Violenza dei suprematisti ebraici

Dic 8, 2022 | Notizie

di Iyad Hadad,

B’Tselem, 8 dicembre 2022. 

Hajar Ka’abneh in ospedale. Foto: Iyad Hadad, B’Tselem

A metà giugno, sono andato a trovare Hajar Ka’abneh in ospedale. La 48enne madre di nove figli giaceva in terapia intensiva con il cranio fratturato, un’emorragia cerebrale e un braccio rotto. Il suo viso era pallido e gonfio. La testa era fasciata, il braccio sinistro era ingessato e lei era collegata a dispositivi medici. Perché? Tutto a causa di una brutale aggressione da parte di un gruppo di coloni, che si sono presentati una sera a casa sua, in una delle comunità beduine di Ras a-Tin. Hanno fatto irruzione nella tenda della famiglia, impugnando bastoni e spray al peperoncino e, con il volto coperto, hanno picchiato Hajar, suo marito Mustafa e i loro figli. Poi sono arrivati i soldati che hanno sparato in aria e hanno inseguito due dei figli della coppia, arrestandoli alla fine. Alcune ore dopo, sono tornati e hanno arrestato Mustafa, dopo che era stato dimesso dall’ospedale.

Come molti dei loro vicini, la famiglia allargata Ka’abneh ha subito frequenti attacchi di questo tipo per molto tempo. Circa un mese dopo l’ultimo attacco, i vari membri della famiglia si sono trasferiti nelle comunità vicine, in cerca di pace e sicurezza. Anche decine di comunità palestinesi in tutta la Cisgiordania sono regolarmente esposte a tali violenze, insieme ad altre forme di pressione da parte del regime di apartheid israeliano, tra cui la demolizione di case e il divieto di qualsiasi sviluppo. C’è quindi la preoccupazione che anche loro possano subire la stessa sorte della famglia Ka’abneh.

La violenza dei coloni non è mai stata un’iniziativa privata, ma si colloca nel contesto più ampio del regime di apartheid di Israele. Sebbene le azioni siano compiute da singoli individui, sono profondamente radicate nella natura del regime e nel suo obiettivo strategico: cacciare i Palestinesi dalla loro terra, in modo che Israele possa prenderne il controllo e utilizzarla per le sue necessità.

Uno dei metodi in cui lo stato cerca di raggiungere  questo obiettivo consiste nel creare “aziende agricole” dove i coloni allevano pecore e bovini. Negli ultimi anni, solo nell’area di Ramallah sono stati creati più di 15 avamposti di insediamento di questo tipo, la maggior parte dei quali sulle pendici orientali della Valle del Giordano. L’installazione di coloni in questi punti strategici consente di acquisire in modo rapido e semplice fino a centinaia di ettari alla volta. L’investimento è minimo rispetto alle risorse necessarie per avviare un nuovo insediamento. Il metodo è semplice: un individuo o una famiglia si insediano nel cuore di un’area palestinese e iniziano ad allevare bestiame, protetti dall’esercito che li aiuta a impedire con la violenza ai Palestinesi di accedere ai pascoli, ai campi e alle fonti d’acqua che avevano utilizzato fino a quel momento.

In più di 20 anni come ricercatore sul campo di B’Tselem nell’area di Ramallah, ho assistito e documentato innumerevoli crimini e violazioni dei diritti umani. Ma ora stiamo assistendo ad un aumento estremo della violenza dei coloni contro i palestinesi, una violenza pienamente sostenuta dallo Stato. Il numero di incidenti documentati negli ultimi tre mesi parla da solo. Dall’inizio di settembre, ho documentato 42 episodi di violenza dei coloni nel distretto di Ramallah e al-Birah. In sette di essi, i coloni hanno aggredito fisicamente i palestinesi. In 13, hanno attaccato a sassate le auto palestinesi (soprattutto lungo la Route 60). In sei casi, hanno attaccato le case dei palestinesi con pietre e in tre hanno dato fuoco alle loro auto. Durante questo periodo, i coloni hanno vandalizzato centinaia di alberi appartenenti ai palestinesi (soprattutto ulivi), oltre a 29 casi di danni ad altre proprietà palestinesi.

In alcuni casi estremi, si sono aggiunti i soldati e hanno attaccato i palestinesi con fuoco vivo – a volte, contemporaneamente ai coloni. Per esempio, alla fine di luglio, i soldati sono stati impiegati per disperdere una manifestazione di Palestinesi di al-Mughayir che protestavano contro la violenza dei coloni e l’insediamento di avamposti nell’area. Poco dopo l’arrivo dei soldati, sono arrivati anche diversi coloni, alcuni dei quali armati. Uno dei coloni ha iniziato a sparare ai palestinesi che lanciavano pietre, mentre altri coloni lanciavano a loro volta pietre – il tutto in presenza dei soldati, che hanno anche aperto il fuoco contro i palestinesi. Il quindicenne Amjad Nasr è stato ucciso da colpi di arma da fuoco sparatigli alle spalle da un soldato o da un colono, mentre altri due palestinesi sono rimasti feriti. In un altro caso, i coloni si sono diretti verso la sorgente nel villaggio di al-Mazra’ah al-Qibliyah. I palestinesi li hanno affrontati e allora i coloni hanno chiamato la Polizia di frontiera e le forze militari. I soldati hanno sparato e ucciso Mahdi Ladadwah (17 anni) e ferito un altro giovane palestinese.

La violenza dei coloni sostenuta dallo Stato riflette la violenza del regime di apartheid. Questo spiega perché il regime non fa alcun tentativo di arrestare i coloni che causano danni ai palestinesi e raramente li ritiene responsabili. L’esperienza di B’Tselem dimostra che anche quando le vittime presentano denunce contro l’esercito o la Polizia israeliana, questo non serve a nulla. In assenza di meccanismi che proteggano i Palestinesi da questa violenza, la comunità internazionale deve intervenire con urgenza ed esercitare una pressione reale su Israele per cambiare questa realtà.

Iyad Hadad, è ricercatore sul campo di B’Tselem, distretto di Ramallah.

Traduzione a cura di AssoPacePalestina

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