Le mie storie di ginecologa a Gaza raccontano la verità sul genocidio di Gaza

di Areej Hijazi

Mondoweiss, 27 novembre 2024.    

Sono un’ostetrica e ginecologa che ha lavorato a Gaza durante il genocidio israeliano. Ho visto la distruzione del settore medico di Gaza in prima persona. Le storie delle miei pazienti raccontano la storia del genocidio.

I parenti del bambino palestinese Bassam El-Maquse, ucciso negli attacchi israeliani, piangono mentre ricevono il suo corpo dall’obitorio dell’ospedale Al-Aqsa per la sepoltura a Deir El-Balah, Gaza, 22 marzo 2024. (Foto: Ali Hamad/APA Images)


Sono la dottoressa Areej Hijazi, ostetrica e ginecologa. Prima della guerra dell’ottobre 2023, lavoravo presso il Complesso Medico al-Shifa di Gaza, mentre ora lavoro presso l’Ospedale Emirati di Rafah. In questo articolo, parlerò della mia esperienza come ostetrica e ginecologa durante il genocidio di Gaza.

La guerra è iniziata mentre ero in servizio nel reparto di ostetricia del Complesso Medico al-Shifa. Ricordo la paura sui volti della maggior parte delle pazienti, mentre soffrivano i dolori del travaglio in mezzo al rumore dei missili. 

Le donne incinte sono le vittime nascoste di questa guerra. Ho lavorato ad al-Shifa per un mese durante la guerra, e poi il mio lavoro è stato trasferito all’Ospedale Internazionale Al-Helou a causa del gran numero di feriti. Per questo motivo, l’edificio della maternità di Al-Shifa è stato convertito in un edificio per i feriti e le vittime della guerra.

Il 1° novembre, mentre lavoravo ad Al-Helou, stavo facendo una pausa al pronto soccorso dopo un turno estenuante. Ben presto, il suono fragoroso di un bombardamento incessante mi ha svegliato. I carri armati israeliani stavano bombardando l’ospedale e i suoi dintorni, prendendo di mira il quinto piano, dove erano stati trasferiti tutti i casi provenienti dal reparto di ostetricia di al-Shifa. 

La paura mi ha attanagliato. Tutti erano in preda al panico e si precipitavano fuori. Le donne incinte e i pazienti ancora attaccati a flebo e cateteri urinari stavano fuggendo a piedi nudi in preda al terrore.

In quell’istante, mi resi conto della portata della devastazione che Israele intendeva infliggerci. Decisi allora di trasferirmi a sud per salvaguardare la mia vita e quella della mia famiglia.

Sono stata trasferita a Khan Younis e ho lavorato presso l’ospedale medico Nasser. Poi, a gennaio, mi sono trasferita a Rafah per lavorare presso l’Ospedale degli Emirati, dove sono rimasta fino ad oggi.

Le storie delle mie pazienti

Ci sono molte pazienti che ricordo di ave incontrato durante il mio percorso.

Una paziente che non dimenticherò mai è Shahd Al-Qatati, 20 anni, anche se è passato un anno intero da quando l’ho curata. Era stata trasferita dal reparto traumi per controllare il suo feto che non dava più segni di movimento. Non dimenticherò mai il suo volto quel giorno: una ragazza giovane, bella e calma, in uno stato di shock totale. Era caduta dal terzo piano della sua casa dopo che un missile l’aveva colpita. Questo aveva portato alla morte di suo marito. Erano sposati da pochi mesi. Una gamba le era stata amputata e gli altri tre arti erano rotti. Ora aveva bisogno di un parto cesareo a causa della perdita del feto al sesto mese. Shahd fu costretta a soffrire insieme il dolore della perdita e il dolore del parto cesareo.

Ricordo anche la paziente M.A., di 19 anni, che ho assistito quando era al secondo mese di gravidanza. Si è presentata all’accettazione della maternità accompagnata dal padre e dalla sorella, con febbre alta ed emorragia vaginale. A causa della situazione di pericolo nel nord di Gaza, non era potuta venire prima. È arrivata al Complesso al-Shifa il giorno in cui il nostro reparto è stato trasferito in un altro ospedale. Le sue condizioni richiedevano una terapia intensiva, poiché le era stato diagnosticato un aborto asettico. Non c’erano letti di terapia intensiva disponibili, perché erano pieni di feriti di guerra. Fu trasferita in un altro ospedale senza terapia intensiva e morì nel giro di 24 ore. La ricordo come se fossi stata con lei ieri. Era la sua prima gravidanza.

