Il film che aveva predetto la presa di potere dell’estrema destra in Israele

Gen 23, 2023 | Notizie

di Nirit Anderman,

Haaretz, 19 gennaio 2023. 

Nel documentario “H2: The Occupation Lab”, Idit Avrahami e Noam Sheizaf mostrano come l’occupazione militare a Hebron sia servita da modello per l’intero progetto di insediamento – e ora per la vita stessa in Israele.

Idit Avrahami e Noam Sheizaf. Avishag Shaar-Yashuv

La proiezione del mese scorso del nuovo documentario israeliano “H2: The Occupation Lab” [Area H2 di Hebron: Il Laboratorio dell’Occupazione] in un centro comunitario a Pardes Hannah doveva essere tutt’altro che un evento eccezionale. Ma una lettera di Shai Glick, un energico attivista di destra che non ha mai visto il film, ha convinto il capo del consiglio locale a cancellare l’evento.

Glick ha speso anni a correre dietro ai politici per metterli in guardia da ogni opera creativa che “colpisce negativamente i soldati israeliani” o “incoraggia il terrorismo”. Ora si è spinto fino a dipingere uno dei registi come un sostenitore del movimento BDS e come qualcuno che ha evitato il servizio militare obbligatorio in Israele. Glick ci è riuscito, anche se la maggior parte dei personaggi intervistati nel film sono ex ufficiali superiori delle Forze di Difesa israeliane e anche se l’ufficio del procuratore generale ha stabilito che le proiezioni pubbliche non possono essere annullate per tali motivi.

E così la proiezione del documentario sulla presenza militare di Israele a Hebron, la città palestinese della Cisgiordania con un insediamento ebraico nella sua metà orientale, è diventata un sit-in in questa città a nord di Tel Aviv. Registi preoccupati e attivisti politici si sono riuniti nel fine settimana per protestare contro il divieto del capo del consiglio locale. Hanno ascoltato alcuni discorsi sulla censura e si sono raggomitolati nei loro cappotti per guardare il film proibito, proiettato su uno schermo portatile all’aperto.

Tutto questo è accaduto prima che il nuovo Ministro della Cultura Miki Zohar entrasse in carica e prima che annunciasse che i finanziamenti futuri sarebbero stati condizionati all’impegno di non diffamare lo Stato o l’IDF (Esercito Israeliano).

La proiezione del documentario “H2: The Occupation Lab” a Pardes Hannah. Roni Aboulafia

“H2: The Occupation Lab” racconta la storia del controllo militare sulla città palestinese che ospita uno dei luoghi più sacri per ebrei e musulmani, la Tomba dei Patriarchi. Mostra come l’occupazione israeliana di Hebron sia iniziata nel 1967, seguita da allora in poi da continui sconvolgimenti.

Esplora gli eventi chiave che hanno eroso i rapporti tra i membri del triangolo esercito-coloni-palestinesi. Mostra come il controllo militare sia stato costruito un po’ alla volta, tentativo dopo tentativo, con il costante sostegno dello Stato ai coloni, mentre l’odio tra le parti non faceva che peggiorare.

“Tutto ciò che vediamo fare dal regime israeliano in Cisgiordania, e anche a Gerusalemme Est, è iniziato per tentativi a Hebron. Venire a Hebron significa vedere cosa accadrà in altri luoghi tra due mesi o tra un anno”, afferma l’avvocato Michael Sfard nella scena iniziale del documentario.

I due registi, Idit Avrahami e Noam Sheizaf, mettono in evidenza le tendenze e i metodi di controllo militare che, secondo loro, sono iniziati in questa città e si sono diffusi in tutti i territori occupati e anche in Israele.

Dicono che Hebron sia il luogo in cui è iniziata la politica di separazione tra ebrei e palestinesi; è il luogo in cui sono stati sparati per la prima volta proiettili rivestiti di gomma, durante la prima Intifada. È anche dove sono stati usati per la prima volta i sistemi di riconoscimento facciale per sorvegliare i palestinesi.

