The Electronic Intifada, 14 novembre 2024.
I crimini di Israele contro il popolo palestinese a Gaza sono così terribili che la lingua inglese e il diritto internazionale sembrano non avere il vocabolario adeguato per comprendere e trasmettere l’orrore.
“Stiamo esaurendo le parole, stiamo esaurendo i modi per descrivere al mondo quanto sia terribile la situazione sul campo e quanto stia peggiorando”, ha dichiarato martedì Louise Wateridge, funzionaria dell’UNRWA, l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi, a proposito della situazione a Gaza.
Lo stesso giorno, l’Ufficio delle Nazioni Unite per i Diritti Umani (OCHA) ha condannato i “ripetuti attacchi di Israele che hanno causato un numero massiccio di vittime civili nel nord di Gaza nelle ultime cinque settimane”.
Al 10 novembre 2024, più di 1.800 palestinesi sono stati uccisi nell’offensiva israeliana nel distretto settentrionale di Gaza – tra cui Beit Hanoun, Beit Lahiya e Jabaliya – iniziata il 6 ottobre. Altre 4.000 persone sono state ferite, secondo il Centro Palestinese per i Diritti Umani.
Il ministero della Sanità palestinese a Gaza ha confermato la morte di oltre 43.600 persone in tutta la Striscia di Gaza dall’inizio di ottobre 2023, mentre molte altre non sono state contate perché sotto le macerie degli edifici distrutti o perché sono morte per assedio e fame e non sono comprese nel conteggio delle vittime.
L’assedio di Israele ha tagliato fuori i palestinesi del nord di Gaza “dagli aiuti umanitari, dalle cure mediche e dai servizi di soccorso di emergenza”.
Dall’inizio dell’offensiva israeliana nel distretto settentrionale, il 6 ottobre 2024, Israele ha permesso l’ingresso nell’area di una sola missione (l’11 novembre) del Programma Alimentare Mondiale [World Food Program] e ha limitato “le forniture mediche previste per gli ospedali durante le missioni di evacuazione medica”, secondo l’OCHA.
La missione del Programma Alimentare Mondiale che ha raggiunto Beit Hanoun lunedì 11 “comprendeva due camion che trasportavano razioni pronte per il consumo e farina di grano, oltre a un camion che trasportava acqua in bottiglia” ed è stata consegnata a due rifugi.
Ma, come afferma l’OCHA, poco dopo le forze israeliane hanno bombardato intensamente e circondato l’area in cui erano stati consegnati gli aiuti, intimando alle famiglie di andarsene.
Martedì mattina, le forze israeliane hanno attaccato una folla di palestinesi in attesa dell’arrivo di aiuti umanitari in una rotatoria a nord-ovest di Gaza City, uccidendo e ferendo decine di persone. L’Euro-Med Human Rights Monitor ha dichiarato che le truppe hanno sparato granate e proiettili verso il gruppo, che non riceveva aiuti da circa 50 giorni, costringendolo a ripararsi in una casa vicina.
“Non appena hanno raggiunto l’edificio, l’esercito israeliano lo ha bombardato”, ha aggiunto Euro-Med Monitor. “Si sono sentite le urla di coloro che si trovavano ancora all’interno della casa presa di mira, ma le grida di aiuto delle vittime non hanno potuto trovare risposta, poiché l’area era inaccessibile al personale delle ambulanze e della protezione civile”.
Nel suo rapporto al Consiglio di Sicurezza, martedì, Joyce Msuya, capo dei soccorsi delle Nazioni Unite, ha affermato che “l’ultima offensiva iniziata da Israele a nord di Gaza il mese scorso è una versione intensificata, estrema e accelerata degli orrori dell’anno scorso”. “Stiamo assistendo ad atti che ricordano i più gravi crimini internazionali”, ha detto Msuya.
Ramy Abdu, responsabile di Euro-Med Monitor, ha dichiarato che il mondo sta assistendo a “un genocidio completo e sistematico”. “Ogni corpo in movimento nelle aree settentrionali di Gaza, sia nel governatorato di Gaza Nord che in quello di Gaza City, viene preso di mira e ucciso”, ha aggiunto.
