In difesa di Francesca Albanese

Dic 18, 2022 | Notizie

di Jamie Stern-Weiner,  

15 dicembre 2022

Francesca Albanese

Nel luglio 2014, Israele ha intrapreso un brutale assalto militare contro la Striscia di Gaza. Le forze israeliane hanno ucciso più di 2.000 palestinesi, tra cui 550 bambini. Il presidente del Comitato Internazionale della Croce Rossa ha commentato: “Non ho mai visto una distruzione così massiccia“.

Mentre questa devastazione si svolgeva, Francesca Albanese –allora specialista dei rifugiati palestinesi, oggi Relatrice Speciale delle Nazioni Unite sui Diritti Umani nei Territori palestinesi occupati– scrisse al vescovo della sua famiglia lanciando l’allarme e sollecitando la raccolta di fondi umanitari. Albanese ha pubblicato la lettera sulla sua pagina Facebook. La lettera denunciava l’anomalo sostegno degli Stati Uniti e dell’Unione Europea all’offensiva di Israele nei seguenti termini:

Mentre Paesi come il Perù, l’Ecuador, il Cile e il Brasile hanno già condannato il massacro in corso a Gaza e hanno interrotto tutte le relazioni militari e commerciali con Israele, l’America e l’Europa, la prima soggiogata dalla lobby ebraica e la seconda dal senso di colpa per l’Olocausto, restano in disparte e continuano a condannare gli oppressi… invece di richiamare Israele alle sue responsabilità di diritto internazionale.

Ora si sostiene che il riferimento di Albanese a una potente “lobby ebraica” americana fosse antisemita. Questa accusa è priva di fondamento.

In primo luogo, è chiaro che Albanese si riferiva al sostegno degli Stati Uniti all’aggressione di Israele a Gaza, non al governo statunitense in generale. È certamente possibile sopravvalutare l’influenza delle organizzazioni di difesa degli ebrei americani, e qualsiasi suggerimento che tali gruppi controllino la politica statunitense nel suo complesso sarebbe palesemente inesatto. Ma Albanese non ha detto questo.

In secondo luogo, nel dibattito politico non solo è legittimo, ma anche abituale, fare riferimento al potere dei gruppi di pressione: negli Stati Uniti, ad esempio, far riferimento alla presa della National Rifle Association (NRA) sulla politica delle armi, a quella di Big Pharma sulla politica sanitaria o a quella della lobby cubana sulla politica di Cuba.

In terzo luogo, gli stessi lobbisti pro-Israele pubblicizzano il loro ruolo nel supportare il sostegno degli Stati Uniti a Israele. L’AIPAC si è vantata di essere stata definita dal New York Times “l’organizzazione più importante che influisce sulle relazioni dell’America con Israele”, mentre un alto funzionario dell’AIPAC una volta si è vantato che “in ventiquattr’ore potremmo avere le firme di settanta senatori”.

Inoltre, quando questi gruppi di pressione sostengono Israele, spesso lo fanno qualificandosi come gruppi ebraici. Durante l’offensiva israeliana del 2014 a Gaza, un tipico comunicato stampa recitava: “I leader ebrei… invitano la comunità internazionale a stare dalla parte di Israele”. L’American Jewish Committee si definiva “il Dipartimento di Stato del popolo ebraico” mentre “si mobilitava per… presentare ai leader statunitensi le ragioni della risposta militare di Israele”.

Aveva ragione Albanese a suggerire che tali interventi avessero un effetto politico? Aveva ragione il New Yorker a definire l’ampio sostegno del Congresso all’attacco di Israele a Gaza del 2014 come “un trionfo per l’AIPAC“? L’eminente professore Ian Lustick aveva ragione a parlare di “veto effettivo della lobby israeliana sulla politica estera degli Stati Uniti nei confronti di Israele e soprattutto sul conflitto israelo-palestinese”? Queste domande richiedono una discussione ragionata, non epiteti che cercano solo di mettere a tacere un avversario.

Il Times of Israel sostiene che “i riferimenti agli ebrei e alle lobby ebraiche che esercitano un potere sproporzionato sono considerati antisemiti”. In realtà, un ex direttore della Anti-Defamation League può descrivere con disinvoltura “l’ebraismo americano” come “politicamente e strategicamente … cruciale” per le relazioni tra Stati Uniti e Israele senza temere polemiche. Anche la lettera di Albanese su Gaza, scritta a titolo personale più di otto anni fa, non era degna di nota. È stata riesumata ora per due sole ragioni. Per minare i suoi sforzi come relatrice speciale dell’ONU per rendere Israele responsabile delle sue violazioni degli standard universali sui diritti umani. E per screditare la sua opposizione – insieme a molti gruppi ebraici ed esperti accademici – a una campagna politica in corso volta a confondere le critiche legittime e puntuali a Israele con l’antisemitismo.

Si spera che il pubblico non si lasci ingannare da questa campagna diffamatoria per metterla a tacere.

Traduzione a cura di AssoPacePalestina

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1 commento

  1. Sebastiano Comis

    Strano che la Stern-Weiner non citi The Israel lobby and U.S. foreign policy, che è un famoso studio di due sociologi ebrei americani, Mearsheimer e Walt, pubblicato nel 2007. Vero è che della lobby fanno parte anche i Cristiani Evangelici, che considerano la rinascita dello stato di Israele come la condizione per il ritorno di Cristo sulla terra. Ma si tratta, come scrivono gli autori, di un ‘socio di minoranza’ della componente ebraica, che con AIPAC, ADL e una fitta rete di associazioni e organizzazioni, interviene in tutti i livelli della informazione e della politica americana per orientarla a favore di Israele.

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