L’ultimo dei primi antisionisti israeliani

Dic 22, 2022 | Notizie, Riflessioni

di Ben Reiff,

+972 Magazine, 24 novembre 2022. 

Sessant’anni dopo aver co-fondato il gruppo di sinistra radicale Matzpen, Moshé Machover riflette sull’eredità duratura dell’organizzazione, sulle spaccature interne che hanno portato alla sua scomparsa e sulle sue lezioni per la sinistra antisionista di oggi.

Moshé Machover, co-fondatore di Matzpen, Londra, 11 luglio 2008. (Hossam el-Hamalawy/CC BY 2.0)

Moshé Machover è ansioso di mettere le cose in chiaro. “Ci sono stati molti travisamenti su Matzpen, alcuni dei quali intenzionali”, mi dice con severità prima ancora che la nostra intervista abbia inizio.

Conosciuto dagli amici come Moshik, Machover è l’ultimo membro vivente di un quartetto di attivisti che 60 anni fa fondò il gruppo di sinistra radicale israeliano Matzpen (“Bussola”) – originariamente chiamato Organizzazione Socialista Israeliana. Poco a suo agio nel parlare di sé, Machover si trova su un terreno molto più sicuro nel discutere dettagli intricati di economia politica marxista o episodi di nicchia della storia comunista internazionale. Naturalmente, quando si tratta della fondazione, dello sviluppo e dell’eventuale scioglimento del Matzpen in seguito alle debilitanti scissioni degli anni ’70, Machover è una fonte di conoscenza enciclopedica. Sebbene l’organizzazione sia stata oggetto di un rinnovato interesse accademico negli ultimi anni, a Machover non piacciono queste ricostruzioni.

Fondata nel 1962 e attiva fino ai primi anni ’80, l’eredità di Matzpen è molto più grande di quanto possa far pensare il numero dei suoi membri, che non ha mai superato le poche decine. Il motivo non è un mistero: è stata la prima organizzazione attiva nella società ebraico-israeliana, nata dopo la creazione dello Stato nel 1948, a denunciare inequivocabilmente il sionismo come colonialismo, sia in patria che all’estero. Pubblicando analisi approfondite degli sviluppi politici in Medio Oriente e stringendo legami con la sinistra palestinese e araba in tutta la regione e oltre, Matzpen è stata vista dall’establishment di sicurezza israeliano, e da gran parte della società israeliana, come una minaccia interna.

Dire che l’organizzazione era in anticipo sui tempi sarebbe un eufemismo. Solo recentemente importanti gruppi israeliani di sinistra e anti-occupazione, seguendo le orme di pensatori e organizzazioni palestinesi, hanno iniziato a descrivere il dominio di Israele sui palestinesi come “apartheid” e a confrontarsi con le eredità della Nakba. Eppure c’era un gruppo di ebrei e palestinesi in Israele che aveva riconosciuto più di mezzo secolo fa che il “conflitto” era di tipo coloniale; e avevano scritto molto su come rovesciare il regime.

In questo modo, Matzpen ha gettato le basi di quella che è stata descritta come la “sinistra indipendente” israeliana – una corrente politica separata dalla sinistra sionista egemonica da un lato e dal Partito Comunista Israeliano (ICP), che ha espulso Machover e altri tre compagni che avrebbero fondato Matzpen, dall’altro. Il gruppo prese posto all’interno della Nuova Sinistra globale, promuovendo una visione socialista internazionalista che predicava l’autodeterminazione di tutti i popoli; è da qui che Matzpen derivò la sua posizione sulla Palestina e sulla natura specifica del colonialismo sionista.

Il fatto che l’analisi di Matzpen si sia cristallizzata prima dell’inizio dell’occupazione israeliana del 1967 la distingue anche dalla lunga serie di gruppi di protesta anti-occupazione emersi nei cinque decenni e mezzo successivi. Per molti versi, sostiene Machover, le prime pubblicazioni di Matzpen avevano persino previsto la guerra espansionistica. “Molto spesso mi sento come Cassandra”, dice, riferendosi alla sacerdotessa della mitologia greca. “Facciamo profezie corrette, ma pochissime persone ci credono”.