Il risultato: una “hebronizzazione della situazione israeliana”, come dice Sheizaf. “Con l’idea di insediarsi intenzionalmente nel cuore di una popolazione palestinese, con il desiderio di riprendere il controllo di case che appartenevano agli ebrei prima del 1948. La stessa cosa è accaduta poi a Silwan e a Sheikh Jarrah”, dice, citando due quartieri di Gerusalemme Est.

La regista Idit Avrahami. Avishag Shaar-Yashuv

“Allo stesso modo, il concetto di militarizzazione, di mandare l’esercito nei centri palestinesi, è quello che la destra, quello che Itamar Ben-Gvir vorrebbe fare oggi anche nel Triangolo [una regione di città arabe nel centro di Israele]. Hebron è il laboratorio dell’occupazione perché stiamo vedendo come la logica di Hebron stia gradualmente diventando la logica di tutta la realtà israeliana.

“Noi diciamo alla gente: non guardate Hebron solo perché ciò che sta accadendo lì è significativo, triste e terribile, ma guardate Hebron perché è fondamentalmente una cartolina dal futuro. È una cartolina dal futuro di Gerusalemme – e anche di Tel Aviv.

“Quella che a voi sembra una folle distopia la vivrete presto qui. Questo è il tipo di relazione che il governo intende instaurare tra ebrei e arabi in questo Paese. Porterà l’esercito nelle città palestinesi e giudaizzerà Gerusalemme Est. Proibirà agli esponenti della sinistra di recarvisi e vieterà le critiche. Tutto questo inizia nel laboratorio di Hebron e da lì si diffonderà in tutto il Paese”.

Sheizaf e Avrahami hanno investito circa cinque anni in questo film, ma si potrebbe sostenere che i loro sforzi non sono più necessari per dimostrare la loro tesi.

La mattina della mia intervista con Sheizaf, Israele si è svegliato con i titoli dei giornali che annunciavano la visita al Monte del Tempio del nuovo ministro della Sicurezza Nazionale di estrema destra, Itamar Ben-Gvir. Egli ha vissuto per anni nell’insediamento di Kiryat Arba, che confina con Hebron, e ha alimentato con gran cura il comportamento violento dei coloni nei confronti dei palestinesi, nella città e nei dintorni.

“Una volta che si decide di dominare un’altra popolazione con la forza, lo sviluppo successivo è inevitabile. L’occupazione dà origine al controllo dei coloni sul sistema israeliano”, afferma Sheizaf.

“Ora, mentre il film esce con un tempismo così incredibile e terribile, sta salendo al potere un governo guidato dalla logica di Hebron, il cui uomo-copertina è Itamar Ben-Gvir, che vive a Kiryat Arba, il suo mondo spirituale. La sua concezione è quella del padrone di casa che controlla tutti gli altri attraverso la forza militare, una visione del tipo ‘chiunque non sia d’accordo con noi, lo raddrizzeremo con la forza’”.

Il fucile del rabbino Levinger

“H2: The Occupation Lab” non è il primo documentario su Hebron. Tra gli altri, “Detained” di Anat Even e Ada Ushpiz e “The Settlers” di Ruth Walk, che hanno assunto il punto di vista delle vittime palestinesi a Hebron. Ma Avrahami e Sheizaf hanno deciso di concentrarsi sull’occupazione militare.

Volevano esplorare le ramificazioni di questo controllo sulle persone e nel 2016, durante la vicenda di Elor Azaria, hanno trovato la loro occasione. Nel marzo di quell’anno, a Hebron, Azaria, un soldato israeliano, ha sparato a un assalitore palestinese che giaceva immobile a terra.

