Perché l’Occidente esita a condannare il razzismo

Nov 29, 2022 | Notizie, Riflessioni

di Somdeep Sen,

Al-Jazeera, 29 novembre 2022.   

È semplice: il sostegno a Israele, la svolta politica a destra dell’Occidente e le radici coloniali dell’ordine globale.

Sudafricani che protestano davanti all’ambasciata statunitense prima della Conferenza ONU contro il razzismo. Durban, 16 agosto 2001. Gli Stati Uniti e Israele hanno boicottato la conferenza a causa dei tentativi iniziali di equiparare sionismo e razzismo. Il mese scorso gli Stati Uniti hanno respinto una risoluzione ONU che faceva riferimento alla conferenza [JN/FMS Reuters]

Quando Josep Borrell ha recentemente descritto l’Europa come “un giardino” e il resto del mondo come “una giungla”, l’indignazione è stata globale. Tuttavia, è passato relativamente inosservato il fatto che, solo pochi giorni prima, molte nazioni occidentali si sono rifiutate di prendere pubblicamente posizione contro il razzismo.

A ottobre infatti, il Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite ha adottato una bozza di risoluzione contro il razzismo, la xenofobia e l’intolleranza. La risoluzione descrive il colonialismo e la schiavitù come “gravi violazioni del diritto internazionale”. Chiede agli ex Stati coloniali e schiavisti, tra le altre cose, di pagare risarcimenti “proporzionati ai danni [da loro] commessi”.

In tutto, 32 Paesi – per lo più latinoamericani, africani e asiatici – su 47 hanno votato a favore. Nove Paesi hanno votato contro la risoluzione: Repubblica Ceca, Francia, Germania, Montenegro, Paesi Bassi, Polonia, Ucraina, Regno Unito e Stati Uniti.

In parte, il loro “no” riflette lo spostamento a destra della politica interna degli Stati Uniti e dell’Europa, che rende riluttanti anche i governi più liberali ad accettare l’esame, fatto dall’esterno, del passato dei loro Paesi.

L’incrollabile sostegno dell’Occidente a Israele e alle sue politiche di apartheid nei confronti dei palestinesi rende inoltre difficile per questi Paesi una critica inequivocabile del razzismo.

Ma c’è anche una ragione più profonda: il ruolo che il razzismo e il colonialismo hanno avuto nel plasmare l’attuale ordine globale. Impegnarsi in un’azione riparatrice per questi crimini del passato potrebbe minacciare la posizione privilegiata dell’Occidente sulla scena globale.

Il razzismo diventa un atteggiamento generale

All’inizio di quest’anno, la candidata francese di estrema destra Marine Le Pen ha combattuto contro il presidente Emmanuel Macron al secondo turno delle elezioni presidenziali del Paese. Alla fine ha perso, ma ha avuto la sua migliore performance di sempre, sottolineando il cambiamento generale della politica del Paese.

Nel 2021, la Francia ha registrato un aumento del 38% degli attacchi anti-musulmani. All’inizio di questo mese, un deputato del partito di Le Pen è stato sospeso per aver urlato “tornate in Africa”, quando il parlamentare nero Carlos Martens Bilongo criticava l’approccio del governo francese nei confronti dei rifugiati.

Nel Regno Unito, ridurre l’immigrazione è stata una priorità per tutto l’arco politico. Durante le elezioni generali del 2015, il partito laburista, nel suo negozio online, ha venduto tazze con la scritta “più controlli sull’immigrazione”. Nel frattempo, nel 2020 il governo conservatore ha fatto approvare una serie di leggi che chiudevano le frontiere del Paese a coloro che erano considerati poco qualificati e privi di una perfetta padronanza della lingua inglese.

L’Italia ha visto recentemente salire al potere un partito legato al neofascismo. Studi condotti nei Paesi Bassi e in Germania hanno confermato la presenza di razzismo strutturale in tutti i settori, dal mercato del lavoro alle forze dell’ordine, dall’istruzione alla politica sugli alloggi.

E negli Stati Uniti, l’ascesa del nazionalismo bianco in mostra sotto l’amministrazione di Donald Trump continua sotto forma di un aumento dei crimini d’odio. Diversi Stati hanno approvato leggi che limitano le discussioni degli insegnanti su razzismo, sessismo e, in generale, sulla disuguaglianza strutturale in classe.

In questo clima, le nazioni europee e gli Stati Uniti non sono certo in grado di accettare un mandato delle Nazioni Unite per una maggiore responsabilità su come gli Stati membri affrontano il razzismo.

Sostenere il sionismo

Ma c’è un elefante nella stanza: Israele. Non è un caso che sia il Regno Unito che gli Stati Uniti abbiano citato le loro preoccupazioni riguardo all’antisemitismo come giustificazione per votare contro la risoluzione.

