La solidarietà palestinese ai mondiali di calcio e il fallimento della politica statunitense

Dic 15, 2022 | Notizie

di Joel Beinin,  

DAWN, 14 dicembre 2022.  

I tifosi reggono uno striscione con la scritta “Palestina libera” durante la partita della fase a gironi dei Mondiali di Calcio tra Tunisia e Australia ad Al-Wakrah, in Qatar, il 26 novembre 2022. (foto di James Williamson/Ama/Getty Images)

La Coppa del Mondo di Calcio in Qatar e la conferenza annuale a Washington di J Street, il gruppo di pressione sionista liberale, si sono svolte a mezzo mondo di distanza. Il loro significato globale è enormemente diverso. Eppure, insieme, hanno evidenziato sia quanto l’amministrazione Biden è senza contatto con il sentimento popolare a livello internazionale, sia il fallimento della sua politica su Israele/Palestina.

La Palestina è stata onnipresente ai Mondiali di Calcio. Nonostante l’eccezionale repressione politica che il Qatar ha imposto all’evento sportivo più seguito al mondo, le squadre e i tifosi hanno ripetutamente dimostrato il loro sostegno al popolo palestinese, soprattutto nelle straordinarie prestazioni del Marocco, i cui giocatori hanno spiegato la bandiera della Palestina dopo ogni emozionante vittoria. La Palestina è diventata un simbolo globale di resistenza a una dominazione ingiusta.

Alla conferenza di J Street del 3 dicembre, il direttore esecutivo dell’organizzazione, Jeremy Ben-Ami ha fatto qualche piccolo passo indietro rispetto alla sua precedente insistenza dogmatica sul fatto che la soluzione dei due Stati è l’unica soluzione accettabile alla questione della Palestina. Al contrario, nel suo discorso a J Street del giorno successivo, il Segretario di Stato Antony Blinken ha ripetuto come un robot l’impegno dell’amministrazione Biden per l’inafferrabile soluzione dei due Stati, pur non offrendo alcun accenno a come potrebbe essere raggiunta.

Dopo la splendida vittoria sulla Spagna negli ottavi di finale della Coppa del Mondo, la squadra marocchina ha posato per una foto trionfale con la bandiera della Palestina, mentre i suoi sostenitori più accaniti sventolavano sia la bandiera marocchina che quella palestinese. Le bandiere palestinesi erano di nuovo presenti sugli spalti durante la sensazionale vittoria del Marocco contro il Portogallo per accedere alle semifinali. Prima della vittoria del Marocco sul Belgio nella fase a gironi, i fan hanno cantato “Alla nostra amata Palestina, il più bello di tutti i Paesi”. Questo inno, solitamente cantato dai tifosi della principale squadra di calcio marocchina, il Raja Casablanca, è risuonato per tutto il torneo. Dopo aver sconfitto il Canada, i giocatori marocchini hanno marciato sul campo con una bandiera palestinese, e i tifosi dello stadio al-Thumama di Doha hanno fatto lo stesso.

La solidarietà con la Palestina si è estesa anche ad altre partite delle squadre arabe. Durante la partita della Tunisia contro l’Australia, i tifosi presenti allo stadio hanno spiegato un’enorme bandiera palestinese con la scritta “Free Palestine”. Nel bel mezzo della partita Tunisia-Francia, un uomo è entrato in campo portando una bandiera palestinese. “La Palestina è il 33° Paese della Coppa del Mondo”, ha dichiarato un tifoso marocchino al New York Times. “La Palestina è la nostra causa, la nostra lotta nel mondo arabo, in tutto il mondo arabo”.

Sotto la pressione degli Stati Uniti nei giorni finali dell’amministrazione Trump, il Marocco e il Sudan hanno normalizzato le relazioni con Israele, seguendo l’esempio degli Emirati Arabi Uniti e del Bahrein, stipulando gli accordi di Abramo. Come parte dell’accordo Marocco-Israele, l’amministrazione Trump ha riconosciuto l’annessione del Sahara Occidentale da parte del Marocco, che ha invaso e occupato quel territorio nel 1975. È stato il seguito naturale del riconoscimento da parte di Trump di Gerusalemme come capitale di Israele, compresa Gerusalemme Est annessa, e del riconoscimento delle alture del Golan occupate come territorio israeliano. Ma i successi del Marocco nella Coppa del Mondo appartengono al popolo marocchino, non al regime.

C’erano anche giornalisti tra i 5.000 israeliani a cui il Qatar ha permesso di volare direttamente nel Paese per il torneo. Molti di questi giornalisti israeliani hanno segnalato che i tifosi arabi si sono rifiutati di parlare con loro o hanno infilato la causa della Palestina nelle loro trasmissioni, nonostante la recente conclusione di accordi di pace con Paesi arabi che non sono mai stati in guerra con Israele.

Il marocchino Jawad El Yamiq sventola la bandiera palestinese dopo la vittoria della sua squadra sul Canada durante la fase a gironi dei Mondiali di Calcio in Qatar. 1 dicembre 2022. (Foto di Natalia Kolesnikova/AFP via Getty Images)

Egitto e Israele hanno firmato un trattato di pace nel 1979. Ciononostante, un tifoso egiziano intervistato in diretta TV ha risposto all’affermazione di un giornalista israeliano secondo il quale la loro presenza ai Mondiali era espressione di coesistenza con un “Viva la Palestina.” Un tifoso britannico ha fatto lo stesso dopo la facile vittoria della sua squadra sul Senegal, gridando “Palestina libera” al microfono, con grande disappunto del giornalista israeliano che voleva solo “parlare di calcio”.

