La nonviolenza è rilevante per la lotta palestinese?

Mar 2, 2023 | Notizie, Riflessioni

di Nizar Milbes,  

Mondoweiss, 28 febbraio 2023.   

Invocare la nonviolenza non significa abbandonare il diritto all’autodifesa armata. Significa l’uso tattico di questi metodi, come ha fatto il movimento per i diritti civili.

Martin Luther King Jr e Malcolm X prima di una conferenza stampa. (immagine: Library of Congress, Marion S. Trikosko. Foto: Wikimedia Commons)

La lotta armata è tornata di recente in Palestina. Dall’inizio del 2022, i palestinesi in Cisgiordania si sono sempre più organizzati in gruppi armati, concentrati soprattutto a Nablus e Jenin, che hanno lanciato attacchi contro obiettivi israeliani (soprattutto militari). Mentre la lotta armata contro un’occupazione ingiusta è certamente un diritto legittimo, anche secondo il Diritto Internazionale, esistono altre forme di resistenza non violenta che i Palestinesi non hanno adottato in modo coerente e sistematico. I Palestinesi dovrebbero mettere alla prova queste forme di resistenza nella loro lotta per la liberazione.

Naturalmente, può sembrare una pretesa insensata dare lezioni ai Palestinesi proponendo che adottino la nonviolenza e abbandonino il loro legittimo diritto alla lotta armata. Non è questo l’obiettivo di questo articolo. Fare resistenza nonviolenta non significa abbandonare il diritto all’autodifesa armata. Significa fare delle scelte in base alle circostanze in cui ci si trova e in base alle possibili opzioni a disposizione.

Il Black History Month [Mese della Storia dei Neri celebrato negli USA in febbraio, NdT], che si è appena concluso, ci offre l’opportunità di riflettere sui contributi del movimento americano per i diritti civili nella lotta per la giustizia delle persone di colore in America. Non tutti i neri hanno scelto la via della nonviolenza e l’autodifesa armata è rimasta una componente importante del movimento per i diritti civili, una componente che era sempre sullo sfondo. Allo stesso tempo, azioni nonviolente come il boicottaggio degli autobus di Montgomery e la Marcia su Washington del 1963 hanno portato a una svolta storica come la Legge sui Diritti Civili, che rimane a tutt’oggi una vittoria per la giustizia.

Sull’importanza della visibilità globale

Il leader più importante del movimento per i diritti civili, il Dr. Martin Luther King Jr, aveva una profonda influenza a livello globale e sapeva che le immagini delle atrocità contro i neri americani, se viste in tutto il mondo, avrebbero denunciato un’America che aveva smarrito i suoi valori e principi costituzionali. Questo è il motivo principale per cui le sue tattiche nonviolente hanno funzionato: la visibilità globale è stata utilizzata a vantaggio del movimento.

Dopo decenni di rifiuto da parte di Israele di aderire agli impegni stipulati nell’ambito degli Accordi di Oslo, è evidente che Israele ha poco interesse a risolvere la questione palestinese. I nuovi accordi di normalizzazione con il mondo arabo hanno solo rafforzato l’intransigenza israeliana. La tattica dell’Autorità Palestinese di provare la stessa cosa e aspettarsi risultati diversi è una pura follia, dal momento che gli infelici ‘negoziati di pace’ hanno progressivamente ridotto il territorio della Palestina storica previsto per uno Stato palestinese.

Le tattiche israeliane, simili a quelle dei segregazionisti, sviano l’attenzione diffondendo una falsa propaganda, ignorando le possibili risoluzioni del conflitto e attaccando i giornalisti che si occupano dei Territori Occupati. Negli Stati Uniti, una folla bianca distrusse l’ufficio della giornalista investigativa Ida B. Wells, quando il suo reportage sulla crescente violenza contro gli afroamericani nel Sud fu diffuso a livello nazionale. All’epoca, la stampa tradizionale continuava a dipingere gli afroamericani coinvolti come cattivi e i bianchi come vittime innocenti.