Famiglie massacrate nei rifugi
L’OCHA ha dichiarato che, dall’inizio dell’offensiva nel nord di Gaza, ha registrato tre incidenti che hanno causato più di 80 vittime, poiché Israele ha colpito edifici residenziali usati come rifugi. Questi attacchi hanno provocato “un elevato numero di vittime anche all’interno di singole famiglie”, ha aggiunto l’ufficio.
Domenica, un attacco israeliano contro un edificio residenziale a Jabaliya “avrebbe ucciso 24 palestinesi, tra cui 14 bambini e 5 donne”, ha dichiarato l’ufficio delle Nazioni Unite.
Il Centro Palestinese per i Diritti Umani ha dichiarato che Muhammad Alloush, uno dei suoi ricercatori sul campo, ha perso 24 membri della sua famiglia nell’attacco di Jabaliya, tra cui 14 bambini, il più piccolo di soli 5 mesi. “Questi civili innocenti sono stati uccisi mentre dormivano e soffrivano la fame”, ha dichiarato il gruppo per i diritti umani.
I colpi ai rifugi, l’assedio e gli attacchi alle persone in fuga “suggeriscono che le azioni di Israele mirano a creare condizioni di vita che molto probabilmente porteranno a svuotare il nord di Gaza della sua popolazione civile palestinese, con la morte o il trasferimento forzato”, ha affermato OCHA.
L’ufficio delle Nazioni Unite ha aggiunto: “Ribadiamo la nostra grave preoccupazione per il rischio di crimini di atrocità, che includono crimini di guerra, crimini contro l’umanità e genocidio”.
I crimini di Israele nel nord di Gaza si stanno svolgendo “in un vuoto di notizie”, ha osservato la scorsa settimana il Committee to Protect Journalists. L’osservatorio per la sicurezza della stampa ha affermato che Israele ha intensificato il suo “attacco sistematico ai giornalisti e alle infrastrutture dei media” dall’inizio dell’offensiva.
“Gli attacchi israeliani hanno ucciso almeno cinque giornalisti nel mese di ottobre e i [militari israeliani] hanno iniziato una campagna diffamatoria contro sei giornalisti di Al Jazeera che stavano facendo un servizio sul nord”, ha aggiunto il gruppo. L’obiettivo sembra essere quello di impedire anche ai giornalisti locali di testimoniare, visto che Israele ha impedito ai media internazionali indipendenti di accedere a Gaza dall’inizio di ottobre 2023.
Durante la riunione del Consiglio di Sicurezza di martedì, Ilze Brands Kehris, assistente del Segretario generale per i diritti umani, ha dichiarato che i dati verificati da OCHA mostrano che “quasi il 70% delle persone uccise a Gaza da attacchi, bombardamenti e altre ostilità sono bambini e donne”.
“La fascia d’età più rappresentata nei decessi accertati è quella dei bambini dai 5 ai 9 anni”, ha aggiunto Brands Kehris.
Brands Kehris ha affermato che Israele sta prendendo sistematicamente di mira i rifugi nel nord di Gaza dove è presente “un numero significativo di civili”, utilizzando “armi con effetti ad ampio raggio in aree popolate”.
“Il modo in cui l’esercito israeliano sta conducendo le operazioni… suggerisce non solo che le azioni di Israele stanno cercando di svuotare il nord di Gaza dai palestinesi… ma indica ulteriori gravi rischi di atrocità della più grave natura”, ha aggiunto Brands Kehris.
“Apocalittico”
I recenti avvertimenti sulla campagna di sterminio di Israele nel distretto settentrionale di Gaza non potevano essere più gravi.
“La situazione che si sta verificando a nord di Gaza è apocalittica”, hanno dichiarato il 1° novembre i capi di 15 organizzazioni umanitarie e delle Nazioni Unite.
“L’intera popolazione palestinese nel nord di Gaza è a rischio imminente di morte per malattie, carestia e violenza”, hanno avvertito.
“I beni di base e salvavita non sono disponibili”, hanno aggiunto i responsabili dell’agenzia. “Gli umanitari non possono svolgere il loro lavoro in sicurezza e sono bloccati dalle forze israeliane e dai rischi in cui incorrono per raggiungere le persone bisognose”.