Il regista Noam Sheizaf. Avishag Shaar-Yashuv

Avrahami e Sheizaf hanno iniziato a visitare Hebron, hanno assistito al processo di Azaria e hanno pensato di costruire il film intorno a questa vicenda. Ma durante una di queste visite si sono resi conto che la città era la chiave di una storia più grande. L’uccisione, il processo, la lieve punizione del soldato, il grande dramma della vicenda: tutto questo poteva accadere solo a Hebron.

“Siamo andati lì, più e più volte, e abbiamo camminato per Shuhada Street“, racconta Avrahami. “Anche se si trova a solo un’ora e mezza da Tel Aviv, poche persone ci vanno, e allora abbiamo voluto far sentire agli spettatori come si cammina in quella strada. In pratica, è nata un’esperienza sia cinematografica che emotiva, perché arrivi lì e vedi una strada abbandonata, vuota, con muri e recinzioni di filo spinato e soldati che ti sorvegliano da ogni lato.

“Sembra un set cinematografico abbandonato. Ci sono edifici desolati, cartelli, palestinesi che camminano su entrambi i lati della strada perché non possono usare l’auto mentre i coloni guidano tranquillamente al centro. Camminando lì, si vive un’esperienza emotiva. Ogni volta che ci siamo andati siamo tornati molto carichi di emozioni. Abbiamo iniziato a pensare come potevamo far vivere allo spettatore questa esperienza”.

Avrahami sta parlando della via principale della città, che inizia alla Tomba dei Patriarchi ed è lunga un chilometro e mezzo, quasi un miglio. Gran parte di essa è Shuhada Street, un tempo parte di un vivace centro cittadino, una città mediterranea al suo meglio.

Oggi non rimane molto. “Abbiamo deciso di provare a tornare indietro nel tempo e capire come Shuhada sia diventata una delle strade più strane di Israele, una strada in cui l’apartheid è così presente”, racconta Avrahami.

Sheizaf e Avrahami hanno iniziato a girare, ma la pandemia si è messa di mezzo. Così si sono seduti negli archivi di Channel 1 e hanno esaminato i vecchi telegiornali, alla ricerca di materiale su Hebron.

Il risultato è ben visibile in “H2: The Occupation Lab”, che offre uno sguardo a Shuhada Street nei suoi giorni di gloria. Il film fa vedere anche com’è la strada oggi e permette di osservare i negozi incatenati, i soldati, i checkpoint, le reti che assomigliano a gabbie, le restrizioni di movimento che trasformano la vita dei residenti in un incubo, l’ansia e l’odio che sembrano ovunque. La storia è raccontata anche da ex alti ufficiali del governo militare.

“Abbiamo deciso di intervistare proprio loro, perché siamo registi israeliani e il nostro mandato è quello di raccontare la storia attraverso i nostri occhi di israeliani”, racconta Avrahami.

Sheizaf aggiunge: “La realtà non offre la stessa opportunità di parlare al palestinese, al colono, al funzionario dell’Amministrazione civile [l’organo di governo dell’establishment della difesa in Cisgiordania]. Sul campo non esiste l’uguaglianza, e il film cerca consapevolmente di ricostruire questo equilibrio di potere. Per questo le persone che raccontano una storia sono quelle che l’hanno scritta, che hanno gestito lo spettacolo sul campo”.

Hebron nel 1986, quando era un vivace centro cittadino. Archivio KAN

Una parte del film descrive gli eventi che hanno avuto luogo a Hebron nel 1976 e che hanno coinvolto il rabbino Moshe Levinger, che ha guidato i primi sforzi di insediamento nella città nel 1968. Un giorno del 1976, quando scoppiarono dei disordini a Hebron, Levinger si mise in azione con alcuni dei suoi uomini “per imporre l’ordine”. Giora Streichman, all’epoca ufficiale operativo a Hebron, racconta che mentre stava guidando la sua jeep, ha sentito degli spari e alla fine ha visto che a sparare erano Levinger e quattro dei suoi.