Come si   può immaginare, il genocidio sta complicando l’accesso all’assistenza sanitaria essenziale, il che aggrava le condizioni delle madri e delle donne incinte. Mi viene in mente una delle mie recenti pazienti, Salma, che si è presentata all’accettazione della maternità il mese scorso. Ha un solo figlio e sperava di dargli un fratello. Salma mi ha detto di aver saltato tre mesi di appuntamenti di controllo perché era stata ripetutamente sfollata durante la guerra genocida in corso. Si è recata in ospedale dopo che non aveva avvertito alcun movimento fetale nelle ultime 24 ore. Tragicamente, l’ecografia non ha rivelato alcun battito fetale, indicando che aveva avuto un aborto spontaneo.

Non è solo la guerra a uccidere gli innocenti; gli effetti dei razzi, delle bombe e del fumo tossico nell’aria, inalato dalle donne incinte, portano a molte complicazioni, la più significativa delle quali è l’aborto spontaneo.

Proprio la scorsa settimana, una delle pazienti, M.R., 27 anni, mi ha raccontato di aver avuto il suo primo figlio dopo cinque anni di infertilità, ma il suo bambino è stato ucciso in questa guerra all’età di quattro mesi. M.R. ha subito un profondo trauma psicologico, ma presto è rimasta di nuovo incinta. Era venuta in ospedale perché avvertiva un dolore al basso ventre e voleva controllare il feto. Non sapevo come dirle che aveva perso anche il suo secondo figlio prima che nascesse. 

Una stanza dell’ospedale Al-Aqsa dove i bambini prematuri sono tenuti nelle incubatrici. La maggior parte dei bambini prematuri è in pericolo a causa delle interruzioni di corrente, a Deir El-Balah, Gaza, 29 maggio 2024. (Foto: Omar Ashtawy/APA Images)

Condizioni attuali

Molti medici hanno rifiutato di evacuare dal nord al sud e hanno insistito per rimanere nel nord per servire i pazienti. La situazione nel nord è peggiore rispetto al sud, soprattutto nell’area di Jabalia, che soffre di massacri quotidiani, bombardamenti di artiglieria e attacchi di cecchini contro i cittadini fino ad oggi. 

Le donne incinte nel nord di Gaza hanno cercato di accedere all’Ospedale Kamal Adwan e all’Ospedale Al Awda, ma con l’intensificarsi dei bombardamenti l’assistenza prenatale è quasi inesistente e raggiungere le strutture sanitarie è estremamente difficile. In molti casi, le donne incinte che devono sottoporsi a un parto cesareo si rifiutano di rimanere in ospedale anche per una notte, perché gli ospedali e i loro dintorni sono stati ripetutamente presi di mira dall’aggressione israeliana. Per la paura, molte scelgono di tentare di guarire in scuole sovraffollate usate come ricoveri, ma prive di beni di prima necessità.

Con la continuazione dell’aggressione israeliana e la chiusura del valico di Rafah, gli ospedali e le cliniche sanitarie soffrono di una carenza di medicinali e di assorbenti igienici. Attualmente, nonostante la loro necessità per tutte le donne, il loro prezzo è raddoppiato o anche di più.

L’aumento significativo della richiesta di pillole contraccettive, che non sono più disponibili nei centri o nelle farmacie dell’UNRWA, insieme alla chiusura del valico di Rafah, sta aggravando il disastro umanitario. 

La situazione a Gaza è davvero spaventosa. Il collasso delle istituzioni mediche e l’aumento delle complicazioni della gravidanza a causa del conflitto in corso sono allarmanti. L’aumento dei casi di diabete gestazionale, ipertensione gravidica, aborto precoce, malformazioni fetali, distacco prematuro della placenta, rottura dell’utero, emorragia post-partum e persino depressione post-partum sono chiari indicatori del grave impatto sulla salute materna.

L’assenza di un sistema di educazione sanitaria per le donne complica ulteriormente le cose.

Sebbene questi fattori non vengano percepiti nei numeri e nelle statistiche condivise sulla guerra, sono tutte realtà che comunicano la terribile verità del genocidio di Gaza.

https://mondoweiss.net/2024/11/my-stories-as-an-ob-gyn-in-gaza-reveal-the-truth-of-the-gaza-genocide/

Traduzione a cura di AssoPacePalestina

Non sempre AssoPacePalestina condivide gli articoli che pubblichiamo, ma pensiamo che opinioni anche diverse possano essere utili per capire.

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