo fratello era morto e ha urlato: “Imad è un martire”. È corsa in ospedale, dove, circondata dalla sua famiglia in lutto, è rimasta composta. 

Hiba ha accarezzato la testa del fratello, ha baciato la sua fronte, ha recitato versetti coranici e ha esortato le donne intorno a lei a non piangere, ma a pregare. La sua resilienza ha stupito persino suo marito, che in seguito ha confessato: “Non avrei mai immaginato che mia moglie fosse così forte”.

Ma la forza è spesso una maschera per il dolore. Nella quiete della notte, quando il mondo intorno a Hiba si era addormentato, le sue lacrime hanno finalmente fatto breccia. I suoi singhiozzi hanno svegliato il marito e i figli, che hanno cercato di confortarla. Lei ha sorriso nonostante il dolore, dicendo loro che stava bene e li ha esortati a dormire.

Il mondo deve agire

Due giorni dopo l’omicidio di Imad, il suo vicino pescatore è partito per provvedere ai suoi figli, dirigendosi a sud verso le coste di Mawasi. Mentre si trovava sulla spiaggia, dopo aver gettato la rete e in attesa di tirarla a riva, anche lui è stato ucciso dall’attacco di un drone. 

Il suo corpo è rimasto sulla spiaggia, irraggiungibile per molte ore; ogni volta che qualcuno cercava di recuperarlo, veniva colpito.

Quando la notizia ha raggiunto la moglie quel pomeriggio, lei è corsa nella zona, sfidando i proiettili e il pericolo, determinata a recuperare il corpo del marito. Lo ha tirato per qualche metro prima che altre donne accorressero in aiuto. Mentre il corpo di Ghassan veniva finalmente recuperato, un altro urlo penetrante ha squarciato l’aria di al-Mawasi.

I bambini di Mawasi hanno visto che ancora un altro padre veniva loro portato via; uno tra le migliaia di persone uccise mentre cercavano semplicemente di sfamare le loro famiglie. 

L’anno scorso, durante il Massacro della Farina alla rotonda Nabulsi di Gaza City, almeno 112 Palestinesi sono stati uccisi dalle forze israeliane mentre cercavano di assicurarsi la farina per sostenere i loro cari.

Tutte queste storie ci impongono di ricordare e testimoniare la sofferenza subita da un’intera nazione. Il mondo può scegliere di distogliere lo sguardo, di prestare solo un’attenzione fugace e un’empatia selettiva, ma il dolore infinito di Gaza rimane. Così come la sua resilienza, un impulso di sopravvivenza duraturo e radicato nel sumud

Ma la resilienza della popolazione di Gaza non può sostituire un sostegno reale e significativo da parte della comunità internazionale. Mentre i livelli di aiuto scendono ai minimi storici in un ambiente punitivo, il momento di agire non è mai stato così urgente.

La società civile globale deve unirsi, esigere la fine delle forniture di armi a Israele e ritenere i criminali di guerra Netanyahu, Gallant e i loro complici responsabili di fronte alla giustizia.

La dottoressa Ghada Ageel è professoressa visitatrice presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Alberta (Edmonton, Canada), studiosa indipendente e attiva nella Faculty4Palestine-Alberta.

https://www.middleeasteye.net/opinion/gaza-israel-starving-palestinians-killed-searching-food-grief-families

Traduzione a cura di AssoPacePalestina

Non sempre AssoPacePalestina condivide gli articoli che pubblichiamo, ma pensiamo che opinioni anche diverse possano essere utili per capire.

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