La destra israeliana è la minoranza: la sinistra deve solo rendersene conto

Gen 16, 2023 | Notizie

di Meron Rapoport,

+972 Magazine, 12 gennaio 2023.   

È tempo che la sinistra ebraica capisca che, allineandosi alla lotta dei palestinesi, può far parte di una maggioranza contro l’occupazione e l’apartheid.

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu tiene una conferenza stampa con il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich presso l’ufficio del primo ministro a Gerusalemme, l’11 gennaio 2023. (Olivier Fitoussi/Flash90)

“Cambio di regime”. Così l’ex ministro della Giustizia Gideon Sa’ar, anch’egli di destra, ha descritto le riforme che il suo successore, Yariv Levin, ha annunciato la scorsa settimana per depotenziare radicalmente il sistema giudiziario israeliano. Le proposte di Levin includono: l’approvazione di una “legge sull’annullamento” che impedirebbe alla Corte Suprema di annullare le leggi della Knesset che ritiene in violazione delle Leggi Fondamentali di Israele; l’ampliamento del Comitato per le Nomine Giudiziarie, che consentirebbe alla coalizione di nominare giudici di sua scelta; la sostituzione con persone di nomina politica dei consulenti legali professionisti che servono i ministeri del governo e rispondono al procuratore generale.

La giustificazione del nuovo governo per questa revisione, che ha generato un’ampia opposizione di gran parte dell’opinione pubblica israeliana e persino del presidente Herzog, è che il governo ha il mandato della maggioranza dell’opinione pubblica israeliana: i giudici non sono eletti, i consulenti legali sono solo consulenti, e quindi subordinare l’autorità giudiziaria al ramo esecutivo è, di fatto, la massima espressione della democrazia.

Alcuni (una minoranza, va detto) hanno sostenuto che la determinazione del sesto governo Netanyahu a distruggere la supervisione del potere giudiziario è dettata dalla costante necessità di espandere l’occupazione, di espropriare i palestinesi dalla loro terra e di rafforzare l’apartheid. Molti altri ritengono che Levin stia in realtà eseguendo gli ordini di Netanyahu e del capo dello Shas [il partito degli ultraortodossi, NdT] Aryeh Deri, al fine di risparmiare loro i problemi legali che hanno, proprio mentre l’Alta Corte sta per organizzare un’udienza sull’idoneità della nomina di Deri a ministro. La critica più diffusa, tuttavia, è che la cosiddetta riforma giudiziaria smantellerà la democrazia e creerà una tirannia della maggioranza.

Senza entrare, per ora, nel merito di queste argomentazioni (tutte corrette in un modo o nell’altro), quasi nessuno ha affrontato l’affermazione di Levin secondo cui lui, e la coalizione di governo di cui fa parte, rappresentano la maggioranza. Questa affermazione è stata presa come un dato di fatto, anche dalla maggior parte del centro-sinistra – che accetta la posizione secondo cui Israele ha una maggioranza religiosa, di destra e di coloni, e la questione è come proteggere i diritti della minoranza. Ma questa affermazione è semplicemente errata. Il governo Netanyahu rappresenta la minoranza e quindi le sue pretese di governare in nome della maggioranza e della democrazia sono, nella migliore delle ipotesi, il risultato di una voluta ignoranza, nella peggiore, un sintomo di razzismo.

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu con il ministro dell’Interno e della Sanità Aryeh Deri, il ministro della Difesa Yoav Galant, il ministro della Giustizia Yariv Levin e altri ministri durante la cerimonia di giuramento del nuovo governo israeliano alla Knesset, Gerusalemme, 29 dicembre 2022. (Yonatan Sindel/Flash90)

Non è solo una ‘democrazia illiberale’

Per capire cosa sta succedendo, dobbiamo guardare ai principi guida del governo stesso, secondo i quali “il popolo ebraico ha un diritto esclusivo e indiscutibile a tutte le aree della Terra d’Israele” – cioè, il governo di destra sta tracciando i confini al fiume Giordano e al Mar Mediterraneo. Questa cancellazione della Linea Verde va avanti da molti anni, ma questa volta è più chiaro che mai che la destra ha trasformato ogni centimetro tra il fiume e il mare nel suo campo da gioco. Il fatto che sempre più poteri sulla Cisgiordania occupata vengano trasferiti dai militari ai ministeri del governo, a loro volta diretti da politici di estrema destra che vivono negli insediamenti, è una prova tangibile di questo processo.

