Un albero di Natale riporta la vita in un villaggio palestinese distrutto

Dic 24, 2022 | Notizie

di Raja Abdulrahim,

The New York Times, 24 dicembre 2022. 

Per gli ex residenti di Iqrit, dove nel 1951 le forze israeliane rasero al suolo tutto tranne la chiesa, i rituali religiosi sono il legame al luogo da cui furono espulsi.

Famiglie che si riuniscono per l’illuminazione dell’albero nel villaggio cristiano-palestinese di Iqrit, in Israele, questo mese. Samar Hazboun per il New York Times

Tra le rovine di pietra calcarea delle case di un villaggio raso al suolo dalle forze israeliane molto tempo fa, un albero di Natale addobbato con decorazioni rosse e dorate è stato acceso alcune sere fa, sotto gli sguardi di una folla di ex residenti e dei loro discendenti.

Shahnaz Doukhy, 44 anni, suo marito e i suoi due figli erano tra le circa 60 persone che hanno partecipato all’accensione dell’albero accanto a una chiesa di circa 200 anni, l’unica struttura rimasta in piedi dopo che i soldati distrussero il villaggio cristiano palestinese durante il Natale del 1951.

“È bello che i nostri figli vengano e sappiano che questa è la terra dei loro antenati”, ha detto Shahnaz Doukhy.

“E che continuino con i loro figli”, ha aggiunto suo marito, Haitham Doukhy, 53 anni. “Questo è ciò che ci lega a questo posto, anche se il villaggio non c’è più.”

I due coniugi hanno sistemato un albero per la prima volta l’anno scorso, sperando di iniziare una tradizione per le famiglie espulse da Iqrit decenni fa, e i cui tentativi di tornarci a vivere sono stati ripetutamente bloccati dal governo e dall’esercito israeliano.

Vengono alla chiesa per la Messa mensile, per la Pasqua, per i matrimoni e per i battesimi, guidando da chilometri di distanza attraverso il nord di Israele, passando per città ebraiche che non esistevano quando Iqrit era un piccolo ma fiorente villaggio.

Un piccolo gruppo musicale suona canzoni natalizie nella chiesa di Iqrit. Samar Hazboun per il New York Times

“Celebriamo qui le tappe principali della nostra vita: nascita, matrimonio e morte”, ha detto Shadia Sbeit, 50 anni, i cui due figli sono stati battezzati nella chiesa. “Quello che ci manca sono gli anni intermedi.”

“Il 26 dicembre nella chiesa si terrà una Messa di Natale, un’osservanza mista a gioia e amarezza, data la storia di Iqrit.

La chiesa, in cima a una collina che domina i terreni agricoli e il cimitero del villaggio, fu fondata all’inizio del 1800 da un sacerdote proveniente dalla Siria, che è sepolto al suo interno. Piccole impronte di croci e mezzelune sono allineate sulla parte superiore dei suoi muri, un accenno del suo architetto musulmano alla vicinanza tra Islam e Cristianesimo.

I fedeli di Iqrit dicono che la chiesa è molto più che una semplice testimonianza religiosa: rappresenta il sentirsi a casa, è un piccolo conforto per il dolore dello sfollamento e li avvicina alle storie tramandate dai loro nonni.

Una vista dei terreni agricoli intorno a Iqrit. Samar Hazboun per il New York Times

Centinaia di villaggi palestinesi spopolati e distrutti nell’attuale Israele condividono un destino simile a quello di Iqrit: sono stati abbandonati quando circa 700.000 Palestinesi furono espulsi o fuggirono dalle loro case nel 1948, durante la guerra per la creazione dello Stato di Israele. I palestinesi chiamano Nakba (catastrofe) questa espulsione di massa.

L’8 novembre 1948, l’esercito israeliano ordinò ai circa 500 residenti di Iqrit di andarsene per creare una zona cuscinetto militare vicino al confine con il Libano. Fu detto loro che sarebbero potuti tornare entro due settimane, come attestato dai documenti del tribunale e dai residenti.

By The New York Times

Ma le loro richieste di tornare furono respinte dal governatore militare regionale, ci ricordano i verbali governativi.

Nel 1951, i residenti si appellarono alla Corte Suprema di Israele e nel luglio dello stesso anno il tribunale decretò che erano “autorizzati a stabilirsi nel villaggio di Iqrit”. Ma l’esercito impedì il loro ritorno.

Poi, durante il Natale, l’esercito distrusse le loro case, lasciando in piedi solo la chiesa, come ci racconta un telegramma inviato pochi giorni dopo dai residenti di Iqrit a un avvocato dello Stato israeliano.

Hanna Nasir, al centro, con gli ex residenti fuori dalla chiesa. Le famiglie fecero le valigie solo con le cose essenziali quando fu ordinato loro di andarsene, dicendo che sarebbero potuti tornare dopo qualche settimana, ha ricordato Nasir, che aveva 10 anni quando la sua famiglia se n’è andata. Samar Hazboun per il New York Times

Nel 2003, i residenti si appellarono nuovamente al tribunale, ma questa volta la sentenza fu sfavorevole per loro.  

Israele ha sostenuto di non poter permettere loro di tornare “a causa delle pesanti conseguenze che un tale passo avrebbe a livello politico”, come recita la decisione del tribunale. “Il precedente di un reinsediamento degli sfollati del villaggio sarebbe utilizzato per la propaganda e la politica dall’Autorità Palestinese (AP)”, si aggiungeva, riportando la motivazione dello Stato e riferendosi all’AP che amministra parti della Cisgiordania occupata.