Ma i media di tutto il mondo hanno raccontato le lotte e le marce che si svolgevano nel profondo Sud. Le immagini degli scolari neri che venivano colpiti da cannoni ad acqua solo perché volevano frequentare scuole adeguatamente desegregate raccontavano una storia coinvolgente. Le immagini di oppressione viste da tutto il mondo grazie alle innovazioni delle telecomunicazioni, della fotografia e del cinema contrastavano con i principi fondanti dell’America. L’America non era più la Terra della Libertà.

Allo stesso modo, lo Stato di Israele pretende di essere “l’unica democrazia del Medio Oriente”, quando chiaramente promette l’uguaglianza solo per alcuni. Alcuni degli attuali metodi di lotta armata da parte dei palestinesi permettono a Israele di perpetuare la menzogna secondo cui la repressione israeliana sulle comunità palestinesi è proporzionata al livello di violenza dimostrato dai palestinesi, quando in realtà è un sistema di dominazione coloniale sionista su un popolo indigeno. I palestinesi non devono dare a Israele le munizioni di cui ha bisogno per giustificare i suoi crimini.

Le tattiche impiegate dal movimento di Luther King per i diritti civili hanno avuto un successo duraturo perché hanno proposto un’alternativa allo status quo più accettabile rispetto al percorso di violenza rivoluzionaria sostenuto dai nazionalisti neri – per quanto giustificato possa essere stato il percorso di questi ultimi.

Questo ci porta a un punto importante: anche quando si ha il diritto di ricorrere alla lotta armata, ciò non significa che la si debba fare. In questa decisione bisogna tenere conto di una serie di considerazioni tattiche, una delle quali è: la tua tattica spingerà, o addirittura costringerà, i centri di potere ad agire in tuo favore? O delegittimerà ulteriormente la tua legittima lotta? Questa è la domanda che i palestinesi devono porsi.

Quando si tratta della lotta palestinese, l’opinione pubblica internazionale e la “comunità internazionale”, così com’è attualmente, sono sempre stati un fattore importante per consentire al regime coloniale di Israele di portare avanti impunemente la sua oppressione e il suo regime di apartheid. Ciò che la lotta armata fa in questo contesto è dare l’illusione della parità e dell’equivalenza, permettendo a Israele di continuare la sua furia coloniale in tutta la Palestina.

Cosa può fare la nonviolenza

Guardando alla storia, i Palestinesi hanno guadagnato la solidarietà internazionale in gran parte attraverso la resistenza nonviolenta.

Il 4 settembre 2007, la città di Bil’in ha ottenuto un’importante vittoria quando l’Alta Corte di Giustizia israeliana ha ordinato al Governo di cambiare il percorso del Muro vicino alla città. Tuttavia, solo nel 2011, dopo quattro anni di continue azioni nonviolente e di pressioni per far rispettare l’ordine, è stato avviato lo smantellamento di una sezione della barriera per riposizionarla lungo un percorso alternativo. 

La sentenza del tribunale ha obbligato Israele a restituire 50 ettari agli agricoltori di Bil’in. Non è stata una cosa da poco.

Questo vale anche per i numerosi scioperi della fame dei prigionieri palestinesi, spesso attuati per protestare contro le pratiche illegali e oppressive del sistema carcerario israeliano, compresa la detenzione amministrativa, una pratica israeliana abituale che consiste nell’imprigionare i palestinesi senza accusa né processo.

Analogamente, in seguito al Montgomery Bus Boycott del 1955, la Corte Suprema degli Stati Uniti stabilì nel 1956 che la segregazione sugli autobus pubblici era incostituzionale. 

Nel 2017, Israele ha rimosso i metal detector e le telecamere di sicurezza installate presso la Moschea di Al-Aqsa allo scopo di controllare i movimenti dei palestinesi a Gerusalemme e imporre la sovranità israeliana sul luogo sacro. Le telecamere e i metal detector sono stati rimossi dopo che i fedeli palestinesi hanno inscenato proteste collettive, usando soprattutto la preghiera di massa come forma di protesta, per forzare la rimozione di quei dispositivi invasivi. E ha funzionato.

