di Patrick Wintour,
The Guardian, 3 ottobre 2024.
L’escalation del conflitto mediorientale potrebbe creare un pericoloso vuoto – o un’opportunità – per diversi Stati.
La coincidenza tra la riunione d’emergenza a Doha dei ministri degli Esteri del Golfo e la visita nella stessa città del presidente iraniano, Masoud Pezeshkian, per i colloqui con l’emiro del Qatar, solleva interrogativi su come gli Stati del Golfo reagiranno se Israele porterà avanti il suo piano di utilizzare i recenti successi militari non solo per indebolire l’Iran, ma anche per riordinare tutto il Medio Oriente.
Questa coalizione sunnita dei sei monarchi del Golfo non è naturalmente ben disposta verso l’Iran o i suoi proxy sciiti e nel 2016 ha etichettato Hezbollah come organizzazione terroristica. Ma gli Stati del Golfo si oppongono anche a un’ulteriore escalation israeliana e ritengono che, in ultima analisi, solo Washington abbia i mezzi per frenare il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu.
Insistono sul fatto che la creazione di uno stato palestinese indipendente sia l’unica strada per la stabilità, l’integrazione e la prosperità della regione.
“La creazione di uno stato palestinese è un prerequisito per la pace, piuttosto che un suo sottoprodotto”, ha scritto il ministro degli Esteri saudita, il principe Faisal bin Farhan, sul Financial Times di mercoledì, senza fare alcun riferimento al conflitto israelo-iraniano, o alla probabilità che Joe Biden, al crepuscolo della sua presidenza e a un mese dalle elezioni, faccia davvero pressione su Israele.
La realtà è che i leader degli Stati del Golfo, nonostante il sostegno popolare dei loro paesi alla causa palestinese, è improbabile che cambino la loro consolidata strategia collettiva di non fornire ai palestinesi nient’altro che aiuti umanitari e sostegno politico.
La situazione può cambiare rapidamente, ma al momento gli stati del Golfo si trovano di fronte alla prospettiva di un Israele in ripresa, determinato a uscire dallo stallo di Gaza distruggendo la leadership militare di Hezbollah e rendendo l’Iran così debole da non poter mai più sparare i suoi colpi contro Israele.
Le notizie secondo cui Israele sta considerando di colpire le installazioni petrolifere iraniane, per non parlare dei suoi siti nucleari, innervosiranno il Consiglio di Cooperazione del Golfo (GCC). Un diplomatico arabo, non amico dell’Iran, ha detto di temere per le implicazioni morali di una “vittoria totale” israeliana. Lascerebbe in eredità al Medio Oriente una triste lezione: che la “giustizia” può essere ottenuta attraverso la guerra totale.
La tesi del GCC, presieduto dallo sceicco Mohammed bin Abdulrahman bin Jassim Al Thani, primo ministro del Qatar, rimane quella secondo cui un cessate il fuoco tra Hamas e Israele è la soluzione alla crisi. Ma l’uccisione da parte di Israele dell’interlocutore chiave del Qatar, il membro dell’ufficio politico di Hamas Ismail Haniyeh, è stato un duro colpo per le speranze di Doha di raggiungere questo obiettivo.
Allo stesso modo, sul secondo fronte – il Libano – gli stati del GCC, tra cui Kuwait, Oman, Arabia Saudita, Qatar ed Emirati Arabi Uniti, hanno già esortato Israele a rispettare la sovranità del paese e ad accettare un cessate il fuoco. Ma allo stesso tempo nessuno ha approvato l’attacco dell’Iran a Israele.
Se la risalita di Israele continua, il Golfo e gli Stati arabi potrebbero trovarsi di fronte a un dilemma. Da un lato, l’indebolimento a lungo termine dell’influenza iraniana potrebbe creare un vuoto indesiderato e destabilizzante, in cui solo il Muro di Ferro israeliano domina nella regione [Il teorico sionista Jabotinsky auspicava che Israele si chiudesse entro un ‘Iron Wall’, NdT]. D’altra parte, potrebbe invece rappresentare un’opportunità per gli stati della regione di sfruttare la debolezza dell’Iran e respingere i gruppi non statali sostenuti dall’Iran.
Molti stati regionali hanno motivo di volere che Teheran si riduca. Un Iran indebolito potrebbe dare maggiore spazio al presidente iracheno, Mohammed Shia al-Sudani, per tenere a freno le fazioni sostenute dall’Iran. Il presidente siriano, Bashar al-Assad, vistosamente silenzioso sul conflitto nonostante il sostegno che Hezbollah gli ha mostrato, potrebbe recuperare influenza in Libano.
L’opposizione in Giordania è rappresentata dal Fronte d’Azione Islamica, una propaggine dei Fratelli Musulmani che ha ottenuto il suo massimo successo nelle recenti elezioni parlamentari, prendendo il 28% dei voti e diventando il primo partito singolo del paese. La Giordania ha sporadicamente accusato l’Iran di aver cercato di fomentare gruppi ostili al governo.
Il Bahrein, che ha normalizzato le relazioni con Israele nel 2020 insieme agli Emirati Arabi Uniti, deve respingere regolarmente manifestazioni filo-palestinesi. La TV filo-iraniana LuaLua sostiene che ci sono state manifestazioni sciite in segno di lutto per la morte di Hassan Nasrallah.
Il Kuwait è impegnato in una lunga competizione con l’Iran per estrarre gas da un giacimento di gas naturale offshore conteso.
Ma la relazione critica per la regione è quella tra Iran e Arabia Saudita, una relazione che è stata messa su una base migliore grazie alla tabella di marcia per una de-escalation del dissidio concordata nel 2023 tra i due paesi grazie alla mediazione della Cina.
L’Arabia Saudita ha ospitato il presidente iraniano per la prima volta in 11 anni e ha permesso ai pellegrini iraniani di recarsi nelle città sante della Mecca e di Medina. Riyadh ha ristabilito le relazioni con la Siria sostenuta dall’Iran e spera di essersi assicurato il sostegno iraniano per impedire agli Houthi dello Yemen di lanciare missili sulla confinante Arabia Saudita.
Riyadh ha anche ribadito innumerevoli volte agli Stati Uniti e in pubblico che semplicemente non è interessata alla normalizzazione con Israele, finché non sia approvato un percorso credibile verso una soluzione a due stati. Il discorso di Netanyahu all’ONU della scorsa settimana, che esortava l’Arabia Saudita a seguire gli Emirati Arabi Uniti nella normalizzazione delle relazioni con Israele, semplicemente non teneva conto di questo, né dell’ostacolo che lui personalmente rappresenta a un tale accordo.
In un documento appena pubblicato dall’European Council on Foreign Relations, gli autori sostengono che le relazioni tra Arabia Saudita e Iran sono fondamentali per mantenere la pace.
“Un approccio a somma zero che cerchi di escludere completamente Teheran dall’architettura di sicurezza nella Regione”, scrivono, “non godrà del sostegno regionale e alla fine sarà controproducente”.
Traduzione a cura di AssoPacePalestina
Non sempre AssoPacePalestina condivide gli articoli che pubblichiamo, ma pensiamo che opinioni anche diverse possano essere utili per capire.