“Ho detto: Lascia, Levinger, qui c’è l’esercito, voi potete andare a casa’. L’ho detto così, in modo amichevole. Ma lui ha iniziato a urlarmi contro e ha continuato a sparare. Allora l’ho preso, l’ho spinto contro un muro e gli ho detto: “Levinger, sei una merda, prendi la tua gente e vattene”. Loro hanno continuato per la loro strada, camminando e sparando”.

Levinger è stato poi arrestato ed è finito in un tribunale militare per non aver ascoltato l’esercito e per aver usato illegalmente un fucile dell’IDF. Nel documentario, vediamo il giudice che legge il verdetto – che assolve Levinger.

Come disse il giudice, “gli abitanti di Kiryat Arba e l’imputato non hanno insultato il tenente Giora o i soldati, e non hanno fatto atti provocatori con il loro comportamento”. Ze’ev Bloch, allora governatore militare di Hebron, dichiarò dopo la decisione: “Questo verdetto ha essenzialmente dato a Levinger e alla sua gente l’autorizzazione a continuare a fare quello che vogliono”.

“H2: Il laboratorio dell’occupazione” analizza una serie di eventi: la decisione di Mohammed Ali al-Jabari, allora sindaco di Hebron, di concedere un terreno di sua proprietà ai coloni, consentendo loro di costruirci Kiryat Arba; l’insistenza del governo israeliano a tenere nel 1976 le elezioni in città, che portarono alla rimozione dello stesso al-Jabari, nonostante fosse disposto a collaborare con il regime militare; l’arrivo di Levinger e dei suoi al Park Hotel della città la vigilia di Pasqua del 1968; l'”invasione” da parte di donne e bambini del complesso Beit Hadassah della città nel 1979, che due anni dopo portò alla decisione del governo di far rinascere la comunità ebraica di Hebron; la prima Intifada e gli attacchi terroristici in città; e naturalmente l’effetto degli accordi di Oslo e l’uccisione da parte di Baruch Goldstein di 29 fedeli palestinesi alla Tomba dei Patriarchi nel 1994.

Ex alti ufficiali del governo militare parlano dei coloni, che si sono sentiti traditi e abbandonati durante il raggiungimento degli accordi. Parlano della pericolosa escalation che seguì il massacro del 1994 e della visita del Primo Ministro Yitzhak Rabin a Hebron una settimana dopo; il governo fu sul punto di evacuare i coloni dal centro della città.

Idit Avrahami e Noam Sheizaf a Hebron. Avner Shahaf

“Secondo la versione accettata nel corso degli anni, gli attacchi terroristici sono iniziati dopo la firma degli accordi di Oslo, ma fondamentalmente gli attacchi più importanti, come far saltare in aria gli autobus, sono iniziati solo dopo il massacro di Goldstein”, afferma Avrahami.

“In realtà non c’è stato un solo attacco a un autobus fino al giorno in cui Goldstein, un colono che indossava una uniforme dell’esercito, è entrato nella Tomba dei Patriarchi, un luogo sacro, ha sparato in ogni direzione e ha ucciso 29 fedeli che stavano inchinati in preghiera. In seguito la comunità ebraica di Hebron fu quasi evacuata, ma a quanto pare Rabin non aveva abbastanza autorità, così il risultato fu un coprifuoco generale in cui i palestinesi rimasero chiusi nelle loro case per mesi, anche se l’autore dell’attacco terroristico era un colono. È stato un momento chiave nella storia di questo luogo”.

Il film arriva anche alla condizione di apartheid del presente: 8.000 ebrei che si ostinano a vivere proprio in mezzo a più di 200.000 palestinesi.