L’amministrazione Biden, come la maggior parte degli israeliani e del gruppo di politica estera di Washington, persiste nel promuovere la nozione illusoria che gli accordi diplomatici tra Israele e le autocrazie arabe contribuiscano alla causa della pace tra Israele e i palestinesi. Biden ha retoricamente preso le distanze dalla sua amministrazione precedente, ma su Israele/Palestina –come su molte altre questioni di politica estera che coinvolgono il diritto internazionale e i diritti umani, come il trattamento dei rifugiati haitiani e l’espulsione dei richiedenti asilo ai sensi del Titolo 42– Biden si è discostato solo in parte e sotto forti pressioni dalle politiche dell’era Trump.

Biden non ha revocato il riconoscimento statunitense di Gerusalemme come capitale di Israele né ha spostato l’ambasciata americana a Tel Aviv, dove si trovava dal 1966. Né ha invertito il riconoscimento di Trump della sovranità israeliana sulle alture del Golan. L’amministrazione di Biden non ha fermato la costruzione di un’ambasciata statunitense a Gerusalemme su un terreno rivendicato dai Khalidis, un’importante famiglia palestinese, e annesso da Israele durante la guerra del 1967. Non ha riaperto il consolato statunitense a Gerusalemme Est. Biden ha anche rinnegato la promessa di permettere all’Autorità Palestinese di riaprire il suo ufficio a Washington, chiuso sotto l’amministrazione Trump, e ha ripristinato solo parzialmente gli aiuti finanziari ai palestinesi che Trump aveva interrotto.

Nel suo intervento alla conferenza di J Street, Ben-Ami ha affermato che il prossimo governo di destra è “impegnato in politiche che probabilmente mireranno a consolidare il controllo permanente e non democratico di milioni di palestinesi”. Tuttavia, non ha riconosciuto che Israele, ad eccezione di una breve parentesi all’inizio del 1967, ha esercitato un controllo antidemocratico sui palestinesi poiché nel 1949 ha istituito un governo militare sui suoi cittadini palestinesi. Né ha suggerito che l’aver dominato il popolo palestinese sin dalla nascita dello Stato ebraico abbia minato le pretese di Israele di essere una democrazia. Naturalmente, si tratta di questioni estremamente difficili da sollevare per chiunque si sia impegnato intensamente a favore di Israele. Comunque, un numero crescente di ebrei e non ebrei le sta sollevando.

Ma non l’amministrazione Biden. E non la leadership del Partito Democratico. Nelle sue osservazioni a J Street, Blinken ha celebrato l’erogazione annuale di 3,8 miliardi di dollari di aiuti militari statunitensi a Israele e la serie di esercitazioni militari congiunte, la ricerca e lo sviluppo di armi, come se ciò contribuisse a un Medio Oriente pacifico. Ha espresso fugacemente preoccupazione per le escalation di violenza dei coloni israeliani contro i palestinesi e l’incessante espansione degli insediamenti. Ma Blinken non ha proposto nulla per ostacolarli, pur ammettendo che “minano le prospettive di una soluzione a due Stati”.

La popolazione dei coloni è aumentata durante l’amministrazione Trump, raggiungendo 475.000 unità in Cisgiordania e oltre 200.000 a Gerusalemme Est, al momento dell’insediamento di Biden. Il governo israeliano entrante comprende elementi religioso-fascisti decisi ad annettere questi territori. Di conseguenza, un numero crescente di osservatori esperti ha concluso che il sostegno alla tradizionale soluzione dei due Stati è diventato paragonabile alla fede nella venuta del Messia.

L’amministrazione Biden è meno disposta di J Street a riconoscere, come ha detto Ben-Ami, che “siamo impantanati in un’occupazione permanente e la realtà antidemocratica e ingiusta di uno Stato unico è su di noi”. In altre parole, il fallimento del processo di Oslo ha portato all’eliminazione di Israele e Palestina come entità politiche separate e vitali. Ben-Ami era pronto a ipotizzare che il Congresso potesse finalmente imporre dei costi a Israele: “Forse è giunto il momento di una seria supervisione e di un’assunzione di responsabilità su come i nostri aiuti a Israele vengono effettivamente utilizzati”. Ma Blinken ha intonato meccanicamente il ritornello “la nostra assistenza alla sicurezza di Israele è sacrosanta”.

La presenza della Palestina ai Mondiali di Calcio ha dimostrato che, mentre gli autocrati arabi sono disposti a continuare ad acquistare armamenti statunitensi e a concludere accordi di sicurezza e investimento con Israele, nella regione c’è poco sostegno popolare per la negazione perpetua della vita e dei diritti dei palestinesi. La posizione ostinata di Biden sul mantenimento del sostegno militare a Israele e alla sua occupazione permanente della Palestina indica che, sebbene il sostegno della comunità ebraica americana sia un importante facilitatore, il principale motore dell’alleanza USA-Israele è l’impegno comune per l’egemonia statunitense in Medio Oriente.

Joel Beinin è professore di Storia e di Storia del Medio Oriente per la cattedra Donald J. McLachlan, emerito all’Università di Stanford, e collaboratore non residente di DAWN.

Traduzione a cura di AssoPacePalestina

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