La decisione di utilizzare questi metodi di protesta non violenta è stata presa quando le fazioni palestinesi hanno indetto una “giornata di rabbia” durante quella che è diventata nota come la Rivolta della Porta dei Leoni (Habbat Bab al-Asbat in arabo).  

Come era successo per il movimento per i diritti civili, quando ai giornalisti è stato negato l’accesso per coprire le proteste nonviolente, la polizia israeliana ha dovuto riconoscere di aver impedito ai giornalisti di entrare in molte parti della Città Vecchia di Gerusalemme.

La nonviolenza non significa abbandonare la resistenza armata

Molti hanno sostenuto che la fissazione liberale sulla nonviolenza ignora la storia, stabilendo uno ‘standard impossibile’ secondo il quale un’élite al potere dovrebbe cedere il controllo agli oppressi in modo pacifico. Alcuni hanno sottolineato la storia degli oppressori che rinunciano ai loro privilegi solo dopo essere stati costretti dagli oppressi: dai tempi dei Visigoti contro Roma nel 476 d.C., ai francesi dopo il 1789, alla rivoluzione comunista e persino allo stesso movimento per i diritti civili.

Come ha sottolineato Yves Smith facendo riferimento alle opere di studiosi come EJ Cobb, “anche le vittorie storiche delle lotte non violente avevano un elemento armato dietro le quinte”. Inoltre, le vittorie legislative ottenute dal movimento nonviolento per i diritti civili spesso includevano la minaccia o la realtà di rivolte violente. Per esempio, Smith scrive che “nel maggio 1963 a Birmingham, in Alabama… dopo che una marcia nonviolenta era stata repressa, ci fu una sommossa di 3.000 persone. Alla fine, il 10 maggio 1963, fu raggiunto un patto di desegregazione. Un osservatore ha sostenuto che ‘ogni giorno di sommosse valeva un anno di manifestazioni per i diritti civili'”.

Allo stesso modo, la rivolta della Porta dei Leoni, che comprendeva proteste non violente che consistevano nel pregare in aree vietate dalle autorità israeliane, forse non avrebbe avuto successo senza la minaccia, e la realtà, dell’autodifesa violenta.

Alcuni hanno definito questo fenomeno “contrattazione collettiva per sommossa“, che si estende dalla Palestina al movimento per i diritti civili, fino al movimento dei lavoratori cinesi del 2010.

Martin Luther King e il movimento per i diritti civili hanno offerto una semplice scelta: assistere alla distruzione del Paese e alla discesa nel caos, oppure seguire una via di mezzo fatta di riforme e diritti civili.

Invocare la nonviolenza non significa abbandonare il diritto all’autodifesa armata. Significa l’uso tattico di questi metodi, come ha fatto il movimento per i diritti civili.

Sebbene ci siano state numerose azioni di resistenza nonviolenta da parte dei palestinesi nel corso di decenni di occupazione, c’è stata poca costanza nell’impiego di questi metodi. E questa costanza è ciò che è necessario per ottenere un cambiamento duraturo.

I contesti e le situazioni non sono esattamente gli stessi tra le aspirazioni ai diritti civili dei neri americani e quelle del popolo palestinese, ma il parallelo è istruttivo. Inoltre, ci sono importanti differenze tra gli esempi storici passati e la lotta palestinese, che costituiscono un argomento a favore delle tattiche nonviolente: soprattutto il fatto che viviamo in un mondo molto più interconnesso rispetto al passato, in una misura senza precedenti nella storia. Sicuramente più che nell’era dei diritti civili. 

Una strategia di resistenza popolare nonviolenta sostenibile e costante non è mai stata sperimentata. Sarebbe un errore considerarla inefficace, soprattutto perché ci sono esempi di quando ha funzionato su piccola scala in Palestina.

Traduzione a cura di AssoPacePalestina

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