Moshe Machover a casa nel suo studio, Londra, 20 settembre 2022. (Hannah Machover)

Un ostinato dissidente

Nato a Tel Aviv nel 1936, Machover ha ricevuto la sua prima educazione politica da adolescente nell’Hashomer Hatzair, il movimento giovanile del partito sionista di sinistra Mapam (un precursore dell’attuale Meretz). L’ideologia del movimento era “una sorta di amalgama di sionismo e marxismo” e non passò molto tempo prima che lui e un paio di amici cominciassero a percepire una contraddizione tra le due cose.

“Ci insegnavano la lotta di classe, ma poi ci dicevano di andare a fondare o unirci a un kibbutz”, ricorda Machover. “Cosa c’entra questo con il socialismo? Aveva senso come missione sionista, ma se si pensa alla rivoluzione socialista, allora il luogo dove farla è la classe operaia, non andare a fondare un kibbutz”.

Quando Machover e i suoi amici hanno cercato di esprimere questa prospettiva durante le riunioni, sono stati prontamente messi a tacere e poi espulsi. “Non ci era permesso contestare l’ideologia del movimento”, spiega Machover. “C’era il divieto per [gli altri membri] di avere a che fare con noi. Tre di noi sono stati ostracizzati”.

Per alcuni anni, Machover rimase “a spasso”, provando alcuni altri movimenti giovanili ma faticando a trovare una collocazione politica. Alla fine, dopo aver iniziato gli studi universitari all’Università Ebraica di Gerusalemme, si iscrisse al Partito Comunista. All’inizio degli anni ’60, tuttavia, Machover faceva parte di un piccolo gruppo di lavoro che cominciava a manifestare il proprio malcontento per lo stalinismo del partito. “Non avevamo intenzione di fondare un nuovo gruppo così presto”, racconta. Ma quando la direzione del partito scoprì che i membri di diverse sezioni e altri attivisti tenevano riunioni in segreto, furono prontamente cacciati.

Così, alla fine del 1962, nacque Matzpen. I quattro attivisti che ne avviarono la formazione – Akiva Orr, Oded Pilavsky, Yirmiyahu Kaplan e Machover – volevano che l’organizzazione fosse non settaria, consentendo una discussione più aperta rispetto alla rigida disciplina dell’ICP (Israeli Communist Party).

Machover sottolinea che si trattava anche di un’organizzazione radicata nella classe operaia e rifiuta la rappresentazione del Matzpen come un gruppo di intellettuali ashkenaziti della classe media. Tra i primi membri di spicco del gruppo c’erano attivisti mizrahi, tra cui Haim Hanegbi, nipote dell’ex rabbino capo sefardita di Hebron. C’erano anche attivisti palestinesi – molti dei quali si unirono nel 1963 staccandosi dalla sezione di Haifa dell’ICP – tra cui Jabra Nicola, che Machover cita più volte nel corso della nostra conversazione come persona capace di esercitare un’importante influenza sul pensiero di alcuni del gruppo.

Moshe Machover, a sinistra, e Jabra Nicola, a destra, nel 1968. (Cortesia)

Nonostante la sua fama odierna, la prima edizione (novembre 1962) della rivista mensile Matzpen – con il cui nome il gruppo divenne presto noto – conteneva un solo articolo relativo alla lotta palestinese, in cui si spiegava perché non ci sarà pace se non si concederà ai rifugiati palestinesi il diritto al ritorno. Altri articoli dell’edizione trattavano dei problemi dell’ICP, della necessità di aumentare il salario minimo e della lotta per trasformare la federazione sindacale Histadrut (un organo del movimento sindacale sionista, dominato dal governo Mapai dell’epoca) in un sindacato indipendente che separa i diritti dei lavoratori dagli interessi del sionismo e dello Stato.

Secondo Machover, c’era un valore strategico nel cercare di unire raggruppamenti e lotte disparate in un movimento coerente: “Ritenevamo che la sinistra radicale fosse così piccola da non potersi permettere di dividersi secondo rigide linee dottrinali”. Ma un decennio dopo, proprio il Matzpen sarebbe stato afflitto da scissioni – ciò che Machover chiama “la malattia della sinistra radicale” – che avrebbero indebolito e infine messo fuori combattimento l’organizzazione.

