I profughi arabi palestinesi: un nuovo problema di giustizia internazionale per Israele?

Mar 13, 2023 | Notizie

di John Bernard Quigley,

10 marzo 2023

Premessa

Nel dicembre 1965, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato la Convenzione internazionale sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale, che è entrata in vigore il 4 gennaio 1969. Per monitorare l’attuazione della Convenzione da parte dei 178 Stati che l’hanno ratificata., è stato istituito il Comitato sull’Eliminazione della Discriminazione Razziale (CERD) delle Nazioni Unite, un organo composto da esperti indipendenti.

Tutti gli Stati contraenti sono tenuti a presentare al Comitato rapporti periodici sulle modalità di attuazione dei diritti nel proprio Stato. Il Comitato esamina ogni rapporto e inoltra le sue preoccupazioni e raccomandazioni a ciascuno Stato. Oltre alla procedura di rendicontazione, la Convenzione stabilisce altri meccanismi attraverso i quali il CERD svolge le sue funzioni di monitoraggio, tra cui la “procedura di allerta preliminare” nei confronti di Stati che mostrano chiari segni di inadempienza.

Uno degli esperti del CERD, il Prof. John Bernard Quigley, Ohio State University, ha pubblicato uno studio giuridico in base al quale “Il divieto di ritorno degli arabi palestinesi in Israele è un crimine contro l’umanità.” Lo stesso Prof. Quigley si sta ora adoperando affinché il CERD intraprenda una procedura di allerta preliminare nei confronti di Israele, ciò che potrebbe portare a una denuncia presso la Corte Penale Internazionale.

Riportiamo qui il breve Sommario dello studio giuridico del Prof. Quigley, e il testo della sua richiesta al CERD affinché il Comitato intraprenda la procedura di allerta preliminare nei confronti di Israele.

Sommario

Una popolazione di profughi arabi palestinesi, che conta oltre sette milioni di persone, è dispersa in tutto il mondo, con concentrazioni principali in Libano, Giordania, Siria e nella stessa Palestina. A questa popolazione è vietato l’ingresso in Israele per riprendere residenza nelle aree di origine. Nel diritto internazionale, il diritto al ritorno nel proprio Paese è garantito come un diritto fondamentale. Una grave privazione di diritti definiti a livello internazionale, di cui è vittima una popolazione civile sulla base dell’etnia o della nazionalità, costituisce un crimine di persecuzione, una sottocategoria dei crimini contro l’umanità, perseguibile presso la Corte Penale Internazionale. Per quanto riguarda una parte importante dei profughi arabi di Palestina, esistono i prerequisiti giurisdizionali per l’apertura di un’indagine che potrebbe portare ad accuse contro i funzionari israeliani responsabili di aver negato il ritorno agli arabi di Palestina.

Richiesta del Prof. Quigley al CERD

Al: Comitato per l’Eliminazione della Discriminazione Razziale (CERD)

Da: John Quigley, Professore Emerito

Data: 20 febbraio 2023

OGGETTO: Richiesta di allerta preliminare.

È necessario inviare un’allerta preliminare a Israele per il suo rifiuto di rimpatriare gli arabi sfollati della Palestina perché, tra le altre ragioni, al Governo della Palestina è impedito, a partire da ieri, di chiedere un risarcimento per violazioni dei diritti umani.

Il Presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas, grazie alla mediazione del Segretario di Stato USA Antony Blinken, si è impegnato a non presentare nei prossimi 6 mesi azioni giudiziarie nei confronti di Israele. (Majdi Mohammed/AFP via Getty Images)

La necessità di un’azione da parte del Comitato per l’Eliminazione della Discriminazione Razziale (CERD) è pressante, perché non sono disponibili altri meccanismi internazionali. Gli Stati Uniti hanno esercitato pressioni sul Governo della Palestina affinché accettasse di rinunciare a ricorrere per un periodo di sei mesi alla Corte Penale Internazionale, alla Corte Internazionale di Giustizia o al Consiglio dei Diritti Umani. Gli Stati Uniti potrebbero fare pressione sul Governo della Palestina per estendere questo impedimento alla scadenza del periodo di sei mesi. L’impedimento potrebbe diventare permanente. Gli Stati Uniti infatti stanno cercando da diversi anni di impedire al Governo della Palestina di utilizzare le istituzioni che proteggono i diritti umani.