“Ben-Gvir e [il suo collega di estrema destra] Orit Strock, persone che per molti anni sono state considerate dei banditi, ora sono ministri del governo. Quando abbiamo iniziato a lavorare al film, un’idea del genere sembrava irrealistica”, racconta Avrahami. Se una piccola comunità come Kiryat Arba e la manciata di persone di Hebron, 8.000 ebrei, hanno ora due ministri nel governo, questa è la logica del sistema”. Fino alla seconda Intifada, i coloni di Hebron erano considerati molto esoterici, ma poi, dopo l’attacco terroristico [del 2001] in cui la piccola Shalhevet Pass è stata uccisa da un palestinese nel mezzo della comunità ebraica di Hebron, è iniziata la loro scalata a posizioni di potere e il loro ingresso nel mainstream”.

Idit Avrahami e Noam Sheizaf. Avishag Shaar-Yashuv

Paura del cinema

In precedenza, Avrahami, 45 anni, ha già esplorato altri eventi in Cisgiordania. Ha realizzato la serie di documentari “The Boy Who Died of Fear” [Il ragazzo che morì di paura] che parla di un ragazzo palestinese morto dopo essere stato picchiato da un colono nel 1996.

Ma ha anche un legame personale. Una parte della sua famiglia è a Hebron da nove generazioni. È una discendente del rabbino Shneur Zalman e della famiglia Slonim che faceva parte dell’antica comunità ebraica della città. Diversi membri della sua famiglia furono uccisi nelle rivolte del 1929.

“La mia famiglia aveva un bel po’ di proprietà a Hebron e se fossi stata un altro tipo di regista probabilmente sarei andata a cercare nella città la mia famiglia dispersa. Non l’ho fatto, ma comunque questo è uno dei motivi che mi ha spinto a includere il 1929 nel film, perché anche in quei disordini ci sono stati momenti chiave che non si possono ignorare”, dice.

“Dopo tutto, nel corso degli anni i coloni hanno giustificato il loro ritorno a Hebron con l’affermazione che lì ci sono proprietà ebraiche. Ma naturalmente questa affermazione può essere applicata a quasi tutte le città di Israele”.

Come scrittore e redattore, anche Sheizaf, 48 anni, si è concentrato sulla Cisgiordania. Ha conosciuto Avrahami quando entrambi lavoravano in un settimanale di Tel Aviv e qualche anno fa, quando Avrahami stava discutendo con la HOT 8 della realizzazione di un film sui territori, non ha avuto dubbi ad arruolare Sheizaf.

Hebron è presente anche nella storia personale di Sheizaf. Era un vice comandante di compagnia nella città quando, dopo l’Accordo di Hebron del 1997, l’IDF si ritirò da circa l’80% di Hebron, l’Area H1. I coloni e l’esercito rimasero nel restante 20%, l’Area H2.

In effetti, Sheizaf ha ammainato la bandiera israeliana in una postazione dell’IDF, “e ho detto ai miei soldati: “Ecco fatto, l’occupazione è finita””, dice ridendo.

Ed eccoci qui, un quarto di secolo dopo. Avete fatto il film e nel suo primo discorso da Ministro della Cultura, Miki Zohar ha promesso di finanziare solo iniziative che “non gettino fango sul Paese dopo aver ricevuto finanziamenti dal governo”.

“I documentari devono guardare alle ferite della società, e l’occupazione è il problema più grande che lo Stato di Israele e la società israeliana devono affrontare. È così grande che 50 anni non sono riusciti a risolverlo.

Un poliziotto di frontiera israeliano parla con un cittadino di Hebron, dal documentario. Manal El Jabri

“L’idea che i documentari debbano ignorare la questione sociopolitica numero uno del Paese riflette un’incapacità di comprendere il ruolo della cultura, in particolare del documentario. È la logica di un Ministro della Cultura che si schiera contro la cultura, che pensa che la cultura sia intrattenimento e propaganda. Ma il compito del documentarismo è quello di occuparsi delle ferite sociali, e non c’è ferita più grande dell’occupazione”.