Pertanto, i paragoni con Polonia, Ungheria e Turchia, fatti dall’ex presidente della Corte Suprema Aharon Barak lo scorso fine settimana, non sono pertinenti. I cittadini di questi Paesi hanno effettivamente votato in maggioranza per leader che offrono una “democrazia illiberale”, come ama definirla il primo ministro ungherese Viktor Orban. Eppure nessuno di questi Paesi governa direttamente, e si professa vincitore, in un territorio dove milioni di persone vivono senza il diritto di eleggere i loro rappresentanti nelle istituzioni che li governano. Questa non è “democrazia illiberale”. Non è affatto democrazia.

Se l’arena del diritto è, quindi, l’intero spazio tra il fiume e il mare, è questo spazio che deve essere sottoposto alla questione di chi è maggioranza e chi minoranza. E qui, almeno per quanto riguarda un aspetto fondamentale – la prosecuzione dell’occupazione e dell’apartheid – l’attuale governo è in netta minoranza. I numeri sono chiari: secondo i calcoli di Arnon Soffer, uno dei principali demografi israeliani, tra il fiume e il mare vivono quasi 15 milioni di persone, di cui 7,454 milioni – il 49,84% – sono ebrei o “altri” (cioè coloro che sono emigrati in Israele in base alla Legge del Ritorno ma non sono considerati ebrei secondo l’halachic, la legge religiosa ebraica). Gli altri 7,503 milioni di abitanti – 51,16% – sono palestinesi su entrambi i lati della Linea Verde, compresa Gaza. In altre parole, i palestinesi sono la maggioranza, anche se esigua.

È ragionevole supporre che almeno il 95% dei palestinesi si opponga all’occupazione israeliana e al suo dominio di apartheid sui territori occupati. Inoltre, recenti sondaggi mostrano che almeno il 30% degli ebrei sostiene l’idea di due Stati, che implichino la fine del dominio militare di Israele sui palestinesi (31% secondo l’ultimo sondaggio, che non tiene conto degli ebrei che sostengono un unico Stato democratico tra il fiume e il mare). Con queste statistiche, si arriva a una percentuale di circa il 65% di coloro che vivono tra il fiume e il mare che si oppongono alle attuali condizioni di occupazione israeliana.

Residenti palestinesi di Masafer Yatta assistono all’udienza finale presso la Corte Suprema israeliana in merito ai piani dello Stato di espellere oltre 1.000 residenti dall’area, Gerusalemme, 15 marzo 2022. (Oren Ziv)

La destra sostiene che le statistiche di Soffer sono gonfiate e che in Cisgiordania vivono solo 3,4 milioni di persone (contro i 5,8 milioni del conteggio di Soffer, che si basa su dati dell’Amministrazione Civile e dell’Ufficio Centrale di Statistica di Israele). Ma anche adottando i dati della destra, che si basano su ipotesi e non su statistiche ufficiali, si arriva comunque a una chiara maggioranza di circa il 59% di contrari all’occupazione.

Poiché la destra indica che l’intera area compresa tra il fiume e il mare è soggetta alla sovranità israeliana, dobbiamo rispondere con un’adeguata argomentazione. Se la destra vuole promuovere la “legge sull’annullamento” in nome della democrazia e della regola della maggioranza, deve affrontare il fatto evidente che una chiara maggioranza tra il fiume e il mare si oppone alle sue politiche, agli insediamenti, all’annessione e a molti aspetti della supremazia ebraica – certamente per quanto riguarda le questioni di religione (ebraica) e la sfera pubblica, ma anche in altri settori.

