di Peter Oborne e Lubna Masarwa,
Middle East Eye, 19 luglio 2024,
I leader occidentali non possono più fingere di ignorare ciò che sta realmente accadendo sul terreno nella Palestina occupata.

Sono passati cinquantasette anni da quando le forze israeliane hanno invaso Gerusalemme Est e la Cisgiordania durante la guerra arabo-israeliana del 1967, nota in Israele come Guerra dei Sei Giorni.
Da allora queste aree sono rimaste sotto l’occupazione militare israeliana. Un’occupazione sicuramente brutale.
Ma all’inizio era un’occupazione legale, secondo la lettera del diritto internazionale, che stabilisce i doveri e le responsabilità che una potenza occupante deve mantenere nel territorio sotto il suo controllo durante un conflitto armato.
Certamente, molte delle azioni condotte dal governo israeliano, soprattutto il trasferimento di 700.000 coloni nei territori occupati, sono ampiamente considerate in diretta violazione del diritto internazionale.
L’importante parere consultivo di venerdì 19 della Corte Internazionale di Giustizia (ICJ) dell’Aia, la massima corte delle Nazioni Unite, cambia tutto.
Il tribunale ha stabilito che l’intera occupazione è illegale e che la politica di insediamento di Israele viola la Convenzione di Ginevra, che stabilisce che “la Potenza Occupante non deve deportare o trasferire parti della propria popolazione civile nel territorio che occupa”.
Ha inoltre rilevato che le politiche e le pratiche di Israele nei Territori Palestinesi occupati equivalgono all’annessione di ampie parti di questi territori e che Israele discrimina sistematicamente i palestinesi che vi abitano.
Il tribunale sostiene inoltre che le pratiche e le politiche di Israele violano il diritto dei palestinesi all’autodeterminazione.
Il presidente dell’ICJ Nawaf Salam non ha usato mezzi termini, affermando che: “Il continuo abuso da parte di Israele della sua posizione di potenza occupante attraverso l’annessione e l’affermazione di un controllo permanente sui territori palestinesi occupati e la continua frustrazione del diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione viola i principi fondamentali del diritto internazionale e rende illegale la presenza di Israele nei Territori Palestinesi occupati”.
D’ora in poi, non è solo la condotta di Israele nell’occupazione a dover essere considerata illegale. Anche l’occupazione stessa, secondo i giudici della ICJ, è illegale.
Va precisato che questo caso della ICJ è completamente separato dall’altro procedimento che riguarda Israele e che è in corso presso la Corte: la denuncia del Sudafrica secondo cui Israele sta commettendo un genocidio a Gaza, che la Corte ha già giudicato “plausibile”.
Il parere di venerdì 19 è una risposta a una richiesta dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, depositata nel dicembre 2022 e sostenuta da 87 paesi (ma osteggiata da Stati Uniti, Regno Unito, Germania e Israele, tra gli altri).
L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha chiesto alla Corte se l’occupazione militare di Israele debba ancora essere considerata temporanea (e quindi legale) nonostante il fatto che persiste da oltre mezzo secolo.
I documenti presentati all’udienza hanno chiesto alla Corte Internazionale di Giustizia di tenere conto della massiccia espansione degli insediamenti e di molte dichiarazioni di politici israeliani, tra cui il primo ministro Benjamin Netanyahu, che escludono categoricamente uno stato palestinese e descrivono la Cisgiordania come parte di un grande Israele.
La Corte è d’accordo con quei documenti e ritiene che Israele abbia condotto un’occupazione permanente in Cisgiordania. Ha accettato che Israele ha, di fatto, annesso la Cisgiordania.
Conseguenze profonde
Va sottolineato che la Corte Internazionale di Giustizia non ha emesso nulla di più che un parere non vincolante che di per sé non impone a Israele alcun obbligo di ritirarsi dalla Cisgiordania.
Ma le conseguenze sono profonde. Per decenni i governi israeliani che si sono succeduti hanno abusato della legalità tecnica dell’occupazione per espandere la morsa dello stato israeliano, rubando terre ai palestinesi e costruendo insediamenti illegali per i cittadini israeliani.