Per quanto riguarda la negazione del rimpatrio, questo recente accordo impedisce al Governo della Palestina di presentare al Procuratore della Corte Penale Internazionale una denuncia ai sensi dell’articolo 14 dello Statuto di Roma, in merito alla negazione del rimpatrio come crimine contro l’umanità. Il rifiuto del rimpatrio costituisce un crimine di persecuzione ai sensi dell’Articolo 7 dello Statuto di Roma. Sono necessari dei prerequisiti giurisdizionali perché Corte Penale Internazionale possa occuparsi del rifiuto di rimpatrio nei confronti degli arabi palestinesi che abitano in Giordania, Gaza e Cisgiordania. [Vedere lo studio di John Quigley: “Il divieto di ritorno degli arabi palestinesi in Israele come crimine contro l’umanità“].

Il recente accordo con Israele impedisce al Governo della Palestina di rivolgersi al Consiglio dei Diritti Umani per rifiuto di rimpatrio (o per qualsiasi altra cosa). E ciò avviene nonostante che il rifiuto di rimpatrio sia la principale violazione dei diritti umani nel conflitto arabo-israeliano.

Gli sforzi per effettuare il rimpatrio sono stati accolti da Israele con grande violenza. Sono state minacciate nuove espulsioni. Un’allerta preliminare sull’obbligo di permettere il rimpatrio potrebbe servire da deterrente. In qualità di principale istituzione internazionale con responsabilità specifica per le discriminazioni basate sulla razza o l’etnia, il Comitato CERD ha avuto un ruolo centrale su questo tema. Il rifiuto di Israele di rimpatriare coinvolge l’Articolo 5(d) (ii) “Diritto di lasciare qualsiasi Paese, compreso il proprio, e di ritornare nel proprio Paese”; (iii) Il “Diritto alla nazionalità”. Il CERD ha riconosciuto che Israele viola questi diritti. Nel 1987, ha dichiarato:

“Per quanto riguarda l’articolo 5 della Convenzione, i membri del Comitato desideravano sapere perché Israele non permettesse agli Arabi palestinesi che erano stati cacciati dalle loro terre di tornare e di ottenere lo stesso trattamento degli Ebrei per quanto riguarda il recupero delle loro terre, e se la politica del Governo fosse quella di garantire pari diritti ai Palestinesi per quanto riguarda i diritti di cui all’articolo 5”. [Rapporto del Comitato sulla Discriminazione Razziale, §593, Assemblea Generale delle Nazioni Unite, Atti ufficiali, 42esima sessione, Supplemento n. 18, UN Doc. A/42/18]

Nel 1998, il CERD ha dichiarato:

“Il diritto di molti palestinesi di ritornare e possedere le loro case in Israele è attualmente negato. Lo Stato Parte [di Israele] dovrebbe dare la massima priorità a porre rimedio a questa situazione. [Esame dei Rapporti presentati dagli Stati Parte ai sensi dell’Articolo 9 della Convenzione, Osservazioni conclusive del Comitato per l’Eliminazione della Discriminazione Razziale: Israele, 30 marzo 1998, §18, UN Doc. CERD/C/304/Add.45].

Nel 2007, il CERD ha dichiarato:

“Il Comitato è preoccupato per la negazione del diritto di molti palestinesi di ritornare e di riappropriarsi della propria terra in Israele [articolo 5 (d) (ii) e (v) della Convenzione]. Il Comitato ribadisce la sua opinione, espressa nelle sue precedenti osservazioni conclusive su questo tema, ed esorta lo Stato Parte a garantire l’uguaglianza quanto al diritto al ritorno nel proprio Paese e al possesso della proprietà. [Rapporto del Comitato per l’eliminazione della discriminazione razziale, 70a sessione (19 febbraio-9 marzo 2007) 71a sessione (30 luglio-17 agosto 2007), §211, Assemblea Generale delle Nazioni Unite, Atti ufficiali, 62a sessione, Supplemento n. 18, UN Doc. A/62/18]

Il silenzio del Comitato su questo tema dal 2007 in poi lascia l’impressione che la negazione del rimpatrio da parte di Israele non sia una questione prioritaria per il CERD. Da questo silenzio derivano due conseguenze assai dannose. Una è che l’esclusione degli arabi di Palestina venga vista come una questione che riguarda solo il passato. Un’altra è che la questione del rimpatrio venga vista come una questione da negoziare tra Palestina e Israele, e non come una questione in cui i diritti sono la considerazione centrale. Il procedimento di conciliazione in corso tra Palestina e Israele riguarda i Territori Occupati, quindi non la negazione del rimpatrio nelle aree di residenza in Israele.