Il diritto al ritorno per le centinaia di migliaia di sfollati palestinesi e per i milioni di loro discendenti è stato a lungo una richiesta chiave durante i negoziati di pace israelo-palestinesi, ma tale richiesta è stata decisamente respinta da Israele.

Eppure, molti sperano ancora di tornare nei villaggi dei loro antenati.

Graffiti che si trovano qua e là a Iqrit esprimono questo sogno. “Non resterò un rifugiato. Torneremo”, recita il messaggio su un capannone.

Famiglie palestinesi che si preparano per l’illuminazione dell’albero. Samar Hazboun per il New York Times

Alla fine degli anni ’60, gli ex residenti e le loro famiglie iniziarono a visitare il villaggio dopo la fine del regime militare israeliano per i cittadini palestinesi di Israele e il permesso di muoversi più liberamente nel Paese.

Raccontano di aver trovato la chiesa in rovina e invasa dagli animali. La ripulirono e la restaurarono, aggiungendo nuova pavimentazione e nuove panche e rifacendo la superficie delle pareti.

Sopra l’altare ci sono i ritratti di Gesù, dei Dodici Apostoli e di Maria, conservati dai residenti di un vicino villaggio cristiano-palestinese e riconsegnati quando le persone hanno iniziato a tornare nella chiesa.

“Questi sono i testimoni della storia”, ha detto Padre Soheel Khoury, che guida la congregazione di Iqrit, guardando i dipinti in stile medievale.

Su una parete, una fotografia in bianco e nero mostra il villaggio prima del 1948, con decine di case lungo le colline.

Padre Soheel Khoury, al centro, parla al pubblico fuori dalla chiesa di Iqrit. Samar Hazboun per il New York Times

Dopo l’accensione delle luci dell’albero, Khalil Kasis, 45 anni, era in piedi con i suoi due figli e indicava la valle sottostante in direzione di un gruppo di alberi e del cimitero.

“Venivamo sempre qui e facevamo dei barbecue”, ha detto.

“Vivevate qui?” ha chiesto entusiasta Amir, 13 anni, suo figlio.

“No, no”, ha detto suo padre. “La nostra casa di famiglia si trovava dall’altra parte della chiesa, ma è stata distrutta molto tempo fa”.

Lui e sua moglie cercano di portare i loro figli a Iqrit un paio di volte all’anno, ha detto.

“Cerchiamo di mostrare ai bambini…”, ha iniziato, ma poi ha smesso di parlare, “cerchiamo di trasmettere loro la causa”.

La tomba di un prete siriano all’interno della chiesa di Iqrit. È lui che l’ha fondata all’inizio del 1800. Samar Hazboun per il New York Times

Poco distante, lungo il muro della chiesa, altri bambini facevano a turno per afferrare la corda e suonare la campana della chiesa.

Naheel Toumie, 59 anni, che cercava di convincere Maria, la sua riluttante nipotina di 2 anni, a scattare una foto con l’albero, ha detto di aver aiutato a organizzare dei campi estivi proprio lì. Fare questo per i discendenti degli antichi abitanti ci è sembrato importante, “in modo che sapessero chi sono e da dove vengono,” ha detto. Iniziano questi campi portando i bambini al cimitero e raccontando loro la storia del villaggio e di coloro che vi hanno vissuto.

“Sembra che torneremo solo da morti”, ha detto. “Non ci è permesso di tornare finché siamo vivi.”

Naheel Toumie, in piedi, con la nipotina di 2 anni. Ha detto di volere che le nuove generazioni conoscano il posto “così che possano sapere chi sono e da dove vengono”. Samar Hazboun per il New York Times

Alcuni hanno cercato di tornare negli anni ’70, quando un gruppo di ex residenti di 60 e 70 anni si sono trasferiti nella chiesa come forma di protesta.

Uno di questi si chiamava Ilyas Dawood. Per quattro anni, a partire dal 1973, ha vissuto nella chiesa con altri anziani del villaggio, con l’aiuto dei figli che portavano loro cibo e acqua. Nel 1977, a 71 anni, è morto per un attacco cardiaco all’entrata della chiesa.

Vicino all’ingresso del cimitero, una grande targa onora lui e gli altri che hanno vissuto nella chiesa e sono stati sepolti lì.

“Questo monumento è stato eretto in memoria dei nostri padri e delle nostre madri che si sono stretti intorno alla chiesa di Iqrit nella speranza di tornar qui vivi”, si legge. “Sono entrati nell’aldilà come rifugiati nella loro terra natale.”

Avevano desiderato ricostruire le case di famiglia e vivere tra le dolci colline dove avevano trascorso l’infanzia raccogliendo alloro, timo e olive. Invece, sono tornati in piccole tombe di famiglia in pietra calcarea, decorate con croci, rosari e vasi di fiori finti.

I fedeli di Iqrit dicono che la chiesa rappresenta molto di più della semplice religione. Rappresenta il sentirsi a casa e un piccolo conforto per il dolore dell’espulsione. Samar Hazboun per il New York Times

Myra Noveck e Hiba Yazbek hanno contribuito con servizi da Gerusalemme, e Gabby Sobelman da Rehovot, Israele.

Traduzione a cura di AssoPacePalestina

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