Avrahami: “Bisogna anche dire che queste dichiarazioni si ripercuotono immediatamente sul resto del mondo, e val la pena ricordare che due giorni dopo quanto avvenuto a Pardes Hannah siamo stati ammessi al concorso del festival di Biarritz [Francia], e abbiamo ricevuto molte più richieste dall’estero. In altre parole, nel momento in cui si cerca di mettere a tacere un film, questo riceve molta più attenzione, sia in Israele che all’estero. Quindi, se Miki Zohar tenta di censurare questi film, questi otterranno solo più attenzione e verranno proiettati in ancora più posti”.

Sheizaf: “All’estero, credo, ma non in Israele. Sono sicuro che, a causa di ciò che è successo a Pardes Hannah, altri 10 posti in Israele ci penseranno due volte prima di accettare di proiettare il film. Si chiederanno: “Perché devo mettermi nei guai? Mostrerò un altro piccolo film personale”. In altre parole, la censura è all’opera qui in Israele”.

L’eredità di Miri Regev

In realtà, si può dire che tale soppressione di film sia già avvenuta, e ci sono state minacce di negare fondi alle istituzioni culturali, in mezzo a consigli locali che annullano le proiezioni e registi che si autocensurano per evitare problemi. Questa è l’eredità di Miri Regev del Likud, che è stata Ministro della Cultura dal 2015 al 2020.

Regev – che prima di entrare in carica aveva dichiarato: “Se è necessario censurare, censurerò” – forse non è riuscita a soffocare tutti i film che voleva, ma ci ha sicuramente provato.

Poco dopo il suo insediamento, ha cercato di cancellare la proiezione al Jerusalem Film Festival del documentario “Beyond the Fear” su Yigal Amir, l’assassino di Rabin. Con questo, però, è riuscita a farlo proiettare ancora di più al di fuori del festival. Gli attivisti di destra hanno sfruttato questa atmosfera di censura e hanno fatto sì che le autorità di Sderot e Be’er Sheva, nel sud, cancellassero la proiezione del documentario olandese “Shaking in Gaza”.

Il portavoce della comunità ebraica di Hebron, Noam Arnon, viene intervistato per il film nella Grotta dei Patriarchi. Noam Sheizaf

Nel 2019, Regev ha lanciato un attacco al documentario “Advocate” sull’avvocata Lea Tsemel che difende i palestinesi. Con l’aiuto di attivisti di destra, è stata annullata una proiezione del film a Ma’alot, nel nord del Paese (anche se il vice procuratore generale ha dichiarato che è illegale annullare la proiezione di un film, una violazione della libertà di espressione).

La Regev ha anche cercato ripetutamente di cancellare “48 mm”, un festival cinematografico sulla Nakba – la catastrofe palestinese del 1948 – tenutosi alla Cineteca di Tel Aviv. Ha anche attaccato “Foxtrot” di Samuel Maoz, che secondo Haaretz include “il grido dei genitori il cui figlio soldato è morto, l’urlo di un soldato a un posto di blocco”.

Regev ha anche cercato di sabotare la candidatura al Premio Ophir del documentario “Born in Deir Yassin” e ha invitato il Ministro delle Finanze a riconsiderare i finanziamenti per il Festival del Cinema di Haifa, che ha presentato due film “sovversivi”. Quando ha avuto difficoltà a tagliare tali finanziamenti, ha promosso una “legge sulla lealtà nella cultura”. La legge non è passata. Per ora.

Tuttavia, Sheizaf è rimasto sorpreso dalla cancellazione avvenuta a Pardes Hannah. “Mi ha sorpreso che abbiano vietato la proiezione prima di aver visto il film o di aver parlato con noi”, dice. “Due settimane dopo hanno cercato di impedire la proiezione a Holon di un altro mio film “Two Kids a Day” [Due bambini al giorno], che documenta gli arresti di minori in Cisgiordania. Il Comune e la Cineteca hanno capito che questa censura non rientrava tra i loro compiti.