L’8 novembre, un comitato indipendente di revisione sulla carestia affiliato alle Nazioni Unite ha avvertito che “c’è una forte probabilità che la carestia sia imminente nelle aree della Striscia di Gaza settentrionale”.
Il comitato ha aggiunto che “è necessaria un’azione immediata, entro giorni e non settimane, da parte di tutti gli attori che partecipano direttamente al conflitto o che hanno influenza sulla sua condotta, per evitare e alleviare questa situazione catastrofica”.
Domenica, l’Euro-Med Human Rights Monitor ha chiesto agli organismi internazionali di riconoscere immediatamente che a Gaza è già in corso una carestia. Il gruppo con sede a Ginevra ha affermato che ogni ulteriore ritardo “si tradurrà senza dubbio in ulteriori ostacoli agli aiuti salvavita che porteranno a un peggioramento della povertà, della malnutrizione, della fame e della morte”.
L’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari (OCHA) stima che dal 6 ottobre 2024 siano state sfollate dalle aree più settentrionali di Gaza a Gaza City dalle 100.000 alle 130.000 persone.
Secondo l’OCHA, circa 75.000 persone sono rimaste nelle aree completamente assediate del nord di Gaza e sono ora deliberatamente tagliate fuori dai beni di prima necessità.
All’inizio di questo mese, Itzik Cohen, un generale di brigata israeliano, ha dichiarato ai giornalisti che “non c’è alcuna intenzione di permettere ai residenti della Striscia di Gaza settentrionale di tornare alle loro case”.
Cohen ha affermato che gli aiuti umanitari saranno ammessi nel sud di Gaza ma non nel nord, poiché “non ci sono più civili”.
L’esercito israeliano ha poi ritrattato l’affermazione, dicendo che la dichiarazione di Cohen “non è corretta e non riflette gli obiettivi e i valori [dell’esercito]”.
Ma l’affermazione dell’esercito – probabilmente volta a placare gli alleati di Israele e a nascondere il suo intento genocida – è smentita dalle sue azioni sul campo.
Nelle aree settentrionali di Gaza, “i droni si sono librati in volo trasmettendo ordini di evacuazione, che sono stati trasmessi anche sui social media, con messaggi audio e di testo inviati ai telefoni dei residenti”, ha riferito Reuters il 7 novembre.
“Dopo aver sfollato la maggior parte o tutta la popolazione di Jabaliya, ora stanno bombardando ovunque, uccidendo le persone sulle strade e all’interno delle loro case per costringere tutti ad andarsene”, ha dichiarato all’agenzia un uomo di nome Ahmed.
Assedio, fame e sterminio
I gruppi per i diritti umani hanno avvertito che Israele sta attuando il cosiddetto “Piano dei Generali”, volto a spopolare il nord di Gaza attraverso l’assedio, la fame e lo sterminio.
Secondo questo schema, chiunque rimanga dopo l’ordine di andarsene verrebbe trattato come un combattente – trasformando di fatto il nord di Gaza in una zona di sterminio.
L’obiettivo finale della campagna sembra essere l’annessione del territorio e la ricostruzione di insediamenti israeliani – gravi violazioni della Quarta Convenzione di Ginevra.
I giornalisti israeliani che hanno recentemente visitato il nord di Gaza con i militari hanno osservato che i coloni si stanno già accampando lungo la periferia del nord.
“Anche dopo aver percorso poche centinaia di metri all’interno della Striscia, è facile capire che gli attivisti lì accampati sono più vicini alla realizzazione della loro visione di quanto l’opinione pubblica pensi”, hanno detto i giornalisti.
Israele sta anche sgomberando le infrastrutture che dividono Gaza in due e sta “pavimentando ampie arterie stradali progettate per consentire un movimento più sicuro e più facile per le forze nell’area”, hanno aggiunto i giornalisti. Le attività militari “sono la prova di un tentativo di stabilire fatti sul terreno per il lungo termine”.
Hanno osservato che il reinsediamento di Gaza è “l’unica cosa nella guerra che interessa il Sionismo Religioso e il Potere ebraico“, i due partiti alleati con il Likud del premier israeliano Benjamin Netanyahu, “anche al prezzo della vita degli ostaggi” ancora detenuti nel territorio.