Una nuova coscienza per la sinistra israeliana

Riconoscere che la destra israeliana rappresenta in realtà una minoranza nel territorio che governa e che tratta come proprio è importante, non solo per far scoppiare la bolla falsa e ipocrita della destra, ma anche per creare una nuova coscienza per la sinistra israeliana: per farla passare dall’auto-identificazione come minoranza alla comprensione di se stessa come maggioranza. Questo vale soprattutto per la sinistra ebraica, poiché la maggior parte dei palestinesi all’interno della Linea Verde, e ancor più i palestinesi in Cisgiordania, a Gerusalemme Est e nella Striscia di Gaza, non si sentono parte della minoranza tra il fiume e il mare, e certamente non all’interno del Medio Oriente.

Questo passaggio da una coscienza di minoranza a una coscienza di maggioranza ha, innanzitutto, un effetto psicologico. La sinistra israeliana, in particolare quella ebraica, si sente attualmente sotto assedio, condannata a una vita di eterna minoranza e a una sconfitta garantita. Alcuni attribuiscono la colpa di questa, forse predestinata, sconfitta alla demografia, altri al populismo che sta sorgendo in tutto il mondo, altri ancora sostengono che 55 anni di occupazione, e forse anche oltre un secolo di sionismo, erano praticamente destinati a portare Israele al punto in cui si trova oggi. Ma se la sinistra capisse che in realtà fa parte della maggioranza di coloro che subiscono e si oppongono alle politiche del governo israeliano, riceverebbe una spinta alla propria autostima – e quindi anche alla convinzione di poter cambiare la realtà attuale.

Ma non è solo una questione psicologica. Rivolgere lo sguardo all’intero spazio tra il fiume e il mare cambierà anche il modo in cui la sinistra ebraica si definisce. Non appena la sinistra ebraica inizierà a vedere i palestinesi su entrambi i lati della Linea Verde come suoi partner nella lotta per porre fine all’occupazione, inizierà anche a riformulare i confini della comunità politica in Israele.

Attivisti del blocco radicale durante una manifestazione antigovernativa a Tel Aviv, 7 gennaio 2023. (Ahmad Al-Bazz)

In effetti, questa è la differenza principale tra la destra e il centro-sinistra in Israele oggi. La destra ha ben chiaro chi appartiene alla sua comunità politica e trae forza da questa coesione. Nel momento in cui parti significative del centrosinistra ebraico-israeliano capiranno che la collaborazione con i palestinesi darà loro uno strumento di potere contro la destra, sarà possibile ridisegnare i confini di questa comunità politica su basi civili, anziché su basi di segregazione etno-religiosa, come sono disegnate oggi.

Riconoscere che una solida maggioranza tra il fiume e il mare si oppone al regime di occupazione israeliano non richiede una lotta comune. La situazione dei palestinesi della Striscia di Gaza, sotto assedio e governati da Hamas, è chiaramente diversa da quella dei palestinesi della Cisgiordania sotto la diretta occupazione militare israeliana, e naturalmente da quella degli ebrei e dei palestinesi all’interno della Linea Verde che hanno la cittadinanza israeliana. La lotta sarà quindi diversa per ciascuno di questi gruppi. Ma è anche possibile determinare punti di collaborazione e di coordinamento.

Ciò non significa nemmeno che l’obiettivo sia necessariamente un unico Stato tra il fiume e il mare. La grande maggioranza degli ebrei israeliani non accetta questa idea, così come la maggioranza dei palestinesi su entrambi i lati della Linea Verde. Ma significa che dobbiamo guardare a un futuro condiviso di ebrei e palestinesi in questa terra, perché i destini dei due popoli sono irreversibilmente intrecciati.

In collaborazione con Local Call

https://www.972mag.com/israeli-right-minority-left-palestinians/

Traduzione a cura di AssoPacePalestina

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