L’immigrazione palestinese in Cile

Dic 13, 2022 | Notizie

di Ricardo Marzuca Butto,

This Week in Palestine, #296 dicembre 2022.

A causa della crisi economica, sociale e politica che si verificò in concomitanza con la caduta dell’Impero Ottomano e la successiva colonizzazione europea, circa seicentomila palestinesi, siriani e libanesi furono costretti a lasciare le loro case in cerca di nuove opportunità. Molti emigrarono in Nord America, mentre molti altri si stabilirono in America Latina. La promessa di una vita migliore rendeva infatti le Americhe la destinazione più apprezzata.

Si stima che tra gli ottomila e i diecimila arabi dall’area medio orientale arrivarono in Cile tra il 1885 e il 1940, date entro le quali si ritiene avvenne l’afflusso più significativo di arabi nel paese. Mentre all’inizio arrivavano siriani, palestinesi e libanesi, nei decenni successivi, data la gravità della situazione in Palestina sotto il dominio britannico, e ancora di più con la Nakba e con la colonizzazione sionista, i palestinesi crebbero di numero diventando la più ampia di queste comunità arabe oltre che la più grande comunità palestinese al di fuori del mondo arabo.

Antica Mappa, South America Railways Marine, Itinerari delle Navi a Vapore, Originale, circa 1907. Dal libro “Mio nonno Khalil, il viaggio di un immigrante”.

Perché in Cile? Vale la pena di considerare i diversi motivi.

In paesi come il Brasile e l’Argentina, la stragrande maggioranza degli oltre centomila immigrati erano siriani e libanesi. Ciò portò molti palestinesi ad attraversare la catena montuosa delle Ande alla ricerca di nuovi orizzonti.

Un fatto che dovrebbe essere tenuto presente è che gli arabi non erano accolti bene nelle Americhe: la strada dell’accettazione e dell’integrazione era difficile. I primi palestinesi, siriani e libanesi arrivati in America Latina con passaporti ottomani furono osteggiati dalla comunità locale e relegati negli strati più infimi della piramide sociale, come appartenenti a razze inferiori ed esotiche.

In America latina la cosiddetta “turcofobia” conseguenza dell’orientalismo, aveva decretato che l’Europa e la razza bianca erano gli ideali a cui gli emergenti stati latino-americani dovevano aspirare. Basti ricordare il caso dell’ Argentina, dove nel 1920 un disegno di legge per l’espulsione degli immigrati di lingua araba fu discusso al Congresso della Nazione. La discussione di quel disegno di legge certamente sollecitò molti palestinesi che arrivavano a Buenos Aires ad attraversare le Ande – i primi eroicamente a dorso di mulo- sebbene anch’essi fossero poi destinati a subire discriminazioni e respingimenti in Cile.

Il viaggio verso il Cile per i primi immigranti palestinesi non era facile. Il viaggio in mare poteva durare fino a tre mesi, passando per Genova in Italia o Marsiglia in Francia. Molti di questi primi immigranti erano letteralmente dei bambini e non conoscevano la lingua e la cultura del paese che li avrebbe ricevuti. Molti arrivavano fino al porto di Buenos Aires e da lì a Santiago del Cile, passando le Ande su muli e asini. Foto gentilmente concessa da paginasarabes.com.

Il senso della famiglia dei palestinesi ha portato poi ad una catena di immigrazioni. Quando i nuovi arrivati divennero economicamente prosperi, portarono i loro parenti e li incorporarono nelle loro attività commerciali – un fatto che ha contribuito al loro accrescimento numerico. Si deve inoltre notare che, rispetto alle popolazioni migranti arrivati da vari paesi europei, i palestinesi in Cile hanno raggiunto una più ampia distribuzione su tutto il territorio nazionale, grazie soprattutto al loro impegno nelle attività commerciali. Infine, alcuni immigrati affermano nella loro testimonianze che il clima in Cile era attraente per loro e molti lo associavano al clima della Palestina, che li faceva sentire a casa. Questo spiega perché i palestinesi che si sono stabiliti in Cile  provenivano principalmente da Beit Jala, Betlemme e Beit Sahour.

Vista di Santiago, Cile, 1930. Dal libro “My Grandfather Khalil, an immigrant journey”.