Secondo un altro rapporto pubblicato da Haaretz mercoledì, fonti della difesa di alto livello hanno affermato che l’esercito “è attualmente incaricato di svuotare villaggi e città dai loro residenti” nel nord di Gaza.
“Dalle conversazioni con i comandanti sul campo e con i soldati, nonché da un giro nella zona di combattimento, sembra che l’esercito israeliano stia sistematicamente radendo al suolo le strutture ancora in piedi”, ha aggiunto Haaretz.
Un comandante di alto livello ha dichiarato al giornale che negli ultimi mesi “l’unica cosa che viene chiesta alle forze armate nell’area è di spostare la popolazione verso sud”.
Un ufficiale che combatte a Gaza ha dichiarato ad Haaretz che la situazione sul campo indica che l’esercito israeliano “non lascerà Gaza prima del 2026”. L’ufficiale ha aggiunto: “Quando si vedono le strade asfaltate qui, è chiaro che non sono destinate alle manovre di terra o alle incursioni delle truppe in vari luoghi”.
“Queste strade portano, tra l’altro, ai luoghi da cui sono stati rimossi alcuni insediamenti”, ha detto l’ufficiale, riferendosi alle colonie che Israele aveva costruito prima del suo nominale “disimpegno” da Gaza nel 2005.
“Non so se c’è l’intenzione di ricostruirli, non è una cosa che ci viene detta esplicitamente. Ma tutti capiscono dove si va a parare”.
I palestinesi del nord di Gaza, che hanno sopportato più di un anno di genocidio, compresa la fame come arma di guerra, non sono disposti ad accettare questo piano di espulsione di massa, sterminio e annientamento.
A Gaza non c’è sicurezza da nessuna parte e alcuni palestinesi dicono di scegliere la morte piuttosto che una vita di umiliazioni e continui spostamenti.
Molti di coloro che hanno lasciato il distretto settentrionale lo hanno fatto solo dopo che le truppe hanno costretto le persone a uscire dai rifugi sotto la minaccia delle armi e le hanno fatte “marciare verso sud (dopo che gli uomini sono stati separati e portati via per essere interrogati o arrestati)”, come ha sottolineato Idan Landau nella pubblicazione israeliana +972 Magazine.
Nel frattempo, Israele ha distrutto case e infrastrutture su vasta scala nel distretto settentrionale di Gaza. Sulla base della lunga storia di Israele di svuotare con la forza i centri abitati palestinesi e distruggere le infrastrutture per impedire il ritorno dei residenti, questo sembra essere lo scopo anche nel nord di Gaza.
Ospedali sotto assedio
La Difesa Civile Palestinese è forzatamente fuori servizio nel nord di Gaza “e riferisce che le persone che sopravvivono ai bombardamenti e agli attacchi spesso muoiono di fame, in una situazione di grave carenza di cibo”, secondo l‘OCHA.
“Molte persone nell’area sono rimaste intrappolate sotto le macerie per giorni, senza essere evacuate”, ha aggiunto l’OCHA, citando la protezione civile.
Durante l’offensiva in corso nel nord di Gaza, Israele ha attaccato i tre ospedali rimasti parzialmente funzionanti nell’area: l’ospedale Al-Awda, l’Ospedale Indonesiano e il Kamal Adwan.
Il 5 novembre, Adele Khodr, direttrice regionale dell’UNICEF, ha dichiarato che il reparto di terapia intensiva neonatale di Kamal Adwan è stato “danneggiato da pesanti attacchi negli ultimi giorni”, che hanno causato morti e feriti tra i bambini.
“Ogni neonato che lotta per continuare a respirare all’interno di un’incubatrice ospedaliera è del tutto indifeso e dipende completamente da cure mediche e attrezzature specialistiche per sopravvivere”, ha dichiarato Khodr.
Ha aggiunto che, secondo le stime, 4.000 bambini di Gaza “sono stati privati di cure neonatali salvavita nell’ultimo anno, a causa dei continui attacchi agli ospedali che cercavano seriamente di tenerli in vita”.