La Commissione d’Inchiesta istituita dal Consiglio per i Diritti Umani nel 2021 sta esaminando le cause profonde della situazione a Gaza. Dato che un’alta percentuale della popolazione di Gaza è costituita da persone appartenenti alle famiglie degli sfollati del 1948, la questione del rifiuto di rimpatrio è all’ordine del giorno. La Commissione potrebbe trarre vantaggio da una nuova guida da parte del CERD, sia per affermare che il diniego è una violazione dei diritti, sia per i consigli che il Comitato potrebbe suggerire sulle modalità di attuazione. Il recente silenzio del Comitato sulla questione è tanto più stridente in quanto il tema è stato oggetto di grande attenzione da parte delle organizzazioni non governative per i diritti umani. [Amnesty International, 15 maggio 2019: Il rifiuto di Israele di concedere ai rifugiati palestinesi il diritto al ritorno ha alimentato sette decenni di sofferenza.]

Una serie di altri fattori dimostra la necessità di un’allerta preliminare. Israele non ha dato alcuna indicazione di voler rispettare l’ultimo appello dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, secondo cui l’Assemblea

nota con rammarico che il rimpatrio o l’indennizzo dei rifugiati, come previsto dal paragrafo 11 della Risoluzione 194 (III) dell’Assemblea Generale, non è stato ancora effettuato e che, pertanto, la situazione dei rifugiati palestinesi continua ad essere una questione di grave preoccupazione, oltre al fatto che i rifugiati palestinesi continuano a richiedere assistenza per soddisfare le loro esigenze di base in materia di salute, istruzione e vita [Assistenza ai rifugiati palestinesi, Ris. 77/123, 12 dicembre 2022].

La Knesset israeliana ha adottato una Legge Fondamentale su Israele come Stato-nazione del popolo ebraico, che nega, come questione di principio, l’appartenenza degli arabi al territorio dello Stato di Israele. Si legge infatti:

1. Stato di Israele: a) Israele è la patria storica del popolo ebraico, nella quale è stato istituito lo Stato di Israele. b) Lo Stato di Israele è lo Stato-nazione del popolo ebraico, che vi realizza il suo diritto naturale, religioso e storico all’autodeterminazione. c) L’attuazione del diritto all’autodeterminazione nazionale nello Stato di Israele vale unicamente per il popolo ebraico.

Applicata ai rifugiati arabi palestinesi, questa Legge Fondamentale significa che il Governo di Israele ritiene che essi non abbiano alcun diritto nel territorio di Israele.

Inoltre, il Governo israeliano in carica dal dicembre 2022 cerca di annettere la Cisgiordania. L’annessione potrebbe portare a ulteriori espulsioni ed eliminerebbe la possibilità di rimpatrio anche in quel settore della Palestina storica. Il progetto di risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU del 15 febbraio 2023 è una risposta a questa possibilità. Tale risoluzione “condanna tutti i tentativi di annessione, comprese le decisioni e le misure di Israele relative agli insediamenti, inclusi gli avamposti di insediamento e chiede la loro immediata cessazione”. Ora, a quanto pare, questa risoluzione non sarà presa in considerazione dal Consiglio di Sicurezza, in quanto gli Stati Uniti hanno ottenuto il sopracitato assenso forzato dal Governo della Palestina.

Nuove espulsioni di arabi sono state richieste dal Ministro della Sicurezza Nazionale, nominato di recente, che ha chiesto l’espulsione degli arabi ritenuti sleali nei confronti di Israele. Il 15 febbraio 2023, la Knesset ha adottato una legge per togliere la cittadinanza ad alcuni arabi che abitano in territorio israeliano e per togliere i diritti di residenza ad alcuni arabi che abitano a Gerusalemme Est.

In aggiunta, la Knesset sta valutando la riduzione dei poteri della Corte Suprema, riducendo così la possibilità che la Corte Suprema possa intervenire per impedire le espulsioni o per impedire l’annessione della Cisgiordania.

La negazione del rimpatrio è una violazione che continua dal 1948. A causa della concomitanza dei fattori sopra elencati, è urgente prenderla in considerazione senza attendere la prossima scadenza per presentare i rapporti degli Stati Parte.

Traduzione a cura di AssoPacePalestina

Non sempre AssoPacePalestina condivide gli articoli che pubblichiamo, ma pensiamo che opinioni anche diverse possano essere utili per capire.

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