La maschera è caduta

Dic 14, 2022 | Notizie, Riflessioni

di James J. Zogby,

Jordan Times, 12 dicembre 2022.   

Itamar Ben Gvir e Benjamin Netanyahu

Il sionismo politico ha sempre avuto due personalità distinte e contraddittorie. Una lo ritraeva come un movimento di liberazione nazionale liberale, democratico, tollerante e inclusivo, quello che gli aderenti vedevano quando si guardavano allo specchio, come si presentavano e volevano essere visti dal resto del mondo.

Reagendo all’antisemitismo, alla conseguente ghettizzazione e ai pogrom che vittimizzavano l’ebraismo europeo, il sionismo politico prometteva un’alternativa per gli ebrei, che sarebbero stati liberi di realizzare il loro pieno potenziale come popolo praticando il liberalismo in una loro patria.

Ma il liberalismo europeo, su cui il sionismo politico si modellava, si basava su una contraddizione: i benefici e il progresso che forniva agli europei derivavano dall’asservimento e dallo sfruttamento coloniale di asiatici e africani e delle loro terre conquistate. Poiché i primi sionisti erano immersi nella cultura e nella visione del mondo europee, senza esitazione o imbarazzo si considerarono un’estensione dell’impresa coloniale europea. Theodore Herzl si fece guidare da Cecil Rhodes per ottenere il sostegno alla sua proposta di colonia; scrisse che l’impresa che avrebbe voluto fondare sarebbe servita come baluardo dell’Europa contro l’Asia e avamposto della civiltà contro la barbarie; e propose di utilizzare gli indigeni della nuova colonia per i lavori umili, prima di evacuarli altrove.

Con questa radicata visione del mondo, le due facce del sionismo (quella liberale e quella razzista) non sollevarono mai nemmeno un sopracciglio. Semmai, gli inglesi e i francesi (e più tardi gli Stati Uniti) compresero e abbracciarono la necessità della visione di Herzl di un avamposto civilizzato per proteggere dai barbari gli interessi e i valori occidentali.

I nostri leader statunitensi e israeliani parlano di “valori condivisi” perché entrambi siamo stati in grado di mascherare il “lato oscuro” dei nostri comportamenti con la vernice dei nostri “valori rivendicati” che si applicano a “noi” e non agli “altri”. Ed entrambi siamo riusciti a farla franca con questo gioco, fino a poco tempo fa.

Per gli Stati Uniti, la guerra in Iraq e i suoi orrori, l’epidemia di violenza con armi da fuoco, il razzismo sistemico e il movimento antidemocratico, razzista e xenofobo di Trump hanno iniziato a strappare la maschera della nostra pretesa di essere il bastione degli ideali liberali. Nonostante il record di comportamenti abominevoli di Israele nei confronti dei palestinesi, la rimozione della sua vernice di liberalismo ha richiesto più tempo, grazie a un’efficace macchina di propaganda e al timore di accuse di antisemitismo per chi denunciava l’evidente assoggettamento ed esproprio oppressivo e razzista dei palestinesi.

Ironia della sorte, è proprio la democrazia israeliana ad aver messo a nudo il suo ventre di intolleranza e violenza razzista. Con l’elezione di una coalizione di estrema destra guidata dal partito Likud di Benjamin Netanyahu e comprendente nazionalisti fanatici e partiti ultra-religiosi intolleranti, le ultime elezioni israeliane hanno rappresentato un momento chiarificatore su cosa sia il movimento politico sionista.

Il governo Netanyahu appena eletto comprenderà ministri e deputati bigotti e fautori della violenza, che sovrintenderanno alla polizia, agli insediamenti, all’amministrazione dei territori occupati, alle finanze e all'”identità ebraica”. Questi ideologi propugnano l’espulsione degli arabi; sostengono la rapida espansione degli insediamenti e l’annessione della Cisgiordania; appoggiano la violenza dei coloni contro i palestinesi; ritengono che gli ebrei siano esseri umani a tutti gli effetti e con un’anima, mentre gli arabi non lo sono; vogliono vietare le organizzazioni per i diritti umani, sostenendo che rappresentano una “minaccia esistenziale” per Israele; negano i diritti degli ebrei che non seguono la loro rigida interpretazione dell’ebraismo ortodosso; insistono nel modificare lo status quo dell’Haram Al Sharif, trasformando Gerusalemme in un’altra Hebron. Con ministri e politiche come queste, la maschera è ormai caduta.

Questo è il sionismo politico senza fronzoli: intolleranza, bigottismo, repressione e aggressione, senza la vernice “liberale” della solita retorica.

Osservare la risposta (o la mancata risposta) dei principali gruppi statunitensi pro-Israele è stato assai interessante. Ci sono state immediate proteste per la prevista propensione a cambiare la legge sulle conversioni religiose, a mettere fuori legge i diritti LGBTQ, a limitare il numero di ebrei “legittimi” che possono immigrare in Israele e a segregare le donne ebree durante la preghiera. Ma c’è stato silenzio sulle convenzioni bigotte anti-arabe sposate dai membri chiave della coalizione di governo di Netanyahu e sulle loro politiche che esproprieranno ulteriormente i palestinesi.

È vero che molti di questi orrendi atteggiamenti e politiche hanno condizionato la vita dei palestinesi per decenni, ma sono sempre stati coperti dalla facciata del liberalismo sionista. Ora la maschera è caduta e coloro che, per decenni, hanno spalleggiato Israele devono riconoscere l’orrenda realtà che è potuta crescere grazie al loro silenzio.

James J. Zogby è presidente dell’Arab American Institute di Washington.

https://www.jordantimes.com/opinion/james-j-zogby/mask

Traduzione a cura di AssoPacePalestina

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