In risposta al rifiuto da parte della società latino americana, principalmente dalle élite dominanti ed europeizzate, i palestinesi ricorsero ben presto a meccanismi di difesa come la formazione di istituzioni in diversi ambiti di vita e la creazione di organi di stampa.

All’inizio furono create istituzioni di tipo sociale, culturale, politico, economico, religioso e
istituzioni sportive, che rispecchiavano le identità locali, regionali, nazionali presenti sul territorio. Tra questi c’erano: la Corporazione Cristiana Ortodossa (1917) che rifletteva il fatto che la maggioranza dei palestinesi era di religione cristiano ortodossa; il Club Sportivo Palestinese di Santiago (1920), che negli anni sarebbe diventato la Società Sportiva Palestinese di calcio professionistico; la Società Giovanile Palestinese del Cile (1924), che tentò di organizzare tutti i palestinesi in Cile in una “Assemblea Patriottica” con l’obiettivo di rivendicare la cittadinanza legale palestinese dalle autorità britanniche in Palestina, perché fin dall’inizio i palestinesi del Cile hanno voluto rimanere in contatto con i loro fratelli e le loro sorelle in Palestina e hanno sempre continuato a sostenerne le lotte.

Furono inoltre creati diversi centri che rappresentavano l’identità palestinese e araba –
ed erano visti come complementari l’uno all’altro – quali: la Società Araba di Curicó (1916), il
Centro dell’Unione Palestinese di Chillan (1916), e il Centro Arabo di Concepción (1924), tra i tanti
sparsi in tutto il paese. Furono poi create alcune istituzioni insieme ai fratelli siriani, come la Syrian Palestinian Commercial Association (1924) e il Club siriano-palestinese (1926). Una delle istituzioni più importanti era il Club Palestinese di Santiago, fondato nel 1938.

Un altro elemento importante fu la creazione della stampa araba, diretta principalmente da palestinesi. Il primo giornale arabo fondato dal sacerdote ortodosso Solomon Jury, fu Al-Murshid (1912-1917), che cercava di preservare la lingua, la cultura e principi religiosi ortodossi. Altri giornali nacquero negli anni ’20, come Al-Watan, fondato da Issa Khalil Dacaret e El-Sharq, per iniziativa di Salomon Ahues. Negli anni ’30, due giornali, La Reforma (Al-Islah) e Mundo Arabe, entrambi fondati da Jorge Sabaj Zurob, originario di Beit Jala, furono pubblicati prima in arabo, poi in formato bilingue arabo-spagnolo. Dalla fine degli anni ’40, Mundo Arabe è stato pubblicato solo in spagnolo.

Immigranti trasportati su un carro tirato da cavalli, Buenos Aires, Argentina, anni 1900. Dal libro “My Grandfather Khalil, an immigrant journey”.

La stampa ha giocato un ruolo fondamentale per i palestinesi del Cile. Ha contribuito a costruire un senso di comunità, li ha difesi dagli attacchi razzisti e ha fatto conoscere i palestinesi come gente onesta, intraprendente e laboriosa. I giornali palestinesi hanno stabilito relazioni con governi e media nazionali; hanno riferito su risultati e successi di individui, famiglie e istituzioni; hanno informato su eventi che si verificavano in Palestina e nel mondo arabo e organizzato azioni a nome della comunità, in difesa dei loro fratelli in Palestina. È fondamentale sottolineare che i media nazionali hanno interagito con quelli arabi e con i giornali palestinesi, trasmettendo iniziative, notizie e idee. In tal modo hanno favorito le attività transnazionali tra le comunità palestinesi in America Latina, facilitando così la creazione di una coscienza palestinese nella diaspora. E nonostante il passare dei decenni, questa coscienza si è mantenuta viva fino ad oggi.

Ricardo Marzuca Butto è uno storico e accademico del Centro di Studi Arabi alla Facoltà di Filosofia e Lettere, Università del Cile. È specializzato in storia araba classica, periodo Al-Andalus e processi migratori arabi verso l’America latina.

https://thisweekinpalestine.com/palestinian-immigration-to-chile/

Traduzione di Nara Ronchetti – AssopacePalestina

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