La risoluzione del Consiglio dei Diritti Umani fa diversi riferimenti alla Dichiarazione e al Programma d’Azione adottati nel 2001 alla Conferenza Mondiale contro il Razzismo di Durban, in Sudafrica. Una prima bozza della dichiarazione aveva equiparato il sionismo al razzismo. Sebbene il documento finale bilanci il diritto palestinese all’autodeterminazione e alla statualità con il riconoscimento del “diritto alla sicurezza” di Israele, lo Stato ebraico e i suoi sostenitori occidentali hanno insistito sul fatto che la conferenza stessa fosse antisemita.

I riferimenti alla Dichiarazione di Durban – che funge da modello globale per la maggior parte delle nazioni nella lotta contro il razzismo – servono a ricordare che gran parte del mondo ancora non crede che il trattamento riservato da Israele ai palestinesi sia accettabile. Ma come possono gli amici di Israele in Occidente riconoscere questa verità?

Un problema più profondo

Tuttavia, è anche fondamentale riconoscere che il bigottismo e il pregiudizio sono al centro del modo in cui il mondo – nella visione dell’Occidente – dovrebbe funzionare.

Prendiamo, ad esempio, le basi intellettuali delle relazioni internazionali, cioè la disciplina che si occupa di come gli Stati interagiscono tra loro sulla scena globale mediante l’azione di diplomatici, politici, funzionari pubblici e responsabili delle politiche. Gli scritti dei suoi primi teorici presupponevano una gerarchia razziale darwiniana.

Questa prospettiva era palpabile nel primo testo di relazioni internazionali, World Politics at the End of the Nineteenth Century di Paul Samuel Reinsch.

“Grandi porzioni della superficie terrestre sono nelle mani di nazioni o tribù colpevoli di un sottosviluppo delle loro risorse naturali”, scriveva. Egli suggerì quindi la necessità di un ordine globale imperiale e propose che fosse obbligo delle “razze potenti” – leggi le potenze bianche – governare quelle “più barbare o meno dotate di forza d’animo e di carattere”.

Lo studioso britannico E.H. Carr ha seguito un simile cliché razzista nel suo contributo a An Introduction to the Study of International Relations, dove ha scritto che gli africani erano selvaggi e che indiani ed egiziani erano incommensurabilmente “meno avanzati” di americani ed europei. Carr suggeriva poi che ci si aspettava che gli europei – con la loro veridicità, integrità e carattere superiore – fossero i “leader dell’umanità”.

Certo, questa disciplina è diventata poi più sottile nelle sue prescrizioni per l’ordine globale. Ma persiste una gerarchia in cui la prospettiva euro-americana rimane al vertice, mentre gli altri sono relegati ai margini. Non a caso le relazioni internazionali sono state spesso definite una disciplina “per bianchi”, che lavora per mantenere una gerarchia razziale nel mondo.

È questa visione del mondo che i commenti di Borrell del mese scorso riflettono. Dopo tutto, come ho sostenuto nel corso del mio lavoro, l’Unione Europea si rifà alle radici coloniali di molti dei suoi principali Stati membri quando tratta con il resto del mondo. Infatti, il Trattato di Roma che ha istituito la Comunità Economica Europea come unione doganale, o l’idea di “Eurafrica” –apparentemente un meccanismo di interdipendenza tra l’Africa e l’Europa– erano in realtà modi per facilitare la gestione dei territori coloniali.

L’Unione Europea presume anche una superiorità intrinseca nella sua affermazione che “inclusione, tolleranza, giustizia, solidarietà e non discriminazione” sono fondamentali per lo stile di vita europeo e che l’UE è quindi una forza positiva nelle relazioni internazionali.

Il razzismo è una scelta politica

Ma, in ultima analisi, riconoscere il razzismo profondamente radicato che persiste in tutto il mondo richiederebbe anche che le nazioni occidentali si scusassero sinceramente per i crimini commessi in passato. Invece, continuano a rifiutarsi di rendere conto del proprio operato.

Il Regno Unito, nella sua dichiarazione all’UNHCR, ha affermato che la tratta degli schiavi e il colonialismo, pur causando “grandi sofferenze”, non hanno violato il diritto internazionale. Anche gli Stati Uniti hanno giustificato la loro decisione di votare contro la risoluzione affermando di non essere d’accordo –tra l’altro– con la necessità di risarcimenti da parte delle ex potenze coloniali.

Il rifiuto di accettare il razzismo e la xenofobia attuali come eredità del colonialismo e dell’imperialismo è una scelta politica e morale. Equivale a schierarsi a favore del razzismo: Senza affrontare questa storia, non potremo riparare la società di oggi.

Somdeep Sen è professore associato di Studi Internazionali sullo Sviluppo presso l’Università Roskilde in Danimarca. È autore di ‘Decolonizing Palestine: Hamas between the Anticolonial and the Postcolonial’ (Cornell University Press, 2020).

https://www.aljazeera.com/opinions/2022/11/29/why-the-west-hesitates-to-condemn-racism

Traduzione a cura di AssoPacePalestina

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