Per citare la disperata dichiarazione di Riyad al-Maliki, Ministro degli Esteri palestinese, presentata alla Corte lo scorso febbraio, Israele “fin dal primo giorno della sua occupazione, ha iniziato a colonizzare e annettere la terra con l’obiettivo di rendere la sua occupazione irreversibile. Ci ha lasciato solo un insieme di bantustan scollegati”.
Il verdetto della Corte Internazionale di Giustizia è importante perché elimina le ambiguità legali e gli ingegnosi sotterfugi burocratici che hanno permesso l’occupazione israeliana.

E arriva proprio nel momento in cui, all’ombra della guerra di Gaza, Israele ha comunque portato avanti il completamento dell’annessione de facto della Cisgiordania, abbandonando la pretesa che l’area sia sotto occupazione militare temporanea.
Questa politica ha ricevuto un’approvazione clamorosa nelle prime ore di giovedì 18, quando il parlamento israeliano, la Knesset, ha votato per respingere completamente la possibilità di uno stato palestinese.
Con 68 membri della Knesset che hanno votato a favore e solo 9 contrari, la risoluzione ha goduto del sostegno del partito Likud di Netanyahu e dei suoi alleati di coalizione di estrema destra, il partito del Sionismo Religioso di Bezalel Smotrich e il Potere Ebraico di Itamar Ben Gvir.
Ma è stata sostenuta anche da Benny Gantz, leader del partito di Unità Nazionale, apparentemente centrista, e uomo spesso caratterizzato dai politici occidentali come un’influenza moderata all’interno della politica israeliana.
Il significato del voto della Knesset è epocale.
Insieme al crollo dell’idea di uno stato palestinese va in scena il crollo della cosiddetta “soluzione a due stati”, la formula trita e ritrita ancora amata da molti politici occidentali, anche se la realtà sul campo l’ha resa sempre più impraticabile.
Uno stato
D’ora in poi non si potrà più discutere sul fatto che Israele abbia intrapreso un percorso verso un obiettivo che ha oscurato o negato per mezzo secolo dal 1967: la soluzione di un solo stato.
Naturalmente, un’idea di tale risultato potrebbe essere la soluzione di uno stato unico, nel senso di un unico paese aperto a tutti i suoi cittadini con uguali diritti e libertà per tutti.
Ma l’attuale leadership politica israeliana non ha intenzione di farlo. Vogliono un etnostato ebraico in cui ai palestinesi siano negati i diritti sociali ed economici.
C’è una parola per questo: apartheid. Organizzazioni per i diritti umani come Amnesty International, Human Rights Watch, l’israeliana B’Tselem e Al-Haq con sede in Cisgiordania, hanno già applicato questo termine a Israele.
Ma i leader occidentali si sono rifiutati di seguire l’esempio. È difficile capire come possano evitare di affrontare questa realtà alla luce del parere della ICJ e del voto della Knesset.
Nel caso del Sudafrica, la condanna internazionale portò a sanzioni e restrizioni ai viaggi che lasciarono il paese isolato e portarono poi alla liberazione di Nelson Mandela e alla fine del sistema di apartheid.
Ecco perché il parere della Corte Internazionale di Giustizia pone un problema gigantesco ai leader occidentali che sostengono Israele.
Questo li lascia esposti a domande su tale sostegno, in un momento in cui il parlamento israeliano ha rifiutato l’esistenza di uno stato palestinese a qualsiasi condizione e la più alta corte del mondo ha accusato il paese di annessione illegale della Cisgiordania.
A Londra e a Washington, in particolare, lascia i governi vulnerabili a ulteriori sfide sulla legalità e la moralità di continuare a fornire armi impiegate quotidianamente con effetti mortali contro i palestinesi a Gaza e in Cisgiordania.
Con le loro azioni, il governo di Israele, e ora il suo parlamento, hanno dimostrato apertamente la loro sfida all’ordine internazionale basato sulle regole.
Ma ora il parere della Corte Internazionale di Giustizia non lascia ai leader occidentali alcuna scusa per dubitare di questo fatto.
Traduzione a cura di AssoPacePalestina
Non sempre AssoPacePalestina condivide gli articoli che pubblichiamo, ma pensiamo che opinioni anche diverse possano essere utili per capire.
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