“Una nazione di assassini e di vittime”

Il Matzpen è forse più noto per un breve annuncio apparso sul quotidiano liberale Haaretz nel settembre 1967, in cui si chiedeva a Israele di ritirarsi dai territori che aveva occupato appena tre mesi prima. Non era, in senso stretto, una pubblicazione del Matzpen; non tutti i 12 firmatari relativamente sconosciuti dell’annuncio erano membri, ma tutti erano almeno “simpatizzanti”, secondo Machover. Il testo è comunque diventato una parte importante del retaggio di Matzpen.

“Il nostro diritto di difenderci dallo sterminio non ci dà il diritto di opprimere gli altri”, si leggeva. “L’occupazione porta a un dominio straniero. Il dominio straniero porta alla resistenza. La resistenza porta alla repressione. La repressione porta al terrore e al contro-terrore. Le vittime del terrore sono per lo più persone innocenti. Mantenere i territori occupati ci trasformerà in una nazione di assassini e di vittime di assassini. Dobbiamo lasciare immediatamente i territori occupati”.

Una copia di questo annuncio è appesa alla parete dello studio di Machover nella sua casa di Londra, e lui si prende il merito dell’aggiunta all’ultimo minuto di due o tre parole: “Ho detto [all’autore principale, Shimon Tzabar] che dovevamo aggiungere ‘e al contro-terrore’, perché il terrore verrà da Israele. E Shimon ha accettato immediatamente”. Ancora oggi, continua Machover, “questo annuncio viene periodicamente citato come esempio di una profezia che si avvera. La gente si riferisce a questo e dice: ‘Wow, hanno capito subito’. Ma non c’era bisogno di essere profeti. Pensavamo che fosse semplice buon senso politico”.

Questa dichiarazione aumentò notevolmente il profilo di Matzpen, generando un improvviso picco di copertura mediatica che “ci ha fatto sembrare molto più grandi di quanto fossimo”, dice Machover. Ma dato che la maggior parte del Paese era inondata dall’euforia nazionalista sulla scia della guerra – in cui Israele triplicò il territorio sotto il suo controllo avendo conquistato la Cisgiordania, Gaza, Gerusalemme Est, le alture del Golan e la penisola del Sinai – la notorietà produsse un significativo contraccolpo contro il gruppo. “C’è stato un pandemonio di odio”, continua. “Non posso descriverlo diversamente. È stata una campagna di odio fomentata dalla stampa”.

Membri di Matzpen manifestano contro l’occupazione. Israele, data e luogo precisi sconosciuti. (Matzpen.org)

Inevitabilmente, questa campagna di incitamento andò oltre le pagine dei giornali e i membri di spicco del gruppo iniziarono presto a ricevere minacce di morte per telefono. Lo stesso Machover ricevette diverse telefonate di questo tipo, ad alcune delle quali risposero i suoi figli piccoli. “Io non ero così colpito personalmente, ma mia moglie, credo, soffriva di più”, racconta.

Per Machover, tuttavia, la dichiarazione non fu la cosa più importante scritta da Matzpen quell’anno, né l’articolazione più chiara delle loro posizioni. Questa si trova invece in un articolo pubblicato nel maggio 1967, meno di un mese prima della guerra, intitolato “The Palestine Problem and the Israeli-Arab Dispute“.

Frutto di anni di teorizzazione, l’articolo chiedeva la “de-sionizzazione” di Israele attraverso l’abrogazione della Legge del Ritorno (che consente a qualsiasi ebreo del mondo di immigrare e di essere naturalizzato cittadino israeliano) e di tutte le altre leggi che discriminano i non ebrei, nonché la concessione del diritto al ritorno ai rifugiati palestinesi.

