di Jack Khoury,
Haaretz, 16 dicembre 2024.

I continui resoconti di intense trattative per un accordo sugli ostaggi raccontano degli sforzi sul definire un possibile cessate il fuoco come temporaneo o permanente.
Per Hamas e per i residenti della Striscia di Gaza, questa definizione è fondamentale, ma dal punto di vista di Israele, si tratta di termini vuoti con scarso significato militare.
Per i cittadini e i media israeliani, la guerra a Gaza è finita da tempo. A settembre, l’attenzione si è spostata sul Libano ma, con l’annuncio di un cessate il fuoco, ora Israele non è più in guerra nel nord.
Non c’è bisogno di essere un opinionista o un analista militare per capire che le risorse umane necessarie per combattere nella Striscia di Gaza o in Libano non sono più una sfida per l’establishment della difesa di Israele.
Per quanto riguarda il fronte interno, si sta attuando la dottrina Ben-Gurion: il combattimento deve essere spostato in territorio nemico. Questa è la situazione nella Striscia di Gaza, in Libano e sulle alture siriane del Golan.
Da diversi mesi non c’è più la minaccia di lanci di razzi verso le comunità israeliane lungo il confine con Gaza, e molte persone sono tornate alla loro routine lavorativa o hanno iniziato il processo di ricostruzione. Il commercio è vivace nell’area e il lavoro prosegue.
Ci vorrà molto tempo prima che le ferite mentali delle persone colpite e delle famiglie in lutto possano guarire, se mai lo faranno. Ma bisogna ammettere che le persone non direttamente interessate non potrebbero preoccuparsi di meno della situazione. Non si tratta di un problema di portata nazionale.
La situazione è simile nel nord. Le persone stanno tornando alla loro routine e la ricostruzione è iniziata. Non si possono ignorare le difficoltà e l’entità dei danni.
Ma la guerra, con tutto il suo dolore, per gli israeliani è finita. L’unica ferita ancora aperta sono gli ostaggi. Se ritorneranno, con un accordo o senza, questo capitolo si concluderà per Israele.
I palestinesi di Gaza, invece, stanno ancora vivendo una guerra. Più di due milioni di civili nella Striscia di Gaza sono rimasti senza nulla. L’entità della distruzione è inconcepibile.

Non c’è quasi più un edificio intero, eppure, nonostante questo, Israele continua a compiere attacchi aerei quotidiani, con un numero di morti contati a Gaza che si avvicina ai 50.000.
In realtà, il numero potrebbe essere molto più alto, poiché ci sono persone che non sono nel registro del Ministero della Salute, o persone ancora sepolte sotto le macerie.
La guerra a Gaza è andata oltre tutto ciò che i palestinesi hanno subito nella storia moderna. Tutti i disastri che li hanno colpiti dal 1948 sembrano essere stati convogliati nella Striscia di Gaza negli ultimi 14 mesi.
Questo include uccisioni e massacri, espulsioni, nuovi rifugiati, pulizia etnica e legittimazione della deportazione (o, in un linguaggio educato, incoraggiamento all’emigrazione).
La maggior parte degli oltre due milioni di residenti nella Striscia di Gaza aspetta la morte ogni giorno. Potrebbe essere una morte rapida, a causa di un attacco aereo, o lenta, dovuta alla fame o alle malattie. Potrebbe avvenire in una lotta per un sacchetto di farina o a causa di un colpo di pistola sparato da un rapinatore.

Mentre in Israele gli sforzi si concentrano sulla ricostruzione, i palestinesi nella Striscia di Gaza sono impegnati ogni ora in una lotta tra la vita e la morte.
I discorsi su un accordo per il rilascio degli ostaggi sono meno rilevanti per loro. La conversazione riguarda chi morirà oggi e chi domani. Pensare a Hamas o all’Autorità Palestinese, a quanto Yahya Sinwar o Mohammed Deif siano da biasimare, è altrettanto meno rilevante.
Mentre il Primo Ministro parla di una “guerra di rinascita”, per i palestinesi si tratta di una guerra di sopravvivenza. La guerra è pianificata dall’Israele ufficiale e dalla persona che lo guida, e questo è ciò che detta la prossima mossa che permetterà loro di controllare i Palestinesi nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania per generazioni a venire.
La maggior parte della popolazione in Israele risponde con un assenso o con un silenzio indifferente, poiché il processo di disumanizzazione dei Palestinesi è riuscito. Non importa cosa stia accadendo a Gaza: la guerra è finita.
Traduzione a cura di AssoPacePalestina
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