Dall’ottobre dello scorso anno, tre delle otto unità di terapia intensiva neonatale di Gaza sono state completamente distrutte, tutte nel nord. Attualmente, ci sono solo 54 incubatrici in tutta Gaza.
Nell’area settentrionale, “il numero di incubatrici è sceso da 105 nelle tre unità di terapia intensiva neonatale a solo 9, tutte all’ospedale Kamal Adwan”.
“Neonati vulnerabili e bambini malati e feriti che necessitano di cure intensive muoiono nelle tende, nelle incubatrici e tra le braccia dei loro genitori”, ha detto Khodr. “Il fatto che questo non abbia galvanizzato abbastanza la volontà politica di porre fine alla guerra rappresenta una crisi fondamentale della nostra umanità”, ha aggiunto Khodr.
L’ospedale di Kamal Adwan è stato colpito più volte tra il 31 ottobre e il 3 novembre, distruggendo forniture appena consegnate e danneggiando i serbatoi d’acqua. Un attacco ha ferito diversi bambini, uno dei quali in modo grave.
Il 4 novembre, il ministero della Sanità palestinese a Gaza ha dichiarato che le forze israeliane stavano bombardando l’ospedale Kamal Adwan, ferendo il personale e i pazienti.
“Il personale medico non può spostarsi tra i reparti dell’ospedale e non può soccorrere i colleghi feriti. Sembra che sia stata presa la decisione di giustiziare tutto il personale che si è rifiutato di evacuare l’ospedale”, ha dichiarato il ministero.
Mohammed Obeid, un chirurgo ortopedico di Medici Senza Frontiere che si era rifugiato e lavorava presso l’ospedale di Kamal Adwan, è stato arrestato dalle forze israeliane, insieme a diversi altri membri dello staff, durante un raid nella struttura il 26 ottobre.
Kamal Adwan “è stato ridotto da un ospedale che assisteva centinaia di pazienti con decine di operatori sanitari a un guscio di se stesso”, ha dichiarato il 1° novembre Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS).
Dall’inizio dell’attuale offensiva di terra, sei dipendenti dell’ospedale di Al-Awda “sono stati feriti in attacchi che hanno colpito la struttura, uno dei quali ha perso un arto, e tutte le ambulanze sono state messe fuori servizio”, ha aggiunto l’OMS.
Martedì, OCHA ha dichiarato che “gli ospedali nel nord di Gaza… funzionano a malapena, con il minimo indispensabile di capacità e risorse”.
L’accesso agli ospedali “rimane fortemente limitato”, ha aggiunto l’ufficio delle Nazioni Unite.
“A causa della critica carenza di carburante, l’ospedale di Al-Awda è stato costretto a far funzionare i suoi generatori solo tre ore al giorno, interrompendo interventi chirurgici salvavita e altri servizi sanitari”.
Gli ospedali di Al-Awda, Kamal Adwan e Indonesian sono stati tutti “assediati e razziati dalle truppe israeliane circa 10 mesi fa”, come ha osservato l’agenzia di stampa AP.
Almeno 10 ospedali sono stati assediati e razziati in tutta Gaza nell’ultimo anno. Le forze israeliane hanno apertamente preso di mira le strutture sanitarie “con un’intensità e un’esagerazione raramente viste nella guerra moderna”, ha dichiarato l’AP.
Un’indagine di AP, durata mesi, sulle incursioni nelle tre strutture attualmente sotto tiro nel nord del paese, ha confermato ciò che gli operatori sanitari hanno sempre detto.
“Secondo AP, Israele ha presentato poche o addirittura nessuna prova di una presenza significativa di Hamas in questi casi.
Una commissione d’inchiesta indipendente delle Nazioni Unite ha stabilito che “Israele ha attuato una politica concertata per distruggere il sistema sanitario di Gaza”.
“Le forze di sicurezza israeliane hanno deliberatamente ucciso, ferito, arrestato, detenuto, maltrattato e torturato il personale medico e preso di mira i veicoli medici”, ha aggiunto la commissione. Queste azioni costituiscono “i crimini di guerra di uccisione e maltrattamento intenzionale e il crimine contro l’umanità di sterminio”.