L’articolo distingue inoltre il sionismo da altri casi di colonialismo d’insediamento prevalenti all’epoca, come in Sudafrica e in Algeria, sottolineando che il progetto sionista si basava sul lavoro dei coloni. Questo, si sostiene, ha portato alla nascita di una nuova nazione “ebraica” tra il fiume e il mare, distinta non solo dagli indigeni palestinesi, ma anche dalla diaspora ebraica da cui originava. La soluzione al problema, quindi, deve “non solo riparare al torto subito dagli arabi palestinesi, ma anche assicurare il futuro nazionale delle masse ebraiche”, che si otterrebbe integrando entrambe le nazioni in un’unione socialista mediorientale.

Naturalmente, molte cose sono cambiate in Israele-Palestina e nel mondo in generale da quando l’articolo è stato scritto, e Machover si affretta a sottolineare che alcune parti di esso sono “grossolanamente superate”, compresa la rappresentazione di Israele come debole ed economicamente dipendente dagli Stati Uniti. Anche l’idea di un’unione socialista che abbracci la regione suona più fantasiosa oggi di quanto non lo fosse all’epoca in cui il socialismo era ancora una forza potente nella politica mondiale. Eppure, “l’analisi della natura del conflitto a cui siamo arrivati negli anni Sessanta è fondamentalmente valida ancor oggi”, sostiene l’autore, “con alcune modifiche dovute ai cambiamenti delle circostanze”.

E poiché Matzpen aveva capito che il colonialismo era il nocciolo del conflitto, la guerra del 1967 non li colse di sorpresa. “La colonizzazione è come un gas”, dice Machover, “occupa qualsiasi spazio disponibile. È stato così in America, con il Manifest Destiny, ed è così con la colonizzazione sionista. Finché non incontra una barriera insormontabile, continuerà a espandersi”.

I beduini palestinesi con cittadinanza israeliana cercano di fermare i bulldozer israeliani utilizzati in un programma di piantumazione di alberi condotto dal Fondo Nazionale Ebraico (JNF) sul terreno del villaggio di Sa’we al-Atrash, nel deserto del Naqab/Negev, 12 gennaio 2022. (Oren Ziv)

Afflitto da divisioni

Nel 1968, Machover lasciò il Paese per accettare un incarico di insegnamento all’Università di Londra. Non aveva intenzione di rimanervi a lungo: il suo piano era di rimanere per un paio d’anni e di tornare quando Israele avesse restituito i territori occupati. Oggi ride della sua ingenuità, ma sottolinea che all’epoca molti si aspettavano che Israele si ritirasse dai territori di fronte alle pressioni internazionali, proprio come aveva fatto dopo la guerra di Suez nel 1956 per ordine degli Stati Uniti. Ma il quadro internazionale era cambiato: Israele non era più “un nuovo socio dell’imperialismo francese”, come dice Machover, ma una risorsa strategica degli Stati Uniti.

“Da quel momento in poi, non sono più stato sulla scena“, racconta. “Ma io e altri compagni –tra cui [il cofondatore di Matzpen] Akiva Orr, che si trovava anch’egli a Londra, e i nostri ‘co-pensatori’ in Germania, Francia e Stati Uniti– ci siamo prefissi di educare la sinistra sul tema Israele-Palestina. Sono stato invitato a parlare nelle università e talvolta nelle sedi del Partito Laburista [britannico] per fornire la mia analisi della situazione”.

In un documentario del 2003 sul Matzpen, Orr racconta che negli anni ’70 l’organizzazione riceveva così tanti inviti a parlare a Londra che i membri dovevano spesso dividerli tra loro, a volte facendone più di uno al giorno. Gli studenti sionisti che cercavano di discutere con loro erano talmente confusi dal loro livello di conoscenza e di analisi che la loro unica scappatoia era porre domande irrilevanti per perdere tempo e “minimizzare il danno“.

“Abbiamo investito molto in questo”, racconta Machover. “All’epoca c’era molta simpatia per il sionismo, anche tra la sinistra. E in una certa misura penso che possiamo dire di essere riusciti a influenzare l’opinione pubblica di sinistra in Europa nello spirito delle idee di Matzpen, contribuendo alla comprensione del sionismo come ideologia e progetto colonizzatore”.