Il nuovo ministro della Cultura Miki Zohar parla alla Knesset. Ohad Zwigenberg

“A Pardes Hannah, solo un’ora dopo aver ricevuto una lettera da un esponente della destra che scriveva che il film danneggia i soldati israeliani, hanno vietato la proiezione del film senza averlo visto. Mi ha sorpreso che [il capo del consiglio locale] non abbia nemmeno chiesto di vederlo prima di prendere la decisione”.

La cosa ti ha davvero sorpreso? Dopo tutto, anche quando Miri Regev era Ministro della Cultura, né lei né i capi dei consigli comunali si sono preoccupati di guardare i film prima di cancellare le proiezioni. E dopo che “Due bambini al giorno” è stato proiettato a Holon, ha suscitato una polemica al Kibbutzim College.

“Forse sono ingenuo. Presumo che le persone abbiano un senso di curiosità e di responsabilità nei confronti del proprio lavoro, e che vogliano capire qualcosa prima di agire”.

Temo che tu sia davvero un po’ ingenuo, ma ciò che è stato interessante questa volta è che la protesta è stata un po’ più estrema. Non era più solo contro il film, era contro di te, l’autore.

“Glick ha scritto cose inesatte al Consiglio. Per esempio, ha scritto che ho rifiutato di prestare servizio nell’esercito, anche se in realtà ho rifiutato di prestare servizio nei territori ma ho continuato a prestare servizio nell’IDF, nelle riserve.

Una donna palestinese si scontra con le forze di sicurezza israeliane, questa settimana, mentre cerca di impedire ai bulldozer di demolire la casa della sua famiglia, in costruzione senza un permesso delle autorità israeliane, a Hebron. HAZEM BADER – AFP

“Ha anche scritto che sostengo il BDS, ma non è vero. Ma in realtà non voglio entrare nel merito, perché sarebbe rispondere al suo modo di pensare. Tra l’altro, nella sua lettera ha anche scritto che il film mostra che l’esercito israeliano sta conducendo esperimenti sui palestinesi”.

Nel frattempo, Glick ha invitato gli israeliani a disturbare la proiezione alla Cineteca di Holon e, dopo che il film è stato proiettato al ristorante di Pardes Hannah, ha invitato la gente sui social media a boicottare il ristorante e a cercare di abbassare la sua posizione nella classifica su Google. “In altre parole, queste molestie non riguarderanno solo gli edifici pubblici. In futuro, molesteranno anche luoghi privati e persone private. È molto chiaro come queste cose vadano avanti”, afferma Sheizaf.

Avrahami aggiunge di non essere sorpresa, anche se ha ancora qualcosa di ottimistico da dire. “In una manifestazione a Pardes Hannah hanno partecipato circa 300 persone, registi e semplici attivisti. Contro di loro c’erano 20 o 25 attivisti di destra con enormi altoparlanti e bandiere israeliane. Ci gridavano continuamente contro a un volume pazzesco: ‘Distruttore di Israele’, ‘Film anti-IDF'”, racconta la regista.

“Ero molto preoccupata perché mi dicevo: “Chi resterà qui a guardare un film di oltre 100 minuti al freddo pungente?” Tuttavia, la gente si è seduta per terra al freddo e ha guardato, e i manifestanti di destra, che all’inizio gridavano ancora contro il film, si sono incuriositi. Molti di loro sono rimasti a guardarlo, con le loro bandiere”.

Sheizaf aggiunge: “Questo è il potere del cinema. Nessuno ascolta i discorsi in una manifestazione, ma il cinema e i media hanno un potere. E questo ne è stato un esempio. Credo che questo film faccia riflettere chiunque lo veda. L’abbiamo fatto per gli israeliani. Vogliamo proiettarlo ovunque, perché crediamo nel potere del cinema di aprire gli occhi alla gente”.