La commissione ha affermato che “queste azioni sono state intraprese come punizione collettiva contro i palestinesi di Gaza e fanno parte dell’attacco israeliano in corso contro il popolo palestinese, iniziato il 7 ottobre [2023]”.
Non avendo incontrato conseguenze significative per la distruzione del settore sanitario di Gaza, Israele sta ora facendo lo stesso in Libano.
Durante l’offensiva in Libano, iniziata il 23 settembre, “gli attacchi israeliani hanno danneggiato 34 ospedali, ucciso 111 tecnici sanitari di emergenza e colpito 107 ambulanze, secondo i dati compilati dal ministero della Sanità libanese”, ha riferito la CNN il 2 novembre.
“Gli attacchi israeliani hanno ucciso otto persone all’interno dei locali di quattro ospedali e otto strutture sono state costrette a chiudere, secondo il ministero della Sanità”.
Un’analisi della CNN ha rilevato che l’esercito israeliano ha sganciato bombe a “distanza letale” da almeno 19 ospedali in Libano, tra cui 10 strutture nella periferia meridionale di Beirut.
Firass Abiad, ministro della Sanità libanese, ha dichiarato alla CNN che “è chiaro che si tratta di un atto premeditato, di una politica di stato che Israele sta seguendo, sia a Gaza che in Libano”.
L’attacco agli ospedali libanesi non è l’unico parallelo con le azioni di Israele a Gaza. Anche in Libano Israele ha costretto a sfollare in massa e ha operato una distruzione selvaggia di civili e strutture civili. Gli attacchi di Israele mirano a creare una nuova realtà fisica e sociale sul terreno.
Nel novembre dello scorso anno, Yoav Gallant, all’epoca ministro della Difesa israeliano, ha dichiarato che “i cittadini del Libano” avrebbero pagato il prezzo di qualsiasi attacco di Hizballah contro Israele.
“Quello che stiamo facendo a Gaza, lo sappiamo fare a Beirut”, ha detto.
Per quasi due mesi, Israele ha martellato il Libano, sfollando 1,2 milioni di persone dalle loro case e spazzando via interi villaggi nel sud e sempre più spesso anche in altre aree del paese.
Secondo la Reuters, che ha citato il ministero della Sanità libanese, dall’ottobre 2023 quasi 3.300 persone sono rimaste uccise negli attacchi israeliani contro il Libano. La maggior parte di questi decessi si è verificata nelle ultime sette settimane.
“Crisi della sicurezza alimentare” in Libano
La situazione per le persone sia in Libano che a Gaza sta andando di male in peggio.
In Libano, “l’insicurezza alimentare è destinata a peggiorare in modo significativo a causa dell’intensificarsi del conflitto e delle tensioni economiche, ponendo il Libano nella lista dei punti caldi di massima preoccupazione”, secondo l’OCHA, che cita un recente rapporto dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura e del Programma Alimentare Mondiale.
Da aprile a settembre di quest’anno, quasi un quarto della popolazione libanese “ha dovuto affrontare alti livelli di insicurezza alimentare”.
L’OCHA ha aggiunto che “il conflitto in corso sta aggravando la crisi economica del Libano, e il Programma Alimentare Mondiale ha riferito di una potenziale contrazione della prodotto interno lordo (PIL) fino al 15,6%”.
Il turismo e l’agricoltura sono stati duramente colpiti. I combattimenti stanno esacerbando “una già grave crisi di sicurezza alimentare a livello nazionale”, con quasi 2.000 ettari di terreni agricoli nel sud danneggiati o non raccolti “a causa del conflitto in corso”.
Alla fine di ottobre, i legislatori israeliani hanno approvato due leggi che vietano di fatto all’UNRWA, l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi, di operare in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza.
Con la soppressione dell’UNRWA che funge da spina dorsale dell’operazione umanitaria a Gaza, la decisione israeliana è “un nuovo modo… di uccidere i bambini”, come ha detto il portavoce dell’UNICEF.
La complicità degli Stati Uniti nella fame deliberata
Le speranze che gli Stati Uniti possano effettivamente negare l’assistenza a Israele se non permette l’ingresso di ulteriori aiuti a Gaza si sono infrante martedì.