Anche gli attivisti del Matzpen in Europa erano impegnati a scrivere articoli sotto la bandiera dell’Israeli Revolutionary Action Committee Abroad (ISRACA). Un’altra rivista, Khamsin, pubblicò articoli di attivisti del Matzpen e di marxisti di tutto il Medio Oriente fino agli anni Ottanta. “Essendo presenti a Londra e a Parigi, avevamo il vantaggio di poter entrare liberamente in contatto con co-pensatori del mondo arabo”, osserva Machover. E data l’insistenza di Matzpen nel risolvere la questione della Palestina attraverso un approccio transnazionale e socialista, “avevamo un bisogno vitale di creare contatti e dialogare con le forze radicali di sinistra a livello regionale”.

Negli anni ’70, tuttavia, il Matzpen in Israele era già afflitto da divisioni. Fin dalla sua fondazione, l’organizzazione aveva cercato di bilanciare la lotta contro il capitalismo con quella contro il colonialismo, affermando che affrontare una di queste lotte da sola sarebbe stato inutile. Ma nel 1970, due piccole fazioni si staccarono in direzioni opposte per concentrarsi separatamente su ciascuna di queste lotte.

Il blocco di Matzpen alla manifestazione del 1° maggio a Tel Aviv, 1979. (Matzpen.org)

Il primo, noto come Avantguard (o Alleanza dei Lavoratori), scelse di enfatizzare la natura capitalistica di Israele; il secondo, noto come Ma’avak (o Alleanza Comunista Rivoluzionaria), “voleva più o meno che Matzpen fosse un gruppo di sostegno alla lotta palestinese”, dice Machover. “Quelli di noi che sono rimasti erano più critici nei confronti dell’OLP, per esempio. Certamente appoggiavamo la lotta palestinese, ma eravamo critici nei confronti dell’ideologia nazionalista”. Ma’avak si è spento poco tempo dopo e il suo leader, Ilan Halevi, si è poi unito ufficialmente all’OLP.

Queste due spaccature, che Machover descrive come “salutari”, erano abbastanza piccole da permettere all’organizzazione di continuare a funzionare come prima. Due anni dopo, però, si verificò una scissione ben più fatale su un dibattito storico del tutto irrilevante per la lotta centrale dell’organizzazione in Israele: la repressione della ribellione dei marinai di Kronstadt nel 1921, su ordine del leader rivoluzionario russo Leon Trotsky, che il gruppo scissionista di Matzpen insisteva a giustificare.

Machover definisce questa “una questione assurda per la quale dividere un gruppo israeliano”, portandolo a sospettare che la fazione separatasi – che si faceva chiamare Matzpen Marxists (o Lega Comunista Rivoluzionaria) – potesse ricevere istruzioni dalla Quarta Internazionale trotskista. La scissione creò due gruppi “troppo piccoli per essere vitali come vere organizzazioni politiche”, portando alla fine alla scomparsa di entrambi.

Verso la de-sionizzazione

Negli anni ’80, i membri originari del Matzpen erano confluiti in nuovi forum, tra cui l’effimera Lista Progressista per la Pace, che si candidò due volte alla Knesset. I veterani del Matzpen sono stati anche determinanti nella formazione di alcune delle più importanti organizzazioni israeliane per i diritti dei lavoratori; alcuni di loro sono ancora presenti in gruppi come Kav LaOved (Linea diretta dei lavoratori) e Koach L’Ovdim (Potere ai lavoratori). Quest’ultimo, dice Machover, “è la realizzazione di ciò che Matzpen chiedeva fin dal primo numero della rivista: un sindacato indipendente dal progetto sionista”.

I membri del Matzpen furono anche coinvolti in varie iniziative a sostegno della lotta palestinese. L’Alternative Information Center, una coalizione di palestinesi e israeliani che produce notizie e analisi politiche di base, è stato fondato dai membri del gruppo scissionista trotskista – alcuni dei quali gestiscono l’organizzazione ancora oggi da Betlemme. Altri erano attivi nel Comitato di solidarietà con l’Università di Birzeit e altri ancora nell’organizzazione di solidarietà per gli obiettori militari israeliani, Yesh Gvul.