I manifestanti di destra si saranno anche presi la briga di guardare il film, ma il Ministro della Cultura vuole che tu e i creatori di “Due bambini al giorno” restituiate i finanziamenti pubblici ricevuti. Ha minacciato di revocare retroattivamente i fondi per film di questo tipo.

Macchinari israeliani demoliscono una casa palestinese a Hebron, nella Cisgiordania occupata. 11 gennaio 2023. MUSSA ISSA QAWASMA/REUTERS

Sheizaf: “La richiesta di restituire i finanziamenti in modo retroattivo è fondamentalmente una multa ai registi, alle loro opinioni e al loro lavoro, perché si tratta di denaro che è già stato pagato a tutti i fornitori come spese di produzione. È una punizione per aver realizzato un film sull’occupazione, ed è anche pensata per dissuadere i prossimi produttori dal correre questo rischio”.

“Non si tratta di film su cui ci sono disaccordi di fatto. Sia nel nostro film che in ‘Two Kids’, le interviste sono principalmente a israeliani, compresi i membri dell’establishment, e il materiale d’archivio proviene principalmente da fonti ufficiali israeliane. Non si tratta di invenzioni. Sono film sulla realtà, ma l’obiettivo della destra è quello di rendere pericolosa la partecipazione a queste cose, in modo che invece di fare questo, facciamo tutti propaganda”.

Avrahami: “La domanda è chi finanzierà questi film. In ogni caso, sono pochissimi i luoghi che sostengono documentari come questo, che ora diventeranno ancora più rari. Dopo tutto, quale gruppo radiotelevisivo accetterà di sostenere film di questo tipo, come ha fatto Rinat Klein di HOT 8? E quanti altri produttori si assumeranno il rischio finanziario? Il timore è che i registi non siano più in grado di realizzare questo tipo di film “.

Sheizaf: “Le persone più svariate ci dicono che la pubblicità è stata positiva per il film. È una sciocchezza, perché il metodo della destra è esporre le persone all’attenzione, diffondere accuse su di loro e fare in modo che siano maledette sui social media; vengono segnalate ogni volta che qualcuno le cerca su Google. È un metodo molto efficace che porta la sinistra a sentirsi sotto assedio.

Quindi starsene tranquilli a casa e dire: “È un bene che ti abbiano preso a pugni, è una buona pubblicità per te”, significa lavarsi le mani della guerra in corso. La logica di Hebron –quella del soldato che ha preso a pugni un uomo di sinistra e ha detto “Ben-Gvir porterà l’ordine, per voi è finita”– è ciò che Miki Zohar sta facendo nella cultura. In questo momento, Hebron è anche il Ministero della Cultura. Quindi dobbiamo alzarci e lottare per il nostro diritto di cittadini di fare film come questo, e lottare per sostenere il nostro diritto di affrontare le questioni più difficili in Israele”.

Da parte sua, il consiglio di Pardes Hannah-Karkur ha dichiarato: “Nella nostra giurisdizione è giustificato il dibattito che scaturisce dal film, anche se non in edifici destinati a tutto il pubblico, o con contenuti che potrebbero danneggiare parti del pubblico”. Il consiglio ha detto di non aver espresso “alcuna posizione a favore o contro il contenuto di questo o di altri film su questi argomenti”.

https://www.haaretz.com/israel-news/2023-01-19/ty-article-magazine/.premium/the-film-that-predicted-the-rise-of-israels-far-right-and-its-chief-plan/00000185-ca86-dbd2-afe5-dfd6b4270000?utm_source=App_Share&utm_medium=iOS_Native

Traduzione a cura di AssoPacePalestina

.

0 commenti

Invia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Archivi

Fai una donazione

Fai una donazione tramite Paypal alla nostra associazione:

Fai una donazione ad Asso Pace Palestina

Oppure versate il vostro contributo ad
AssoPace Palestina
Banca BPER Banca S.p.A
IBAN: IT 93M0538774610000035162686

il 5X1000 ad Assopace Palestina

Il prossimo viaggio