L’amministrazione Biden ha dichiarato che non ci saranno cambiamenti sostanziali nella politica verso Israele al termine di un periodo di 30 giorni in cui i segretari di Stato e della Difesa hanno chiesto a Israele di attuare diverse misure per garantire un aumento dell’assistenza umanitaria a Gaza per evitare di far scattare le leggi statunitensi che sospenderebbero gli aiuti militari.
Vedant Patel, vice portavoce del Dipartimento di Stato americano, ha dichiarato che Israele ha fatto “alcuni passi” per migliorare la situazione, ma ha riconosciuto che “continua ad esserci una crisi”.
Diverse organizzazioni umanitarie hanno affermato che Israele non ha soddisfatto tali richieste “con un enorme costo umano per i civili palestinesi di Gaza”, ha dichiarato martedì Oxfam, uno dei gruppi.
In un rapporto pubblicato lunedì, l’OCHA ha dichiarato che Israele ha fortemente limitato l’accesso umanitario nel nord di Gaza.
Ma il sud non sta molto meglio.
L’accesso umanitario rimane “fortemente limitato a causa dell’insicurezza, delle limitate facilitazioni da parte delle forze israeliane e dei saccheggi organizzati e armati alimentati dalla rottura dell’ordine pubblico e della sicurezza”, ha aggiunto l’ufficio ONU.
Su quest’ultimo punto, l’Euro-Med Human Rights Monitor ha recentemente osservato che Israele “spesso dà copertura a bande armate e a ladri per sequestrare una parte significativa degli aiuti dai camion nelle aree controllate da Israele, impedendo loro di raggiungere le loro destinazioni” – un fenomeno riportato anche da Haaretz.
Il 4 novembre il Dipartimento di Stato ha ammesso che Israele non aveva preso misure sufficienti per aumentare gli aiuti a Gaza, come richiesto da Washington a metà ottobre.
In quell’occasione, il portavoce del Dipartimento di Stato Matthew MIller non ha voluto dire quali ripercussioni avrebbe avuto Israele se la scadenza fosse passata senza che i requisiti di Washington fossero stati soddisfatti, dicendo solo che “seguiremo la legge”.
Ma finora gli Stati Uniti non hanno interferito con la campagna genocida di Israele a Gaza, in violazione delle leggi nazionali e internazionali.
A maggio, Antony Blinken, segretario di Stato americano, ha dichiarato al Congresso che “al momento non riteniamo che il governo israeliano stia vietando o limitando in altro modo il trasporto o la consegna di assistenza umanitaria statunitense”.
Ma prima di consegnare tale valutazione al Congresso, due agenzie governative statunitensi hanno comunicato all’amministrazione Biden che Israele aveva deliberatamente bloccato le consegne di aiuti umanitari.
La legge statunitense vieta gli aiuti militari agli stati che bloccano la fornitura di assistenza umanitaria.
Un rapporto di ProPublica rivela anche che a marzo Jack Lew, ambasciatore degli Stati Uniti in Israele, “ha inviato a Blinken un cablogramma in cui sosteneva che il gabinetto di guerra di Israele… dovrebbe essere ritenuto affidabile nel facilitare le spedizioni di aiuti ai palestinesi”.
Ma a Lew “sono stati riferiti ripetutamente casi in cui gli israeliani hanno bloccato l’assistenza umanitaria, secondo quattro funzionari statunitensi che hanno familiarità con le operazioni dell’ambasciata”.
“Nessun’altra nazione ha mai fornito così tanta assistenza umanitaria ai propri nemici”, ha detto Lew ai suoi subordinati.
I diplomatici di più alto rango hanno giustificato la “politica di Biden di continuare a inondare Israele di armi nonostante le obiezioni dei loro stessi esperti”, come afferma ProPublica.
“Questo rende gli Stati Uniti complici del genocidio e della fame, niente di meno che questo”, ha dichiarato alla BBC questa settimana Michael Fakhri, relatore speciale delle Nazioni Unite sul diritto al cibo.
Fakhri ha chiesto un embargo sulle armi e sanzioni contro Israele. “Non possiamo continuare a negoziare la nostra via d’uscita dal genocidio, dobbiamo porvi fine immediatamente”, ha dichiarato.
Traduzione a cura di AssoPacePalestina
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