Più di cinque decenni dopo aver lasciato il Paese, Machover considera ancora suo dovere politico educare gli altri su Israele-Palestina attraverso la lente analitica sviluppata da Matzpen tanti anni fa. Per questo motivo, non si esime dall’offrire una critica alla sinistra antisionista di oggi.

Attivisti israeliani di sinistra marciano a Tel Aviv durante una protesta per i 55 anni di occupazione israeliana della Cisgiordania, di Gaza e di Gerusalemme Est, il 18 giugno 2022. (Oren Ziv/Activestills)

Pur accogliendo con favore la crescente comprensione del fatto che il conflitto israelo-palestinese è una lotta coloniale tra coloni e popolazioni indigene, mette in guardia dal concludere che la soluzione di un unico Stato sia il modo per risolverlo. “I critici radicali della colonizzazione sionista tendono a farsi sedurre da uno Stato con pari diritti”, suggerisce. “Ma non colgono la sottigliezza dell’elemento della nostra analisi che si concentra sull’agente del cambiamento: non possono indicare chi lo farà”.

In Sudafrica, spiega Machover, “l’apartheid non è caduto a causa del boicottaggio internazionale, anche se questo ha contribuito, ma a causa della sconfitta militare nel Sudafrica sud-occidentale e della lotta di classe della classe operaia, principalmente nera, che era indispensabile all’economia sudafricana e quindi aveva un’enorme influenza. Non c’è nulla di analogo in Israele-Palestina, perché le principali vittime della colonizzazione non hanno la stessa influenza”.

La ricerca della “manodopera ebraica”, una politica dei primi sionisti che è stata centrale per la colonizzazione della Palestina, ha cercato di espropriare attivamente i palestinesi della loro rilevanza economica, evitando così una situazione di dipendenza sionista. L’afflusso di decine di migliaia di palestinesi nel mercato del lavoro israeliano dopo l’occupazione del 1967 ha certamente aumentato la dipendenza, ma l’istituzione di un regime di permessi dopo la Prima Intifada – che è stato ulteriormente rafforzato con lo scoppio della Seconda Intifada – ha fermato questo fenomeno.

Data questa realtà, continua, “l’unico modo in cui il regime sionista può essere rovesciato, cioè la de-sionificazione, è con la partecipazione, o almeno il consenso, delle masse israeliane – soprattutto della classe operaia. Abbiamo capito già nel 1967 che questo non può avvenire solo all’interno della scatola israelo-palestinese, e non può avvenire in un contesto capitalista. Non c’è motivo per cui la classe operaia ebraica voglia scambiare il regime sionista con uno Stato democratico che sia capitalista, perché ciò comporterebbe una perdita di privilegi: da una classe sfruttata che fa parte della nazione privilegiata, a una classe sfruttata che non fa parte di una nazione privilegiata. Che guadagno ci sarebbe?”.

Il socialismo, prosegue Machover, non può avere successo all’interno di un singolo Paese, e certamente non in uno delle dimensioni di Israele-Palestina. Per questo motivo, sostiene, la soluzione deve prevedere una federazione socialista regionale. In uno scenario del genere, la classe operaia israeliana si guadagnerebbe una posizione “come classe dirigente di una nazione non privilegiata”.

“Non dico che sia probabile, e di certo non dico che accadrà domani. Penso che sia molto più probabile assistere a un’altra Nakba prima di arrivare a una situazione in cui la risoluzione del conflitto sia possibile”, avverte. “Ma questa è almeno una possibilità logica. Dipende dal fatto che gli attivisti socialisti arabi siano abbastanza lungimiranti da capire che hanno bisogno della classe operaia israeliana”.

A sessant’anni dalla fondazione di Matzpen e a mezzo secolo dalla sua fatale scissione, Machover non ha certo perso la speranza che questo futuro possa davvero realizzarsi un giorno, anche se non nel corso della sua vita. “L’esperienza ci ha insegnato a non essere troppo ottimisti nel breve e medio termine. Ma a lungo termine”, sorride con consapevole sicurezza, “sono molto ottimista”.

Ben Reiff è uno scrittore e attivista del Regno Unito. Twitter: @bentreyf.

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Traduzione a cura di AssoPacePalestina

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